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CURARE CORPO E ANIMA

Da Cosma e Damiano a oggi, medici santi sulle orme di Gesù

Dai santi Cosma e Damiano (celebrati oggi) a santa Gianna Beretta Molla, da san Giuseppe Moscati al beato José Gregorio Hernández, fino al venerabile Vittorio Trancanelli: sono solo alcune figure di santi medici che hanno vissuto la loro vita per lenire i mali del corpo, senza dimenticare i bisogni dell’anima. Sull’esempio di Gesù.

Ecclesia 26_09_2021

L’arte del guarire non è da tutti. La storia della medicina non è soltanto storia di scoperte scientifiche, ma è fatta anche di storie di uomini e donne che hanno dedicato la propria vita a prendersi cura di chi soffre. Sappiamo bene che è Gesù il primo medico delle nostre ferite umane e spirituali. “Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”. La parabola del buon Samaritano, riferita al decimo capitolo del Vangelo di Luca (anch’egli medico), con quel “si prese cura di lui”, riesce a sintetizzare cosa abbia rappresentato - per molti medici santi - la propria vocazione professionale, che è un atto d’Amore, prima di tutto. Amare, infatti, vuol dire appunto prendersi cura.

Tra i primi santi medici della storia del cristianesimo figurano due fratelli gemelli, Cosma e Damiano, che avevano la santa consuetudine di raccogliersi in preghiera dinanzi all’ammalato prima di procedere all’anamnesi, all’esame obiettivo e alla prescrizione della terapia. La loro missione per i poveri ammalati che non potevano permettersi di pagare l’onorario di una visita medica rappresenta uno “spaccato” del Cristianesimo che ritroveremo riproposto nel tempo. I due gemelli rappresentano solo l’inizio di una lunga sequela di medici che hanno portato Cristo fra le corsie di ospedali, nelle abitazioni degli ammalati, che hanno vissuto la loro missione contemplando nel sofferente il volto di Cristo sulla Croce.

Dal recente beato José Gregorio Hernández, conosciuto in Venezuela come il medico degli ultimi, a san Giuseppe Moscati, il ricercatore dei mali “incurabili”, da santa Gianna Beretta Molla, pediatra, al venerabile Vittorio Trancanelli, un testimone di Cristo in sala operatoria. Queste sono solo alcune figure di santi medici che hanno vissuto la loro vita per lenire i mali del corpo, senza dimenticare i bisogni dell’anima di chi avevano di fronte. Esercitare la professione medica, così, in questo modo, diviene un riflesso dell’Amore di Dio per l’uomo. Cerchiamo, allora, di approfondire come questi uomini e queste donne hanno messo al servizio di Dio e del prossimo la loro “arte del guarire”. La missione di questi volti al servizio della medicina e di Dio, come detto, non si riduce alla sola cura dei corpi. Nella loro professione, hanno sempre guardato all’ammalato nella sua “completezza”: corpo e anima. Caratteristica comune a tutti i santi medici è la gratuità della loro professione: mettere la scienza al servizio dell’altro - o meglio, del fratello - gratuitamente, specie per i più bisognosi, perché il loro dono (quello dell’intelletto, dello studio, del poter guarire gli ammalati), essendo venuto da Dio, non può essere a favore di pochi, ma di tutti. Questi uomini-scienziati-medici divengono, così, manifestazione della Misericordia di Dio, della Sua Provvidenza.

Uno dei tanti “buoni samaritani” che popolano la volta celeste è appunto il beato José Gregorio Hernández, medico venezuelano che operava tra la povera gente di Caracas. Uomo sensibile, di grande umanità. Medico coltissimo, addirittura studioso di filosofia. Si specializza in microbiologia e batteriologia, istologia normale e patologica e fisiologia sperimentale a Parigi e Berlino. Tornato poi nella sua terra, intraprende la carriera universitaria.  Ma Dio non lo chiama al cursus honorum, bensì lo vuole tutto per Sé e al servizio per le vie della città. Uno scienziato, un pensatore, ma soprattutto un fervente credente in Dio in cui riponeva tutta la sua sapienza e la sua missione professionale che si intrecciava con la sua profonda umanità.

