Da uragano a tempesta (in un bicchier d'acqua)
L’uragano Patricia è stato declassato a tempesta tropicale. Stando a quanto riferito nel bollettino del 24 ottobre dall’autorevole Ente meteorologico Usa, i venti hanno perso intensità, toccando gli 80 km/h, e dovrebbero ulteriormente indebolirsi nel passaggio all’interno del Messico, dove i danni sono stati minori del previsto.
L’uragano Patricia è stato declassato a tempesta tropicale. Stando a quanto riferito nel bollettino del 24 ottobre dall’autorevole Ente meteorologico Usa, i venti hanno perso intensità, toccando gli 80 km/h, e dovrebbero ulteriormente indebolirsi nel passaggio all’interno del Messico, dove i danni sono stati minori del previsto, nonostante le forti piogge nel Nord-Ovest. Dell’uragano Patricia il 23 ottobre, prima di toccare terra e quando era monitorato dai satelliti, si è comunicato nella stragrande maggioranza di telegiornali e quotidiani che si sarebbe trattato di un super-uragano della massima categoria d’intensità, del più forte mai registrato nella storia.
«Un uragano con una forza di categoria cinque come questo può per esempio sollevare le automobili dal pavimento e le abitazioni non radicate al terreno con cemento o acciaio, oltre a trascinare le persone che si trovano per la strada», raffiche record di 400km/h che «potrebbe sollevare un aereo», «Sarà accompagnato da grandi onde distruttive» alte 12 metri, un uragano con la stessa potenza distruttrice del tifone Haiyan (clicca qui) che nel 2013 flagellò le Filippine causando 6.300 morti e un migliaio di dispersi. La sfortunata data, che per noi italiani ricorda la “bomba d’acqua” che nel 1910 devastò numerosi paesi del golfo di Napoli e della Costiera amalfitana provocando circa 200 morti di cui 111 nel solo comune di Cetara, il 24 ottobre, tutto il mondo si aspettava in diretta una tragedia immane sulla costa Ovest del Messico. La causa un evento meteorologico mai visto fino ora nella storia umana e la cui intensità sarebbe dovuta al mutamento del clima causato dall’emissioni di anidride carbonica dell’uomo. Inoltre in tanti, come il Corriere della Sera, hanno profetizzato: “Uragani: nel prossimo futuro avranno una potenza mai vista” (clicca qui)
Nessuno si augura la tragedia, però questa diventa per alcuni l’evento per ricordare a tutti che la Conferenza di Parigi, che inizia il 30 novembre, è l’ultima occasione per salvare il Pianeta, mentre l’accordo che stanno trovando le nazioni non sembra essere del tipo auspicato dagli ecologisti (clicca qui). Nella mitologia maya Huracan - il nome è all'origine della parola "uragano" - era il dio del fuoco, del vento e delle tempeste. Divinità di alto rango, Huracan aveva sembianze zoomorfe, era rappresentato con la testa di serpente o comunque con aspetto rettiloide. Il vento impauriva le persone creando rispetto e paura per la divinità. Oggi in alcuni interventi televisivi sembra essere la dea Gaia ad inviare l’uragano per ricordarci le nostre colpe di ricchi consumatori di combustibili fossili. Adesso sappiamo che non ci sono state catastrofi, forse per questo dopo poche ore già nessuno in Tv ne parla, dalla prima notizia è finita fra le brevi. Eppure tutta la faccenda meriterebbe un’approfondita riflessione. La previsione era a 24 ore e verificata, per quanto frutto dell’eccellente lavoro di tanti scienziati, si è rivelata forse utile come indicazione, ma imprecisa. Come mai costatiamo che a 24 ore le previsioni sono imprecise ed invece trattiamo quelle per i prossimi decenni come “oracoli” indiscutibili? Si trattava davvero del super-uragano peggiore della storia umana in quell’area?
