Da Gerusalemme a Roma, le Crociate della Gazzetta
Il Giro d’Italia è partito ieri da Gerusalemme. Giro «della pace» lo hanno definito e il direttore della Gazzetta dello Sport, ricordando il traguardo finale a Roma, parla di «cammino delle Crociate all'incontrario». Un paragone più che azzardato se si guarda alla storia e non alla leggenda nera creata attorno alle Crociate
Quest’anno, chissà perché, il Giro d’Italia è partito da Gerusalemme. Giro «della pace» lo hanno definito, pace tra israeliani e palestinesi si suppone, visto quel che accade al confine di Gaza. Dopo ventuno tappe terminerà a Roma con una cronometro. Traverserà tutta la Sicilia in lungo e in largo, poi risalirà dalla Calabria, taglierà la Penisola di sghembo finendo sulla costa Est, poi percorrerà la Padania dal Veneto fino al Piemonte e alla Liguria, per, infine, sbarcare, appunto, a Roma. Da Gerusalemme a Roma, un tragitto che la Gazzetta dello sport ha individuato come «il cammino delle Crociate all’incontrario».
Fatte salve le debite differenze storiche (i crociati del Nord Europa percorrevano la via balcanica), le dissonanze tra i due eventi non sono poche, e val la pena di rifletterci sopra un attimo. Tanto per cominciare, i ciclisti del Giro partecipano con la speranza di tornare onusti di gloria e di soldi. I crociati, al contrario, si indebitavano spesso oltre ogni sopportazione e tornavano, quelli che riuscivano a tornare, alcuni feriti o mutilati, tutti molto più poveri di quando erano partiti.
Lo storico Riley-Smith ha dimostrato che i crociati affrontarono spese enormi per pagarsi il viaggio, fino a quattro-cinque volte il loro reddito annuo, talvolta vendendo o impegnando i loro beni e spesso a scapito della famiglia. Per l’equipaggiamento di un cavaliere si spendeva una cifra pari a quella occorrente oggi per comprare un’automobile di grossa cilindrata. I prìncipi dovevano affrontare spese da capogiro. Per fare un esempio, Riccardo Cuor di Leone per la sua crociata nel 1190 dovette affittare cento navi, comprare cinquemila cavalli e dotarli di dodici ferri ciascuno, pagare gli estensori della mappe necessarie, gli interpreti, i manovali capaci di costruire torri d’assedio, eccetera. «Solo la fede poté aver fatto quanto in ciò vi era di bene, l’integra fede di pochi, la fede parziale di molti», scrisse il poeta Thomas S. Eliot ne I cori della rocca (VIII). Una fede che indusse migliaia e migliaia di nostri antenati a rovinarsi economicamente per andare a buttare qualche anno della propria vita, o la vita stessa, in un viaggio infinito verso le sabbie e le sofferenze e i bollori della Palestina. Con la speranza di un solo premio: la salvezza della propria anima.
Ed ebbe qualcosa di miracoloso il permanere dei regni cristiani in una esigua fascia di terra stretta al mare e schiacciata per tre lati dell’immensa marea musulmana. Due secoli resistettero, e finché i crociati furono là, la secolare aggressività islamica segnò il passo, per poi riprendere alla conquista dell’Europa dopo la caduta alla fine del XIII secolo dell’ultimo baluardo cristiano in Terrasanta, Acri.
Ma c’è qualcosa di vero in questo parallelo, della «Gazzetta», tra Gerusalemme e Roma. Fino al 1292 (caduta di Acri) i cristiani ebbero una sola città santa: Gerusalemme. Là aveva vissuto, era morto ed era stato sepolto il loro Dio, Cristo. Che diritto avevano i musulmani? Per questi ultimi, anzi, Gerusalemme era «santa» solo in terza battuta, prima venivano La Mecca e Medina. Non era nemmeno citata nel Corano. Tanto ci tenevano, i cristiani, che il papa Innocenzo III per due volte, nel 1213 e nel 1216, cercò di ottenerla per via diplomatica, «per evitare ulteriore spargimento di sangue», la chiese «umilmente» a Safadino (fratello di Saladino) «in nome dell’unico Dio».
Addirittura Riccardo Cuor di Leone propose un condominio, offrendo a Safadino la mano di sua sorella Giovanna. I crociati pisani arrivarono a riempire le stive delle loro navi di terra palestinese, «terra santa», e con essa approntarono il Campo, appunto, Santo, vicino al loro duomo. Così grande era il desiderio di chi non era potuto partire di essere almeno seppellito in quella terra. Altre città imitarono Pisa ed ebbero anche loro un camposanto. Perduta per sempre Gerusalemme, otto anni dopo il papa Bonifacio VIII ebbe l’idea di sostituirla con Roma: dal sepolcro di Cristo, ormai impossibile, a quello degli Apostoli.
E l’indulgenza plenaria venne applicata al viaggio a Roma. Fu il primo Giubileo, quello del 1300, cui partecipò anche Dante. Caricare tutti questi ricordi sulle spalle curve dei ciclisti del Giro è effettivamente troppo e improprio. L’unica somiglianza è, questo sì, l’internazionalità dei partecipanti: l’olandese Tom Dumoulin, vincitore della passata edizione, contenderà la maglia rosa al favorito, l’inglese Chris Froome. Tutto qui.