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L'INTERVISTA

«Danni neurologici irreversibili con la didattica a distanza»

«Con i lockdown e la didattica a distanza abbiamo forzato i ragazzi alla dipendenza on-line». Parola della neurologa Rosanna Chifari Negri che alla Bussola lancia l'allarme: «È il fenomeno dell’on-line brain  che colpisce il lobo frontale, sede della decisione, della strategia, che diventa atrofico e perde neuroni in modo irreversibile. L’assottigliamento della corteccia vuol dire perdita neuronale. Non si riesce a fissare il ricordo. Tutti i ragazzi che vengono testati manifestano perdita di memoria e di attenzione e hanno anche psicopatologie sociali».
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Attualità 10_03_2021 English Español

Ormai l’unico problema dell’universo si chiama Sars-Cov-2 e per estirparlo non si bada più a nulla. Poco importa se i decessi per altre malattie sono aumentati, se l’economia è distrutta, se la povertà aumenta, se le manifestazioni, anche estreme, di problemi psichici originati o peggiorati dal lockdown sono sotto gli occhi di tutti. Le normative in atto hanno la stessa “saggezza e lungimiranza” di una persona che, per uccidere una zanzara, inizia a sparare all’impazzata, noncurante di colpire cose, animali e persone. L’importante è uccidere la zanzara. I costi delle continue chiusure sono devastanti; a pagarne un prezzo altissimo sono soprattutto i ragazzi e gli adolescenti. Ne abbiamo parlato con la professoressa Rosanna Chifari Negri, neurologa, autrice di oltre 70 pubblicazioni scientifiche e invited speaker in congressi internazionali, soprattutto sul problema dell’epilessia.

Dottoressa Chifari Negri, ci può spiegare il suo studio?
Ho fatto una review della letteratura internazionale sui danni neurologici del lockdown, soprattutto sugli adolescenti e i ragazzi. Si tratta di 768 lavori scientifici che confermano il rapporto tra lockdown e salute mentale dei giovani. I danni rilevati riguardano non solo il tono dell’umore, quindi depressione, ansia, disturbi del comportamento, etc., ma anche un aumento delle dipendenze del 30-40%. Nella conferenza stampa tenuta il 24 febbraio nella Sala del Senato Caduti di Nassiriya (vedi qui), i dati dei vari colleghi che sono intervenuti collimano con quelli della letteratura internazionale.

Quali dipendenze sono particolarmente aumentate?
Nella fascia che riguarda adolescenti e bambini, soprattutto le dipendenze che riguardano lo schermo. La DAD non ha giovato. Paolo Crepet, nel suo intervento alla conferenza stampa accennata, ha chiesto con insistenza di riaprire le scuole, perché i costi psico-sociali – anche dal mio punto di vista – sono enormi; si va incontro, infatti, anche a delle alterazioni anatomiche irreversibili.

In che senso?
Altri colleghi, in diverse parti del mondo, hanno pubblicato più di un lavoro, nei quali si mostra che l’on-line brain, cioè il cervello che rimane on-line per molto tempo, ha dei danni organici. Solitamente si tende a pensare che sia l’assunzione di sostanze a determinare danni anatomici; il che è un dato ormai chiaramente acquisito, anche se spesso non ci si rende conto dell’entità del problema (mi riferisco alla legittimazione della marijuana, che è stata suicidaria). Ma l’esposizione allo schermo non è meno pericolosa. E con i lockdown abbiamo forzato i ragazzi alla dipendenza on-line: con la DAD che li mantiene attaccati allo schermo per diverse ore; poi i social, per mantenere i contatti con gli amici, visto che non si possono vedere; e poi Netflix.

Può specificare quali sono queste alterazioni anatomiche e cosa comportano?
L’on-line brain “colpisce” il lobo frontale, sede della decisione, della strategia, che diventa atrofico e perde neuroni in modo irreversibile. L’assottigliamento della corteccia vuol dire perdita neuronale e quest’ultima significa una perdita funzionale. Non si riesce a fissare il ricordo, c’è una caduta dell’apprendimento. Tutti i ragazzi che vengono testati manifestano perdita di memoria e di attenzione (il discorso vale anche per gli adulti) e hanno anche psicopatologie sociali. Ancora, decremento del vocabolario che si è spaventosamente ridotto a 200-300 parole, quelle che usano per la messaggistica.

