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IL LIBRO

Dai barconi alla prima classe: ecco il traffico degli uomini

Con un “fatturato” di circa 34 miliardi di dollari l’anno, la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più redditizie, insieme al traffico di droga e di armi. Queste e altre informazioni sono contenute in Confessioni di un trafficante di uomini, di Andrea Di Nicola, criminologo e Giampaolo Musumeci, fotoreporter.

Cronaca 01_06_2015
Barcone di immigrati

Con un “fatturato” di circa 34 miliardi di dollari l’anno, la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento è una delle attività illegali più redditizie, insieme al traffico di droga, di animali (e parti di animali), di prodotti contraffatti e di armi. Anche il contrabbando di emigranti, per consentirne l’ingresso irregolare in un paese, è diventato un affare miliardario. Si stima che il flusso dall’America Latina a Stati Uniti e Canada e quello dall’Africa all’Europa fruttino da soli circa 6,75 miliardi di dollari ogni anno. Il trasferimento più costoso, dalla Cina agli Stati Uniti, può raggiungere i 70.000 dollari. Il meno caro è quello dall’Afghanistan all’Iran: solo 700 dollari. Il passaggio via mare dalle coste del Nord Africa a quelle italiane costa da 1.500 a 3.000 dollari, a cui vanno aggiunti però i migliaia di dollari necessari per raggiungere dai Paesi di origine i punti di imbarco: per chi arriva dall’Africa subsahariana, in media 2.500 dollari. Le rotte più costose sono quelle dall’Asia verso gli Stati Uniti e verso l’Europa, quella occidentale beninteso. 

Queste e altre informazioni sono contenute in Confessioni di un trafficante di uomini (Chiarelettere, 2014), un libro scritto da Andrea Di Nicola, docente di criminologia all’Università di Trento, e da Giampaolo Musumeci, giornalista e fotografo, autori di un’indagine sul fenomeno dell’emigrazione irregolare svolta consultando archivi e rapporti, ma soprattutto intervistando i protagonisti: trafficanti e clienti. Quel che ne emerge induce a rivedere gran parte delle teorie e delle analisi, spesso focalizzate su alcuni aspetti parziali e circoscritti del fenomeno: molto spesso per la buona ragione che chi parla o scrive non lo conosce abbastanza. Gli emigranti si immaginano tutti in fuga dalla guerra, rischiavano la vita, meritano lo status di rifugiati. Degli scafisti si dice che sono anche loro dei disperati che guadagnano poco, chi guadagna davvero non rischia niente. Per come se ne parla, tutto dipende dal caos in Libia, per i più lungimiranti bisogna affrontare il problema all’origine, “aiutarli a casa loro”. La prima cosa di cui ci si rende conto aprendo il libro di Di Nicola e Musumeci è che “casa loro” è quasi tutto il mondo. Gli emigranti clandestini partono dai paesi di Asia, Africa e Sudamerica diretti verso Stati Uniti, Canada ed Europa occidentale (e verso l’Australia di cui il libro però non si occupa). Sono territori immensi, quelli in cui si trovano i bacini di emigrazione, patria di oltre l’80% della popolazione mondiale. 

L’idea di intervenire aiutandoli “a casa loro”, per rendere superfluo emigrare, è inattuabile, improponibile per chi ha chiaro il quadro della situazione. Vorrebbe dire risolvere i problemi sociali ed economici di Cina, India, Pakistan, di tutti i Paesi africani e di quasi tutti quelli sudamericani; e inoltre pacificare Afghanistan, Iraq, Siria... eliminare ogni gruppo terroristico islamico, sostituire con governi democratici, responsabili e trasparenti, tutte le dittature dichiarate e dissimulate. La seconda “rivelazione”, procedendo nella lettura del libro, è che gli emigranti clandestini arrivano in Europa e America del Nord via mare, via terra e via aria, varcando i confini in migliaia di punti diversi, usando mille diversi espedienti, più o meno ingegnosi, più o meno pericolosi, più o meno disagevoli (ma anche in maniera comoda e confortevole come un volo di linea in prima classe), più o meno sicuri quanto a garanzia di successo. Sono centinaia di migliaia ogni anno a intraprendere un viaggio, che può durare pochi giorni oppure mesi e persino anni, affidandosi ai trafficanti.

La terza scoperta è che le rotte dell’emigrazione clandestina, dal primo contatto alla destinazione finale, sono organizzate da innumerevoli reti complesse ed efficienti di trafficanti: termine globale per tutti coloro che in qualche modo contribuiscono al trasferimento di persone, dal coordinatore che dirige e gestisce un’intera rete fino al guidatore di automezzi e imbarcazioni che porta a destinazione i clienti, tappa dopo tappa. Gli scafisti che navigano nel Mediterraneo guadagnano in media 10.000 dollari a traversata. Gli “osservatori” che a Istanbul controllano le strade per individuare la presenza della polizia e danno il via libera ai mezzi che trasportano gli emigranti dagli alberghi al porto dove verranno imbarcati guadagnano 700-800 dollari per ogni operazione: il che per tre-quattro incarichi al mese fa da 2.000 a 3.000 dollari. In Turchia, chi si occupa degli emigranti chiusi negli alberghi in attesa di intraprendere la tappa successiva e li sorveglia guadagna 20-30 dollari per ciascuno e di emigranti ne arrivano di continuo. 

I trafficanti veri e propri, quelli che creano e amministrano tutta una rete, guadagnano milioni. Di Nicola e Musumeci li dividono in tre categorie a seconda di come usano i proventi: i trafficanti formica, che risparmiano per acquistare immobili e avviare attività legali; i trafficanti cicala, che spendono e sperperano in beni di lusso ed eccessi; e i trafficanti opportunisti che investono in altre attività criminali moltiplicando gli introiti. Li accomunano intelligenza, determinazione, prudenza, astuzia, cinismo. Kabir, che porta i pakistani in Italia per 7.000 euro e ne tiene per sé da 3.000 a 4.500, si vanta: «tutti vogliono andare in Italia. Io aiuto le persone, realizzo sogni». «Mosé è stato il primo scafista della storia», dice il trafficante siberiano Aleksandr, «e io sono come lui, come Mosé».