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Dalle aule sinodali nessuno si accorge della fuga dei fedeli

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Il Pew Research Center mostra l'emorragia della Chiesa italiana, troppo intenta a danzare attorno al vitello d'oro del Sinodo permanente per vedere il disastro e cogliere i veri bisogni della gente: preghiera, catechismo e sacramenti.

Editoriali 08_04_2025

I dati della recente indagine del Pew Research Center, uno dei principali centri statunitensi di sondaggi e ricerche su demografia e questioni sociali, sul tasso di abbandono della religione di provenienza, puntano il dito contro la Chiesa italiana (qui il commento di Sandro Magister). Per ogni persona che, in Italia, abbraccia la fede cristiana, 28.4 l’abbandonano. Un rapporto spaventosamente negativo. E dire “fede cristiana” in Italia, significa parlare sostanzialmente di cattolicesimo. Nessuno peggio. Persino la Germania delle derive sinodali, seconda dopo l’Italia, vede un rapporto più “felice” di 1:19.7, dato che deve però tener conto dell’alta percentuale di cristiani cresciuti nel protestantesimo e che quindi potrebbe ridurre l’impatto su quella che è considerata una delle Chiese più disastrate del Vecchio Continente.

La percentuale più alta di questi abbandoni, il 44%, riguarda la fascia d’età 18-34, ossia quel mondo giovanile che i nostri vescovi hanno cercato di raggiungere con una tale ossessione da trascinare la Chiesa in un “giovanilismo” inconsistente e insipido, che ha alla fine allontanato quanti cercavano cose serie, degne di uomini. E non è un caso che sia proprio all’interno della fascia più istruita della popolazione che ritroviamo la maggiore incidenza (33%) di abbandoni; dopo anni in cui si è sottovalutata ed irrisa la dimensione culturale di quella fede che ha forgiato interi popoli, le persone più istruite se ne sono andate. Il disastro è sotto gli occhi di tutti da decenni, ma ora sono proprio quelle statistiche ansiosamente rincorse dalla CEI e dai suoi uffici a decretare il fallimento, secondo i criteri della tanto amata scienza dei numeri.

Ai figli che lasciano la casa paterna, per i quali c’è almeno la speranza del ritorno dopo aver dissipato i propri beni con le prostitute (copyright Vangelo di Luca), si aggiungono le serpi cresciute in seno e amorosamente cullate, che puntualmente si volgono verso la madre per morderla. È quanto accaduto nella recente seconda Assemblea Sinodale, dove i vescovi hanno dovuto inchinarsi al laicato da loro tanto vezzeggiato e “promosso”, e che nel Sinodo costituisce il gruppo più numeroso (442 a fronte di soli 176 vescovi).

Un partecipante all’Assemblea ci ha testimoniato che si è trattato della manifestazione palese di una Chiesa ormai decapitata e senza più nulla di cattolico da dire. A fare la parte del leone sono stati soprattutto i rappresentanti delle Comunità di Base, della Comunità di Sant’Egidio, e i vari delegati che più che rappresentare realmente la diocesi, impersonano il cosiddetto “laicato attivo”, ossia quella quota di laici talmente frustrata da chiedere asilo permanente negli uffici diocesani. E che vuole mettere da parte i preti, chiedendo a gran voce più spazio, più responsabilità, per esempio esigendo consigli pastorali deliberativi e non solo consultivi. «Il livello di preparazione teologica è praticamente nullo», ci conferma la nostra fonte; «l’assemblea sinodale è diventata una riunione di condominio in cui combattere per le proprie ideologie».

L’insistenza e la visibilità dei gruppi LGBT+ “cattolici” dimostrano che al Sinodo non sembrano interessare i problemi veri della Chiesa e degli uomini, sempre più disperati, sempre più preda di ogni moda culturale che li trascina in qua e in là, per lasciarli poi nudi, percossi e affamati, come l’uomo sulla strada da Gerusalemme a Gerico. E così ha trovato spazio il signor Rosario Lo Negro, l’ex-seminarista che è andato a piagnucolare a varie testate giornalistiche italiane che in seminario lo volevano persino “guarire” dalla sua omosessualità. E che ama andare in giro a farsi fotografare a petto nudo, con un cuore arcobaleno dipinto e la scritta provocatoria: “Anche il nostro cuore è sacro”.

A cosa servono questi sinodi permanenti? A dare spazio a gruppi di pressione, con i vescovi sostanzialmente muti ad ascoltare, a barcamenarsi di fronte ad un’Assemblea che doveva porsi in ascolto dello Spirito e si trova invece a contestare, a pretendere “aperture”, manco fossimo in una riunione sindacale. Mons. Erio Castellucci, con i vescovi messi all’angolo, ha cercato di barcamenarsi, rassicurando il servizievole laicato che si tratta di andare avanti e non di tirare delle righe su quanto fatto. Mah. Il cardinale Zuppi ha promesso un testo «più maturo», che dia più spazio alle «persone in situazioni affettive particolari» e ad una maggiore responsabilità delle donne nella Chiesa.

Che il Sinodo sia l’ennesima danza chiusa intorno al vitello d’oro lo dimostra anche un altro dato interessante, finora non ancora emerso. Dalle diocesi dovevano pervenire delle risposte/proposte relative a ciascuna delle diciassette tematiche su cui ci si sarebbe dovuti confrontare in assemblea, per giungere ad un documento finale rappresentativo. Ma le diocesi, che in Italia ammontano a 226, sono state praticamente assenti. Il tema che ha ricevuto più riscontri, ossia quello relativo al “rinnovamento dei percorsi di Iniziazione cristiana”, registra in realtà solamente 63 schede ricevute; il che significa che ha risposto solo una diocesi su quattro. Altro tema sinodale, quello dello “sviluppo umano integrale e cura della casa comune”, ha visto rispondere solo 29 diocesi, una su dieci! Ancora peggio per la “responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne”, uno dei punti caldi dell’Assemblea: solo 17 schede pervenute. Se già è legittimo avere dubbi che le risposte delle diocesi siano rappresentative del mondo cattolico reale, dal momento che la gran parte del popolo di Dio, quello che va in chiesa, prega, fa pellegrinaggi e accende le candele, manco sa che c’è un sinodo ideato dall’apparato burocratico ecclesiale per – dicono – dare voce a loro, figuriamoci se poi nemmeno le diocesi rispondono.

Questi sinodi si rivelano come nient’altro che vetrine per persone e gruppi che non servono la Chiesa, ma si servono di essa per far avanzare agende che di cattolico non hanno nulla, ma che invece sono a servizio di ideologie e poteri forti. Il tutto con il denaro che i fedeli versano alla Chiesa cattolica italiana per quella che dovrebbe essere la sua missione: edificare e curare luoghi di culto, sostenere il clero, supportare le missioni, soccorrere i poveri. Soldi – ed immaginiamo non pochi – che invece vengono buttati per dare spazio a frustrazioni e rivendicazioni. La Chiesa non ha bisogno di queste ammucchiate dal sapore anarchico per conoscere quali siano i reali bisogni delle persone: basta che i preti stiano nei confessionali; basta andare nei santuari, dove gli uomini portano dinanzi a Dio i loro problemi di sempre: ansia per la salute dei propri cari, preoccupazione per figli che hanno lasciato la retta via, lacrime per la vita che ha mostrato senza pietà tutto il suo aspetto cupo e doloroso. E basterebbe che prendesse in mano le Scritture e il Catechismo per capire che gli uomini hanno sempre bisogno delle stesse cose: conversione, vita sacramentale, istruzione religiosa.



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