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GIUSTIZIA

Crack Parmalat, una legge che farà parlare di sé

Positivo in questo caso il risarcimento delle vittime che consente, ma la legge 231 è figlia di una cultura giuridica poco realistica.

Attualità 19_01_2011
calisto tanzi
La vicenda giudiziaria legata al clamoroso crack della Parmalat di Calisto Tanzi si arricchisce di una nuova pagina: nei giorni scorsi la procura di Milano ha chiesto severe sanzioni pecuniarie e confische del valore di decine di milioni di euro per quattro banche estere coinvolte nella vicenda.

La notizia merita di essere spiegata, perché - aldilà della ovvia soddisfazione per la possibilità di risarcimento delle vittime - ha un retroscena giuridico che l’opinione pubblica non conosce. Che cosa sta succedendo in questo processo? Le banche sono delle società, non delle persone: come possono essere “condannate” in un procedimento penale? Tutti sanno che la nostra costituzione stabilisce che la colpa è personale: come possono essere punite delle aziende?

Tutto dipende dall’esistenza di una normativa ancora poco nota, il Decreto Legislativo 231 del 2001. Con questa legge è stata introdotta una forma di responsabilità amministrativa-penale a carico delle aziende, nell’ipotesi che un dipendente commetta un reato a vantaggio della società per cui lavora. Prima della 231, in un simile caso i giudici avrebbero potuto perseguire il dirigente colpevole del reato – ad esempio di corruzione di un pubblico ufficiale – ma non avrebbero potuto “punire” l’azienda.

Dopo l’entrata in vigore di queste norme, invece, i giudici possono punire anche l’azienda, che risponde in un certo senso in forma oggettiva, e che ha l’onere di dimostrare la sua estraneità. Se vogliono “salvarsi”, le aziende sono tenute ad assumere una serie di misure preventive, per impedire che i propri dipendenti commettano reati, adottando un modello organizzativo ben preciso. Questo modello è molto complesso, e prevede, fra l’altro, la costituzione di un Organismo di Vigilanza - il cosiddetto OdV – che “vigila” sui comportamenti di tutti i dipendenti aziendali, inviando propri ispettori a controllare l’azienda che lo ha nominato.

Nel caso del crack Parmalat, i giudici hanno indagato i manager di alcune banche, ritenendo che il loro comportamento abbia danneggiato in maniera criminosa i risparmiatori. L’accusa è quella di aggiotaggio, un reato che si verifica quando qualcuno diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, allo scopo di turbare il mercato e di alzare o abbassare le quotazioni delle azioni. Se i dirigenti che sono  imputati nel processo saranno riconosciuti colpevoli, allora subiranno le pene detentive previste dal codice penale.

Ma i magistrati hanno ritenuto che le banche in questione non abbiano applicato il Decreto Legislativo 231 del 2001, ed ecco spiegate le salatissime sanzioni economiche che sono state richieste dalla Procura.

Anche se è semisconosciuta, la 231 è una norma che farà parlare di sè sempre di più. Presenta degli innegabili aspetti positivi - come nel caso Parmalat -, perché vuole evitare che le aziende tengano condotte “disinvolte”, magari nascondendosi dietro dipendenti disposti a pagare di persona nel caso qualche cosa vada storto.

Tuttavia, la 231 desta più di qualche perplessità. Innanzitutto, perché sembra forzare il principio di personalità della colpa e della pena, introducendo nel diritto penale una sorta di responsabilità oggettiva. Inoltre, le sanzioni pecuniarie che colpiscono un’azienda a causa del reato commesso da un manager potrebbero  mettere in ginocchio la società, e quindi produrre effetti negativi su una quantità di dipendenti che non hanno fatto niente di male.

Ma ciò che lascia più perplessi è l’impianto culturale anglosassone e dal sapore tipicamente calvinista che sta alla base del decreto 231. Il sistema quasi ossessivo dei controlli è una sorta di fissazione del nostro tempo: codici etici, comitati, organismi di controllo, procedure, processi disciplinari interni, autority si moltiplicano, con la falsa illusione che questo possa impedire la commissione dei reati.

Dimenticandosi che il primo deterrente a condotte irrispettose delle leggi e dei clienti consiste in una retta coscienza ben formata. Conoscere il Decalogo, amare Chi l’ha scritto e sforzarsi di viverlo ogni giorno è la vera, grande prevenzione di ogni delitto. Nessun “modello organizzativo” potrà rimpiazzare la rocciosa semplicità della morale di sempre.