Un uragano interessa un’area di un migliaio di km di diametro. I satelliti attuali ed altra sofisticata strumentazione permettono oggi delle misurazioni indirette che già pochi decenni fa non era neanche immaginabili, infatti nella fase di allertamento sono gli enti sa a fornire i dati meteo e foto, non quelli del Messico. In passato erano invece possibili solo misure dirette e solo su alcuni punti di solito su terraferma. Confrontare semplicemente dati odierni con quelli del passato, come se fossero analoghi, non è un lavoro corretto anche se porta a evidenziare dei record. Quello che è certo è che in quell’area c’è già stato almeno un Uragano forza 5, la massima, nel 1959 fu detto “Mexico hurricane” (clicca qui) in quanto all’epoca non si assegnavano ancora dei nomi, seppur all’epoca non si temeva il cambiamento del clima causò 1800 morti (clicca qui ). É vero che gli uragani nel prossimo futuro avranno una potenza mai vista? Il futuro è difficile da prevedere, quello che possiamo affermare però dalle osservazioni è che la stagione degli uragani del 2015 è stata sotto la media per l’Oceano Atlantico, con solamente sette sistemi che hanno raggiunto o raggiungeranno il grado di tempesta tropicale, a fronte di una media di dodici: di queste sette tempeste, solo tre sono destinate a diventare uragani (o lo sono diventate clicca qui). Anche nel 2014 gli uragani erano stati sotto media, forse per questo sui media si è parlato molto di più dei tifoni che colpiscono l’Asia.
Un uragano forza 5 è un fenomeno da valutare sempre con la massima con prudenza, in tali casi la ricerca del record meteorologico conta poco sugli effetti sulla popolazione, più che disquisire sulla differenza di 10 km/h sulla punta massima del vento si dovrebbe far rilevare che lo stesso fenomeno sugli Usa o sul Messico porta a conseguenze completamente diverse. Se la popolazione è povera l’impatto è molto più distruttivo, nonostante le statistiche delle assicurazioni, sempre più importanti nei convegni scientifici, rileveranno in queste aree meno danni e risarcimenti. Un tale uragano dovrebbe essere l’occasione per riflettere se aiutare le popolazioni povere significa farlo direttamente sui loro territori oppure continuare a dire che li aiutiamo “emettendo meno” e investendo nelle nostre auto Euro 6 per farle divenire Euro 7.
Una riflessione che dovrebbe durare anche dopo l’emergenza. La povertà e il sottosviluppo generalmente non sono dovuti a mancanza di "ricchezze naturali" del territorio, ma quasi sempre sono la conseguenza della mancanza di cultura, pace, istruzione e competenze, vari aspetti che possono rendere inutili nel tempo anche la donazione d'infrastrutture e l'elargizione di aiuti. Se l'ignoranza, la guerra, la fame, la dittatura, l'impoverimento, si possono imporre velocemente con la forza, la cultura, la pace, il rispetto dell'ambiente, lo sviluppo e la democrazia sono processi che camminano con sacrificio e lentamente sulle gambe degli uomini che condividono gli stessi principi, la stessa visione armonica del rapporto tra uomini, natura e Dio. Quasi sempre l'impatto dei fenomeni naturali intensi non è altro che una lente d'ingrandimento che mette in luce lo stato dello sviluppo della comunità. Dove manca lo sviluppo economico le perdite in vite umane sono molto più numerose. Lo stesso però può avvenire anche dove c’è maggiore ricchezza, ad esempio dove la famiglia e la società è disgregata e la solitudine amplifica gli effetti delle ondate di calore sulle persone anziane che vivono nelle grandi città. Lo sviluppo economico da solo, anche se necessario non è sufficiente. «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo» (Populorum Progressio, Papa Paolo VI, 26 marzo 1967, n.14).
«Investire nell’educazione nei Paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina significa aiutarli a vincere la povertà e le malattie, come pure a realizzare sistemi di diritto equi e rispettosi della dignità umana. È chiaro che, per affermare la giustizia, non bastano buoni modelli economici, per quanto essi siano necessari. La giustizia si realizza soltanto se ci sono persone giuste! Costruire la pace significa pertanto educare gli individui a combattere la corruzione, la criminalità, la produzione e il traffico della droga, nonché a evitare divisioni e tensioni, che rischiano di sfibrare la società, ostacolandone lo sviluppo e la pacifica convivenza» (Discorso del Papa Benedetto XVI del 7 gennaio 2013 clicca qui).