Crepaldi: ecco quando i cattolici in politica fanno danni
La fede cattolica è solo utile o anche indispensabile in politica? Qual è la differenza tra “cattolici politici” e “politici cattolici”? Su queste e altre distinzioni essenziali si è basata la Lezione tenuta ieri dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, per l’inaugurazione della Scuola di Dottrina sociale della Chiesa dedicata a «Ricominciare dalla politica, ricominciare dal basso» (iscrizioni ancora aperte), organizzata dalla Bussola insieme all’Osservatorio Van Thuan.
«I cattolici in politica hanno fatto molti danni. Lo dico senza sentimenti di giudizio sulle persone e anche senza sottovalutare l’impegno di tanti. Se andiamo a vedere le leggi approvate nel nostro Paese in questi ultimi cinque anni si rimane sbalorditi nel constatare che sono state tutte votate – a parte qualche esempio singolare – anche dai cosiddetti cattolici deputati». È questo uno dei passaggi più “caldi” della Lezione tenuta dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi ieri sera, giovedì 14 ottobre, all’inaugurazione della Scuola Nazionale di Dottrina sociale della Chiesa dedicata a «Ricominciare dalla politica, ricominciare dal basso». La Scuola, a cui ci si può ancora iscrivere (vedi QUI), farà proposte di contenuto e di metodo per ripartire dopo la morte dichiarata della politica cattolica a cui appunto la diagnosi del vescovo si riferisce.
Monsignor Crepaldi ha ripreso e sviluppato una distinzione storica, quella tra “politici cattolici” e “cattolici politici”. I primi stabiliscono un legame essenziale tra la loro fede e la politica, i secondi solo un legame accidentale. Ecco allora la conseguenza: «I cattolici politici non si riconoscono più dalle loro scelte, militano in tutti i partiti a riprova che il rapporto tra la politica e la loro fede religiosa è accidentale, nei consigli locali o in parlamento votano a completa loro discrezione ogni legge, anche quelle maggiormente lesive della dignità della persona umana e dell’etica naturale. Il processo di laicizzazione del loro operato è sempre più radicale e tra le due parole “cattolico” e “politico” si apre un divario sempre più accentuato, sicché viene perduta la coerenza tra fede e vita politica».
Certo, la triste situazione di oggi non dipende solo dai “politici”, ma anche dalla Chiesa che sembra non formare più alla vera politica secondo le indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa. Interessante questo passaggio della Lezione di Crepaldi: «Nelle parrocchie e nelle diocesi si segue il doppio principio: tutti dentro e nello stesso tempo tutti fuori. Tutti dentro perché nella comunità cattolica sono ospitate tutte le posizioni politiche, ma anche tutti fuori perché la comunità non fornisce chiari criteri di valutazione e di giudizio e mette tutti sullo stesso piano, praticando una indifferenza alla politica. Le nostre comunità cattoliche oggi – ha concluso il vescovo - si mostrano molto “impolitiche” (non parlano mai di politica, la lasciano fuori della porta), ma anche questa è una maniera per fare politica perché diventa lecito militare dappertutto».
Secondo il vescovo, il problema di fondo è se la fede cattolica sia solo utile o anche indispensabile per una buona vita della comunità politica. Se è solo utile, allora il ruolo dei cattolici e della Chiesa sarà di esprimere nella pubblica piazza una delle tante opinioni. Ma per mons. Crepaldi «il cristianesimo non è da considerarsi solo una delle tante opinioni presenti nel pubblico dibattito e utili allo stesso, ma porta con sé una pretesa di verità di fondamentale importanza per la politica, una verità che non impedisce alla politica di essere autonomamente se stessa, ma la toglie dal pericolo di essere indipendente, ossia di pretendere una autonomia illegittima».
Questa idea, secondo cui il cristianesimo è indispensabile e non solo utile, oggi è combattuta fuori e dentro la Chiesa, da qui le difficoltà della politica cattolica oggi. Il politico cattolico si trova davanti ad un “sistema” che lo esclude ed egli deve ormai conquistarsi spazi di azione palmo a palmo. «Tra le istituzioni pubbliche, i luoghi della deliberazione legislativa, la scuola e la formazione, i grandi media, una società civile colonizzata ideologicamente… c’è ormai uno stretto legame di sistema sostanzialmente negativo per l’uomo e per il cattolico. Nasce l’dea che bisogna tirarsene fuori se si vuol fare qualcosa di significativo in coerenza con la propria fede».
L’abbraccio del mondo - e dello Stato - alla Chiesa rischia di essere soffocante. Questa constatazione è ormai di molti cattolici che cercano nuovi luoghi, nuovi linguaggi e nuove possibilità di fare politica “fuori sistema”. Crepaldi stesso fa degli esempi: «Molte scuole parentali cattoliche, gruppi di pressione e di azione in difesa della vita nascente, aggregazioni di famiglie per la formazione e il tempo libero dei figli, forme cooperative partecipate dal basso che si occupano non solo di carità e di assistenza ma anche di produzione e di economia, gruppi politici tesi a testimoniare sul territorio locale la fede cattolica in politica, liste civiche che si presentano alle elezioni comunali improntate a questi principi di una nuova coerenza».
Questa società civile cattolica, che aspira a diventare anche politica, suggerisce un interessante paragone: «C’è una significativa analogia - dice il vescovo di Trieste - con gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, quando i cattolici trovarono ostruite tutte le vie politiche istituzionali e la politica ufficiale esprimeva un laicismo esasperato contrario sia alla fede che alla ragione, sia ai diritti della Chiesa che ai diritti dell’uomo».
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