Da al-Sistani alla terra di Abramo, il tour de force del Papa
Inizia oggi il XXXIII viaggio apostolico all’estero di Francesco, il primo dall’inizio della pandemia. Prima tappa Baghdad. Domani sarà a Najaf per l’incontro con l’ayatollah al-Sistani, significativo anche in ottica geopolitica. Poi la tappa a Ur dei Caldei, sulle tracce di Abramo, come già sognava Giovanni Paolo II. Intanto, le minacce della milizia Kataeb Hezbollah tengono vivo il dibattito sulla sicurezza.
Questa mattina Papa Francesco lascerà Roma per iniziare il suo primo viaggio all’estero dopo lo scoppio della pandemia. Sarà il primo ministro Mustafa Al-Kadhimi a dargli il benvenuto in aeroporto una volta atterrato a Baghdad prima di recarsi al Palazzo Presidenziale e incontrare anche il presidente della Repubblica Barham Salih. La prima tappa in casa sarà quella nella cattedrale siro-cattolica di “Nostra Signora della Salvezza” dove terrà un discorso di fronte a vescovi, sacerdoti, seminaristi e catechisti.
Bergoglio rimarrà in Iraq fino a lunedì 8 marzo, giorno della cerimonia di congedo nell’aeroporto internazionale della capitale e della ripartenza verso Roma. Un viaggio difficile, in bilico fino all’ultimo ma fortemente voluto dal Pontefice che non si è lasciato intimorire dall’aumento dei contagi da Covid e dalla ripresa degli attacchi terroristici. Solo l’altro ieri il lancio di dieci razzi contro una base militare dell’Ovest, dove sono di stanza truppe statunitensi, ha riacceso il campanello d’allarme sulle condizioni di sicurezza nel Paese. Un attacco celebrato da Abu Ali al-Askari, responsabile per la sicurezza della milizia sciita irachena Kataeb Hezbollah, che ha anche invitato a “non essere molto ottimisti sulla visita del Papa in Iraq”. Parole che danno l’idea di tutta la rischiosità del viaggio che Francesco sta per intraprendere.
Ieri la Santa Sede ha rilasciato un videomessaggio in cui il Papa si è rivolto al popolo iracheno presentandosi come “pellegrino penitente per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo”. Un pensiero speciale è andato alla comunità cristiana a cui Francesco ha riconosciuto di aver “testimoniato la fede in Gesù in mezzo a prove durissime”, dicendosi “onorato di incontrare una Chiesa martire”. A chi ha “ancora negli occhi le immagini di case distrutte e di chiese profanate, e nel cuore le ferite di affetti lasciati e di abitazioni abbandonate”, Bergoglio ha detto di voler portare “la carezza affettuosa di tutta la Chiesa”. Sei tappe spalmate in quattro giorni: Baghdad, Najaf, Ur, Erbil, Mosul, Qaraqosh. Un vero e proprio tour de force per il Pontefice ottantaquattrenne reduce dai recenti problemi di salute legati a una fastidiosa sciatalgia. Quello in Iraq sarà il suo XXXIII viaggio apostolico all’estero e il primo di un Papa in un Paese a maggioranza sciita.
Domani Francesco vedrà l’ayatollah Ali al-Sistani nella sua casa di Najaf per un incontro che dovrebbe durare 40 minuti e che è stato preceduto da lunghi e non facili negoziati, come ammesso lo scorso dicembre dal cardinale patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael Sako. È possibile che le difficoltà si siano registrate sul desiderio della Santa Sede di arrivare a una firma congiunta di un documento sulla fratellanza umana analogamente a quanto avvenuto ad Abu Dhabi con l’imam di Al-Azhar. Abdullah al-Ameri, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, aveva parlato della firma al portale Mawazin News ma era stato successivamente smentito dall’ufficio dell’ayatollah al-Sistani, che aveva tenuto a far sapere di non aver discusso di questa possibilità con la controparte pontificia. La decisione di incontrare al-Sistani è senz’altro significativa anche in un’ottica geopolitica: è l’autorità religiosa sciita più influente tra gli iracheni sciiti e anche uno dei principali oppositori all’influenza iraniana, oltre ad essere contrario al governo dei chierici. In passato, al-Sistani si era anche detto non ostile all’idea che un cristiano potesse essere eletto presidente dell’Iraq.
Non c’è dubbio, dunque, che la visita privata del Papa possa essere considerata una precisa scelta di campo anche nelle dinamiche interne del Paese. La tappa successiva al faccia a faccia con l’ayatollah sarà l’incontro interreligioso nella Piana di Ur dei Caldei dove, come ha ricordato Bergoglio nel suo videomessaggio, “Abramo incominciò il suo cammino”. Il capo dei miliziani sciiti di Kataeb Hezbollah ha messo nel mirino anche quest’appuntamento nel suo minaccioso messaggio diffuso ieri tramite Telegram, sollevando sibillinamente dei dubbi sulla “scelta del luogo e della tempistica”. Francesco coronerà il sogno del suo predecessore san Giovanni Paolo II chiaramente espresso nella lettera “Sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza” a ridosso del Grande Giubileo del 2000. In essa, Wojtyla scrisse: “Proprio ad Abramo è legata la prima tappa del viaggio che coltivo nel desiderio. Mi piacerebbe infatti recarmi, se è volontà di Dio, ad Ur dei Caldei, l’attuale Tal al Muqayyar nel sud dell’Iraq, città in cui, secondo il racconto biblico, Abramo udì la parola del Signore che lo strappava alla sua terra, al suo popolo, in certo senso a se stesso, per farne lo strumento di un disegno di salvezza che abbracciava il futuro popolo dell’alleanza ed anzi tutti i popoli del mondo”.
Saltata fisicamente la tappa dopo il ‘no’ di Saddam Hussein, san Giovanni Paolo II volle visitarla spiritualmente il 23 febbraio 2000 nel corso di un’udienza generale nella Sala Nervi con l’intento di tornare “ai primordi dell’Alleanza di Dio con l’uomo”. Come ha raccontato il cardinale Fernando Filoni la “delusione fu grande” per “un atto diplomaticamente poco accorto, di miopia storica e di manifesta paura del regime” che peggiorò ulteriormente la credibilità internazionale del rais.
Più di un ventennio dopo, sarà Francesco a portare a compimento, in un contesto ancora più rischioso, l’agognato pellegrinaggio nella terra di Abramo.