Critiche infondate di Ostellino a Papa Francesco
La "dottrina dell'accoglienza" di Papa Francesco è stata posta sotto accusa, soprattutto dall'editorialista Piero Ostellino. Ma la critica è infondata. Prima di tutto perché il Papa parlava della fuga dei Rohingja dalla persecuzione, non dell'immigrazione nel Mediterraneo. E poi perché non si distingue fra dovere del soccorso e soluzione politica.
In nome di un’”etica della responsabilità”, che nulla avrebbe a che vedere con l’etica cristiana, di recente la “dottrina dell’accoglienza” di Papa Francesco è stata posta sotto accusa. In particolare si è molto parlato con esecrazione del fatto che il Papa avrebbe detto tout court che la mancata accoglienza dei migranti che attraversano il Mediterraneo su imbarcazioni precarie diretti verso l’Unione Europea è un atto di guerra, anzi un omicidio.
Purtroppo, come anche questo episodio conferma, all’odierna grande facilità di accesso alle fonti delle notizie molto spesso corrisponde una grande incompetenza o malafede di chi poi le diffonde. Il risultato finale finisce quindi per assai peggiore di quanto fosse quando le fonti erano molto meno numerose e molto meno facilmente raggiungibili. In primo luogo dunque ricostruiamo i fatti. Tutto comincia lo scorso 7 agosto quando il Papa incontra a Roma nell’Aula Paolo VI (o Sala Nervi) i partecipanti al congresso del Movimento Eucaristico Giovanile, MEG. Alcuni tra loro gli pongono delle domande. Tra questi un giovane indonesiano di nome Gregorius che gli pone il problema del significato dei conflitti e del come affrontarli. Non riprendiamo qui per esteso né la domanda di Gregorius né la risposta del Papa, l’una e l’altra accessibili a chiunque sul sito Internet della Santa Sede. Citiamo qui solo il passaggio, poche righe in una trascrizione lunga diverse pagine, su cui è stata montata la polemica. “In una società come la tua”, dice fra le altre cose Francesco a Gregorius, “che ha una cultura con tante culture diverse dentro, si deve cercare l’unità, ma nel rispetto di ciascuna identità. Il confitto si risolve con il rispetto delle identità. Noi vediamo, quando guardiamo la tv o sui giornali, conflitti che non si sanno risolvere, e finiscono in guerre: una cultura non tollera l’altra. Pensiamo a quei fratelli nostri Rohingja: sono stati cacciati via da un Paese e da un altro e da un altro, e vanno per mare… Quando arrivano in un porto o su una spiaggia, danno loro un po’ d’acqua o un po’ da mangiare e li cacciano via sul mare. Questo è un conflitto non risolto, e questa è guerra, questo si chiama violenza, si chiama uccidere.”
Per questo sarà utile a molti spiegare chi siano i Rohingja. Si tratta di una minoranza etnica particolarmente discriminata che vive a cavallo dei confini tra Bangladesh e Myanmar (Birmania). Negli ultimi anni, in cerca di un futuro migliore, venendo tutto ciò che hanno molti di loro si mettono in mare su imbarcazioni di fortuna con la speranza di approdare e trovare accoglienza in Tailandia, o in Malesia o in Indonesia. I governi di questi Paesi invece impediscono loro di approdare e, dopo averli talvolta riforniti di acqua e di viveri, impongono che si dirigano affrontando l’oceano verso le lontane isole Andamane, che sono sotto la sovranità dell’India. In questo girovagare buona parte di questi infelici muore di fame e di stenti.
Al di là del fatto che in entrambi i casi si tratta di migrazioni spontanee via mare, i due episodi sono del tutto diversi. Altro è il contesto, altro è l’atteggiamento dei governi dei Paesi verso cui i migranti si dirigono, altra è l’organizzazione creata sia in mare che in terra ferma per gestire il fenomeno. E innanzitutto il Papa parlava a un giovane indonesiano con riguardo a un problema dell’Indonesia. Prendere perciò di peso le sue parole per applicarle meccanicamente al caso del Mediterraneo è un’operazione del tutto scorretta. Sul caso delle attuali migrazioni dal Nordafrica verso l’Unione Europea, Francesco ha già parlato più volte. Se non altro per correttezza professionale è perciò a quanto ha detto in proposito che ci si deve attenere. Se allora si vanno a rileggere le sue parole al riguardo ci si accorge che ribadisce il dovere del soccorso e dell’ospitalità, ma non entra affatto nel merito di che cosa l’autorità civile dovrebbe fare per dare soluzione stabile al bisogno di sicurezza e di lavoro di queste persone.
E’ dunque solo ignorando i fatti e parlando per sentito dire che si può giungere a conclusioni come quelle cui ad esempio giunge Piero Ostellino nel suo corsivo Il Papa predica un mondo che non c’è (Il Giornale, 17 agosto 2015, accessibile via Internet sul sito del quotidiano).” Ciò che separa la predicazione pontificia della «dottrina dell'accoglienza» (degli immigrati) dalle istituzioni pubbliche italiane, apparentemente sorde a tale dottrina”, scrive Ostellino, “si chiama etica della responsabilità. È, cioè, il calcolo dei costi economici e sociali che le istituzioni fanno dell'adesione alla dottrina dell'accoglienza e, al tempo stesso, la constatazione dell'indifferenza del Papa per tali costi. Papa Francesco se ne frega dei costi perché proietta apparentemente la remunerazione morale dell'adesione alla dottrina in quella entità metafisica che chiamiamo Paradiso. Le istituzioni pubbliche non possono fregarsene perché a fondamento della politica c'è, appunto, l'etica della responsabilità, il laico e realistico calcolo delle conseguenze delle proprie azioni”. C’è qualcosa quasi di patetico nell’accusa di mancanza di senso di responsabilità rivolta a un soggetto, la Chiesa, che esiste da oltre duemila anni.
Al di là di questo sta poi la confusione tra il dovere del pronto soccorso e dell’ospitalità, su cui speriamo che anche Ostellino sia d’accordo, e la soluzione stabile di cui si diceva, la quale compete all’autorità civile e che non passa affatto necessariamente per l’insediamento definitivo delle persone soccorse sul territorio del Paese dei soccorritori; né il Papa l’ha mai preteso. Può anche essere così, ma non lo è di diritto. Altrimenti, come aveva avuto modo di scrivere il compianto cardinale Biffi, il diritto all’invasione prenderebbe il posto del dovere dell’accoglienza. Se lo capiamo noi che essendo gente di fede siamo perciò un po’ tonti, come mai non lo capisce un intellettuale di profonda cultura illuministica, dunque ipso facto un asso in quanto a uso della ragione? E’ che purtroppo è questo il grande limite dell’illuminismo: è un pensiero così acuto che spesso attraversa in un lampo la realtà e poi ne casca fuori nel vuoto senza accorgersi di ciò che ha attraversato.