DaD, distruzione a distanza: così si ammalano i millennials
Depressione, irritabilità, disturbi del sonno e dell'apprendimento, apatia, ansia e derealizzazione. Mentre un governo in agonia litiga per le poltrone, non ci si accorge delle condizioni in cui versano molti adolescenti a causa della didattica a distanza. Gli psichiatri lanciano l'allarme: «Aumentano i ragazzi in cura, così è devastante. La camera è diventata una prigione da amare e odiare». Solitudine, mancanza di relazioni, sedentarietà: i millennials sono le vittime del lockdown e gli adulti se ne sono accorti in ritardo: «Gli effetti della didattica a distanza sono disumani». Parla alla Bussola lo specialista Michele Maffini: «I giovani hanno subito il clima accusatorio mediatico e non riescono a ribellarsi».
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-"SOCIAL CENSURA E BOOM DEPRESSI DA LOCKDOWN" IN DIRETTA ALLE 14:30
Disturbi del sonno, ansia, umore depresso, apatia, irritabilità. E soprattutto un fenomeno sconosciuto anche alla maggior parete delle persone: la derealizzazione. I danni della didattica a distanza sono materia dei professionisti della mente e la cosa dovrebbe allarmare l’agonizzante governo Conte bis e i paladini del lockdown. I nostri ragazzi stanno male, i mesi trascorsi davanti a tablet e pc in una didattica virtuale ormai irreale ne hanno accentuati gli effetti e a dirlo non sono solo gli studenti che stanno pagando il prezzo più alto di questa follia, ma sono gli stessi professionisti che lanciano l’allarme sulla generazione “derealizzata”, ormai privata dello spazio in cui tessere relazioni e imprigionata letteralmente nella camera da letto che diventa la cella in cui vivere una vita sempre più povera di stimoli.
Qualcuno prova a reagire e a ribellarsi, come mostrano queste foto che si riferiscono a una manifestazione studentesca di ieri a Correggio (RE), dove gli studenti hanno organizzato spontaneamente un sit in, a cui hanno preso parte anche alcuni professori, per esternare tutto il loro malessere e chiedere di tornare a scuola. Sono stati ricevuti dal sindaco Ilenia Malavasi (Pd) che si è detta d'accordo con la loro protesta e ha annunciato che la Regione è in grado di riaprire le scuole in presenza anche al 75%. Ma il clima nel Paese è nero e per la maggior parte dei ragazzi il ritorno tra i banchi di scuola è ancora lontano.
Michele Maffini è psichiatra presso il Centro Psico Sociale di Crema e da aprile non crede ai suoi occhi.
«Stiamo assistendo ad un aumento vertiginoso di casi da seguire di ragazzi del 2001, perché noi prendiamo in carico solo i maggiorenni, ma il fenomeno è ben conosciuto anche dagli psicoterapeuti dei consultori e dalla neuropsichiatria infantile.
Di che cosa parliamo?
Di richieste che fioccano per prima visita psichiatrica, ragazzi delle superiori con seri problemi di adattamento riconducibili a isolamento sociale imposto dalla didattica a distanza che questi poveri ragazzi stanno vivendo.
Ragazzi border line, con famiglie problematiche?
Non solo. Più del 50% di questi accessi avviene in ragazzi che non hanno avuto problemi precedenti rilevanti o particolari fattori di rischio ed è molto probabile che senza queste condizioni non avrebbero sviluppato alcun disturbo. È un fenomeno assolutamente nuovo.
I sintomi?
Il quadro frequente è costituito da: disturbi del sonno, disturbi d’ansia, soprattutto le ragazze, attacchi di panico, umore depresso, irritabilità, e nei casi più gravi pensieri e gesti autolesivi. Spesso i maschi arrivano perché c’è un clima di tensione elevato coi genitori e ci sono litigi che sfociano in agiti aggressivi, le ragazze che hanno una minor tendenza a volgere verso l’esterno l’aggressività subiscono sintomi come depressione, chiusura e ansia.
Lei è uno psichiatra però, quindi si tratta di casi gravi?
La nostra è la punta dell’iceberg, arrivano quando, nonostante il supporto psicologico, ricevuto nei consultori non c’è una risoluzione.
Se cessasse la DaD, ribattezzata dagli studenti che sono scesi in piazza in questi giorni “depressione a distanza”, o “distruzione a distanza”, questo problema scomparirebbe?
Di sicuro tante situazioni anche di disagio tornerebbero nella norma. Posso dire che gli effetti della DaD sono disumani, forse il mondo degli adulti se n’è accorto troppo tardi.
Stiamo parlando però di un fenomeno che lei segue da aprile, in mezzo però ci sono state le vacanze.
Ho registrato che nonostante la pausa estiva non c’è stata una vera ripresa per i ragazzi in termini di socializzazione. Hanno subito il clima accusatorio mediatico nei loro confronti e questo mi stupisce dato che in realtà i ragazzi della Superiori, i cosiddetti millennials sono molto ligi e obbedienti alle normative.
Significa che sono comunque maturi…
Non necessariamente, può anche voler dire che c’è una apatia rispetto a quello che sta succedendo loro. Ci sono ragazzi che pur avendo ormai 18 anni, non provano neanche a vedersi clandestinamente o a bypassare le regole, non c’è ribellione nei confronti di questa situazione imposta dall’esterno, ma quasi una assuefazione supina e fatalista.