Ore interminabili tra le corsie, da un reparto all’altro, per consolare, guarire, curare. È Giuseppe Moscati, “il medico santo”: così era già chiamato in vita dal popolo partenopeo. Le sue ricette, redatte con l’elenco dei farmaci da prendere, molto spesso, erano accompagnate dalla “prescrizione” di preghiere per l’ammalato. Ma a queste, se si trattava di bisognoso, non dimenticava mai di aggiungere anche del denaro che serviva non solo per comprare le medicine necessarie, ma anche per un buon pasto caldo. Se la Napoli nell’Ottocento era già una grande città, grandissima era la miseria che il giovane Moscati incontrava nei quartieri della città partenopea. Ricercatore instancabile, grande mente della scienza medica - tanto da vedere pubblicati i suoi articoli in molte riviste scientifiche internazionali dell’epoca - era comunque ben cosciente che solo Gesù è l’unico medico del corpo e dell’anima. Affidava, infatti, a Lui ogni sforzo per ridare la salute alla gente che incontrava.

Volto luminoso e grazioso, amabile di carattere, è la dottoressa Gianna Beretta Molla, medico chirurgo e poi pediatra. “Chi tocca il corpo di un paziente tocca il corpo di Cristo” così amava parlare del suo lavoro. Fra i suoi assistiti, poveri, mamme, bambini ma anche anziani. Dio non fa distinzione. Giovare al corpo e all’anima dei suoi assistiti: questo, sarà il suo impegno, la sua missione per l’intera vita che la vedrà passare da medico a paziente. Si troverà, infatti, a fare delle scelte per salvare la propria vita o quella di sua figlia che porta in grembo, dopo la scoperta di un grande fibroma all’utero. Da medico, e da donna di Dio, sa che la sua vita è nelle mani del Signore. L’operazione riuscirà, asportando il fibroma senza ledere la cavità uterina. Gianna Beretta Molla riesce a portare avanti per altri sette mesi la gravidanza, ma mette a rischio la propria vita. Per lei, la nascita di una nuova vita - quella di Emanuela Gianna che vedrà la luce il 21 aprile 1962 - è più importante e così affronta il parto affidandosi alla Vergine. Sarà Lei ad accoglierla e a condurla in Paradiso il 28 aprile 1962.

Vittorio Trancanelli, le mani di Dio nella sala operatoria. Una professione che diventa missione, soprattutto. La Parola non passa, per lui, solo per lo studio: era, infatti, un profondo conoscitore della Bibbia. La Parola viene soprattutto vissuta, incarnata nella sua vita, completamente immersa nella sua vocazione di medico. Uomo di profonda fede, medico che non si risparmia, neanche nella malattia, divenendo così testimone di come vivere Cristo vivo, anche sulla Croce. Nella sofferenza dei suoi pazienti, cercherà di essere carezza di Misericordia. Una carezza che - assieme alla moglie Lia Sabatini e ad altre cinque famiglie - estenderà anche ai bambini accolti nell’associazione “Alle Querce di Mamre” che continua, ancora oggi, il progetto di Vittorio: cinque famiglie aperte all’accoglienza di donne e bambini in difficoltà provenienti da tutte le parti del mondo. È l’accoglienza, l’abbraccio di Dio che vive nel suo cuore, nella sua mente. Trancanelli sentiva nella sua vita la presenza di quell’abbraccio, e, dunque, da fedele uomo di Dio non poteva che trasmetterlo ai tanti ammalati che ha incontrato nelle corsie dell’ospedale di Perugia dove ha operato - sempre - con amore, professionalità e preghiera. Soprattutto, preghiera.