In riferimento ai problemi provocati dal lockdown lei ha parlato di una “sindrome di discontinuità”. Di cosa si tratta?
È un neologismo per descrivere questa situazione emergenziale che viviamo ormai da un anno. Chiaramente non ha ancora una classificazione da manuale DSM. Riguarda quei problemi che abbiamo descritto, provocati dall’interruzione della routine, dall’isolamento, dall’interruzione dell’attività lavorativa o scolastica, cioè appunto da un’improvvisa discontinuità con la vita normale. Il prof. Crepet, con grande buon senso, faceva un appello per l’apertura delle scuole, perché la DAD non ricostruisce quell’ambiente sociale fondamentale alla strutturazione di una personalità sana.

Quali sono i danni dello smart-working sugli adulti?
In aprile farò un intervento proprio su questo tema per lo studio Mascheroni, uno studio di avvocati che interagisce con le aziende. Sarà un po’ scomodo, però parlerò dei danni dello smart-working e cercherò di far capire che in realtà, evitando questa modalità di lavoro, a lungo termine si avranno dei vantaggi anche per le aziende. Le persone che lavorano in smart-working più facilmente vanno in burn-out - una situazione sindromica che si accompagna a un insieme di sintomi (disinteresse, esaurimento, mancanza di entusiasmo, fino alla depressione) -, e quindi rendono molto meno. Limitare e dosare lo smart-working potrebbe essere un atteggiamento lungimirante.

Anche altre dipendenze hanno conosciuto un incremento?
Sì. La droga, per esempio. Ci si potrebbe domandare: ma come mai, se non possono uscire, riescono a incontrare lo spacciatore? Penso che fare questa domanda alla polizia postale possa essere di notevole interesse e si scoprirebbero strategie ai confini con la realtà. Si è verificato un incremento del consumo di marijuana e di altre sostanze del 27%; ricordo che l’assunzione di queste sostanze può portare fino alla schizofrenia, per l’alterazione della formazione dei circuiti del cervello. È aumentato anche l’alcolismo.

Si tende anche a mangiare di più?
Sì, e questo ha una ragione ben precisa. Durante un isolamento forzato si verifica un aumento della frequenza di stimolazioni dei centri della fame a livello ipotalamico, da cui conseguono disordini alimentari, una sorta di iperfagia bulimica, che poi ha una ricaduta, ovviamente, sulla salute. I colleghi diabetologi le diranno che è aumentato il diabete alimentare, a sua volta fattore di fragilità per chi contrae il Covid.

Un cane che si morde la coda. Oltre al lockdown, c’è anche la questione della continua incertezza: ogni settimana cambia tutto. Non si può uscire dalla regione o dal comune, si va a scuola o si sta a casa, un certo esercizio commerciale può restare aperto o chiudere. Che impatto ha questa gestione sulla psiche?
Sicuramente una sindrome d’ansia. L’incertezza determina ansia, la quale può avere un epilogo depressivo. Ricordo che quando si produce troppo cortisolo, in situazioni ripetutamente ansiose, si rischiano anche la perdita della memoria e il fenomeno del cosiddetto freezing. Altrettanto grave è l’attitudine alla rinuncia della propria libertà. Stiamo passando un messaggio tremendo: una gestione centrale irrazionale e, mi perdoni, acefala può fare quello che vuole senza che ci siano reazioni. Una tecnica che ricorda la rana bollita di Chomsky.

Cosa ci può dire riguardo ai suicidi o tentati suicidi, soprattutto negli adolescenti?
C’è stato un incremento sia nella realizzazione che nell’ideazione del suicidio. Il dato è preoccupante, dato assolutamente oggettivo e quantificabile, e ci viene riferito da test compiuti sui ragazzi stessi da parte dell’ospedale Gaslini di Genova, come attestato dal professor Lino Nobili. E questo aumento lo troviamo non solo nei ragazzi, ma anche negli adulti, per altre ragioni, tra cui la perdita del lavoro o la prospettiva di perderlo. I casi di cronaca e gli istituti psichiatrici lo attestano.

Un appello?
Non si può continuare in questo modo; ai fini della salute mentale, ci troviamo in un contesto del tutto malsano. La lotta al virus non va fatta con i lockdown. Nell’incontro di febbraio ho portato il modello svedese, che non ha attuato il lockdown e non ha avuto dati peggiori dei nostri. E parlo di dati scientifici reali. Con la paura si finisce per lobotomizzare il popolo e per renderlo acriticamente suddito.