Culla per la vita, la nuova ruota degli esposti che salva i bambini
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Lasciare un bambino alla cura dei religiosi, mantenendo l'anonimato. Sin dal 1188 c'era la ruota degli esposti, abolita definitivamente nel 1923. Ora è tornata: la culla per la vita.
Mentre in Francia il diritto all’aborto entra a far parte della Carta Costituzionale e in Italia si verificano attacchi furibondi, da parte delle associazioni “femministe”, a chiunque osi affermare il diritto alla vita del nascituro (definito sprezzantemente “feto galleggiante”), nel sottobosco silenzioso (e volutamente oscurato dalla informazione mainstream) della società civile, germogliano e crescono iniziative di sostegno alla natalità che meritano di essere conosciute. In particolare, la rete denominata “Culle per la vita”, che è presente in diverse regioni italiane come pure in alcuni paesi europei (Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria. Ed è di queste ultime ore la notizia che una culla termica per neonati indesiderati sarà allestita anche nella Repubblica di San Marino) è, in sostanza, un'edizione moderna di quella che era la “ruota degli esposti”.
Vale la pena, per comprendere meglio il valore della iniziativa, fare un breve excursus storico. Anticamente il termine «esposto» stava per «neonato abbandonato». Nell’antica Roma, il padre che non desiderava riconoscere il proprio figlio, lo esponeva al pubblico presso la «columna lactaria», ove si recavano le donne che, non potendo avere figli o che comunque desideravano farsene carico, erano pronte a prendersi cura del piccolo esposto, adottandolo.
Con l’avvento del cristianesimo ed in particolare da Costantino in poi, i bambini abbandonati vennero presi in carico dalla stessa comunità cristiana e gli infanticidi potevano comportare la pena di morte per l’uccisore. Nascevano intanto i brefotrofi, in Medio Oriente come in Occidente, e a Milano nel 787 fu istituito il primo ospizio per i neonati abbandonati. La prima ruota degli esposti nacque nel 1188 in Francia presso l’ospedale dei Canonici di Marsiglia, seguita poco dopo da quella di Aix en Provence e di Tolone, e in origine fu ideata per proteggere gli esposti dai cani. Si trattava di un piccolo cilindro di legno, ruotante su un perno, collocato nella facciata dell’edificio – generalmente facente capo a una congregazione religiosa - dove veniva posto il neonato. Un campanello avvisava che il cilindro stava ruotando all’interno dell’ospizio e lì il neonato veniva preso dalle mani amorevoli della custode di turno, la «rotara», che prestava i primi soccorsi.
La ruota comparve in Italia nei medesimi anni, grazie a Papa Innocenzo III che, impressionato dai tanti cadaverini che venivano raccolti dai pescatori nel Tevere, volle che presso l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, da lui istituito, fossero accolti gli esposti. All’inizio della seconda metà dell’Ottocento si contavano nel nostro Paese circa 1.200 ruote. Si trattava, come è evidente, di uno strumento semplicissimo ma di enorme valore umano, che faceva fronte con carità alle conseguenze di possibili gravidanze indesiderate o alla impossibilità da parte della famiglia di sostenere un figlio in più, date anche le condizioni di povertà estrema allora diffusa.
La validità delle ruote degli esposti incominciò tuttavia ad essere messa in discussione all’inizio dell’800, poiché ogni anno venivano abbandonati circa 40mila neonati e almeno 150mila bambini di età inferiore ai dieci anni avevano bisogno di cure ed assistenza. La convinzione, da parte delle autorità, che la ruota rendesse troppo facile per chiunque liberarsi di un figlio, unitamente all’alta mortalità infantile e alla incapacità economica da parte dei brefotrofi di gestire un numero così elevato di bambini, portarono alla sofferta decisione di abolire la ruota degli esposti. La prima che l’abolì fu la città di Ferrara nel 1867, poi Brescia nel 1871 e tutte le ruote scomparvero ufficialmente nel 1923 con il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini: tutte le ruote rimaste furono ufficialmente soppresse e non fu più possibile l’immissione anonima dei bambini, ma solo la consegna diretta.