Sta incitando alla rivolta?
No, dico solo che sarebbe assolutamente normale un tentativo di ribellarsi, sono comunque dei ragazzi, non dimentichiamolo, inoltre, penso che tutta la rabbia che hanno se non viene incanalata in una protesta, che può essere perfettamente pacifica e rispettosa, che rende almeno un po' di giustizia all’esigenza di essere protagonisti esprimendo non solo il proprio disagio, ma anche il proprio sano desiderio di un cambiamento, finiscono col rivolgerla verso loro stessi o a farla esplodere fra le mura domestiche in famiglia e questo è quello che purtroppo sta accadendo a troppi ragazzi.
Eppure, i ragazzi cercano di organizzarsi…
Noto invece che anche quelle poche occasioni di socializzazione non sempre vengono colte, spesso scatta un meccanismo di evitamento ansioso o peggio ancora una totale perdita di interesse e di iniziativa. Una ragazza di 18 anni che ho visto ieri con una grande passione per il canto è stata invitata da un amico a incidere delle canzoni insieme ad altri giovani musicisti , sperava che i genitori le dicessero di no, aveva paura, come un detenuto ha paura di uscire dal carcere dopo troppo tempo che è rinchiuso. La cella la odi in quanto luogo in cui è impossibile trarre soddisfazioni, ma contemporaneamente non puoi staccartene perché è l’unico rifugio dalle minacce del mondo esterno.
Come si riconoscono i primi sintomi che c’è qualcosa che non va?
Irritabilità e chiusura sociale al di là di quelle che possono essere le possibilità che ti sono concesse. E poi i disturbi del sonno con un’inversione del ritmo sonno-veglia. Se i ragazzi dormono molto durante il giorno non va bene. A questo aggiungiamo l’incremento nell’utilizzo di dispositivi e l’eccessiva sedentarietà.
Perché la DaD è pericolosa?
Oltre che per la mancanza delle relazioni dirette coi coetanei e coi professori che sono fondamentali per uno sviluppo adeguato ed equilibrato, anche perché fa sì che non ci sia una separazione e una variazione degli ambienti a seconda del compito che si svolge e dei momenti della giornata. I ragazzi vivono nella stessa camera la totalità della loro esistenza, dalla lezione al gioco, a volte anche i pasti. Poi c’è il dormire, il riposo, l’evasione quasi sempre con lo stesso strumento utilizzato per assistere alle lezioni.
Che cosa scatta nella loro mente?
Un disturbo marcato dell’attenzione e della memoria dato dalla mancanza di variazione dell’ambiente fisico. La nostra memoria si àncora molto al setting, al luogo in cui viene stimolata. Se non si cambia mai ambiente la nostra mente percepisce una situazione invariabile e la memoria è come se non si attaccasse.
Un altro sintomo, molto spiacevole, riportato con una certa frequenza è la “derealizzazione”. La loro giornata si ripete sempre uguale, senza variazioni e questo produce oltre a noia e angoscia, anche episodi di derealizzazione e depersonalizazzione.
Cioè?
Una sensazione di irrealtà e stranezza di distacco da sé stessi, come se si stesse osservando la propria vita dall’esterno (depersonalizzazione), o la sensazione di essere dissociato dall’ambiente circostante (derealizzazione).
Si rendono conto di essere lì per colpa de lockdown o della pandemia?
Non vedo molta consapevolezza rispetto a questi temi, un po’ hanno vergogna a tematizzare la questione, in alcuni c’è una paura irrazionale del virus, gli mostri i dati e fai vedere loro che non rischiano nulla alla loro età, ma rimane il timore di essere “untori” per i nonni, figure che non di rado amano più degli stessi genitori. Ma questa paura irrazionale è stata imposta socialmente.
Come intervenite?
In modo integrato, tramite interventi sia di natura medica che psicoterapeutica ed educativa. Nei casi chiaramente in cui c’è una sindrome psichiatrica conclamata, con disfunzioni rilevanti, si interviene farmacologicamente effettuando visite psichiatriche di controllo regolari, altri casi sono seguiti solo in psicoterapia, altri ancora considerati non ancora affetti da una patologia, ma a rischio li seguo personalmente per un monitoraggio.
Gli adulti hanno capito che i giovani dai 14 ai 18 anni rischiano di pagare il prezzo più alto delle misure coercitive imposte loro dal governo?
Credo che la maggior parte l’abbia capito, ma resta il fatto che nonostante ci sia stata questa comprensione, restano ambivalenze legate anche dall’ambiente famigliare. Spesso hanno il genitore che vorrebbe rimediare, ma fino a qualche minuto prima era lui a incutergli la paura di uscire. Ora rischia di essere tardi. A volte i figli sono vittime degli stessi genitori che vivono il lockdown con privazione e eccessivo panico. In altri casi la convivenza forzata con i genitori peggiora le cose: i ragazzi comunque hanno bisogno a questa età di iniziare a sperimentare il distacco dai genitori e di coltivare il rapporto coi coetanei e con figure adulte di riferimento esterne al triangolo famigliare. Ma se l’unico distacco è in camera, nella cella, questo non va bene.