Nonostante i possibili abusi, comunque, per sette secoli e mezzo il semplice congegno aveva salvato migliaia di bambini dall’infanticidio (oggi, invece, praticato in fase “preventiva” su vasta scala attraverso l’aborto) e svolto un’enorme opera sociale e assistenziale. Occorrerà attendere il 1992 per sentire riparlare della ruota ad opera di un coraggioso insegnante, il professor Giuseppe Garrone, fondatore del Movimento per la Vita di Casale Monferrato. Colpito da tristi episodi di abbandono di neonati, ritornati prepotentemente alla ribalta delle cronache, si fece promotore – non senza incontrare dure opposizioni - della riapertura di una nuova edizione, più tecnologica e strutturata, dell’antica ruota degli esposti. Le culle cominciarono così a riaprire in diversi luoghi e oggi, sebbene in misura numericamente inferiore e certamente senza l’ufficialità di cui hanno goduto per diversi secoli, hanno ripreso e diffondersi e a svolgere il loro servizio.
Per offrire, a chi volesse tentare la medesima operazione, un possibile modello di come possa realizzarsi questa meritoria iniziativa, presentiamo l’’ultima “nata” in ordine di tempo, quella di Ravenna. Ufficialmente aperta solo pochi mesi fa presso la chiesa di Santa Maria del Torrione, grazie al generoso impegno di un medico (il dottor Stefano Coccolini dell’associazione Medici Cattolici), alla disponibilità dell’allora parroco don Paolo Pasini e alla collaborazione di numerosi volontari, ha comportato un investimento di circa 30mila euro, raccolti grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio e al contributo di piccoli e grandi donatori. La culla di Ravenna rappresenta una vera e propria evoluzione della antica ruota degli esposti: gestita elettricamente affinché una volta richiusa la porta esterna, quella da cui viene introdotto il neonato lato strada, non sia più possibile riaprirla, è dotata di sonde per attivare il riscaldamento in caso di temperature non adeguate alle necessità del neonato, di un allarme che parte in automatico quando un bambino viene posto nella culla e di una telecamera interna sorvegliata 24 ore su 24 da volontari dalla parrocchia stessa che, in caso di abbandono, attivano la rete di assistenza della Neonatologia dell’ospedale. Un impegno importante, ma non certamente impossibile. Ne vale davvero la pena.
Si tratta “solo” di una goccia nel mare, davanti al numero terrificante di aborti che si consuma quotidianamente, ma per tante madri che ancora desiderano ascoltare la propria coscienza, può rappresentare un’alternativa alla uccisione del bimbo nel proprio grembo o all’abbandono in un cassonetto della spazzatura. E in ogni caso, pur nella sua piccolezza, questa goccia mantiene il suo valore infinito, poiché infinito è il valore di ogni singola vita umana.
"Mio marito Giuseppe Garrone, combattente per la Vita"
Mamme e bambini salvati dall’aborto, insieme a tante donne che rischiavano di suicidarsi dopo aver abortito. «Telefonavano a SOS Vita nel cuore della notte, anche alle due, per confidare il loro strazio. E Giuseppe c’era sempre». L’amicizia con Madre Teresa, che benedì la sua idea delle culle per la vita, oggi una sessantina in Italia. Le amarezze all’epoca della Legge 40, di cui contestava la logica del “male minore”. In occasione della 43^ Giornata per la Vita, la Bussola ricorda - con un’intervista alla moglie Margherita Borsalino - la figura di Giuseppe Garrone, morto il 3 febbraio di 10 anni fa.
- UNA LUCE PER LA VITA, CAMPAGNA CHE FA CULTURA, di Tommaso Scandroglio