Covid, la Cina ci serve per tenere alta la paura da noi
Nonostante quella cinese sia una dittatura, la protesta popolare è riuscita finalmente ad ottenere un allentamento delle misure repressive, dopo aver fatto da modello per altri Paesi, in particolare per l’Italia. Evidentemente è proprio questa mossa che non è piaciuta a chi, in Occidente, vuole tenere alto il livello di paura del Covid.
Guardando e leggendo i principali media italiani, si direbbe che ci sia stato un salto temporale all’indietro nel 2020, oppure che stiano riproponendo quel film della pandemia già trasmesso tre anni fa: protagonista assoluta la Cina, Paese dal quale partono i nuovi untori diretti in Europa. Si è dunque rimessa in moto la macchina del terrore mediatico: si evocano scenari catastrofistici, si richiedono urgentemente tamponi e mascherine. Ma perché? Quali dati epidemiologici possono aver innescato questo meccanismo? Tutto è cominciato quando il governo cinese ha annunciato a dicembre l’eliminazione della quarantena per i viaggiatori in entrata, un passo importante verso il ritorno alla normalità, nonché la possibilità di un ritorno ad un intenso scambio commerciale con altri Paesi.
Le Autorità sanitarie cinesi hanno stabilito che i viaggiatori in entrata dovranno solo mostrare un risultato negativo del test Covid ottenuto entro 48 ore prima della partenza. Anche le restrizioni sulle compagnie aeree sul numero di voli internazionali e sulla capacità dei passeggeri saranno rimosse. L'allentamento delle misure coercitive anche all’interno dei propri confini è stata la conseguenza delle proteste divampate nel Paese dalla popolazione che ha pagato un pesante tributo sociale ed economico per una epidemia che in Cina peraltro ha avuto un tasso di mortalità e di letalità molto più bassi che in altri Paesi.
I decessi in Cina dall’inizio della pandemia partita da Wuhan sono stati poco più di 15.000 su un Paese di un miliardo e 412 milioni di abitanti. Cifre che in Italia (dove i morti attribuiti a Covid sono 185.000 su 59 milioni di abitanti) non sono assolutamente noti, anche perché dovrebbero fare pensare. Se la Cina, con un numero di abitanti pari a 24 volte l’Italia avesse avuto i tassi di mortalità italici, oggi piangerebbe oltre 44 milioni di morti. Una vera apocalisse. Invece ne ha avuti quanti una piccola regione del Belpaese. Eppure con questi numeri ha mantenuto per tre anni delle misure di sicurezza draconiane, in linea con la propria ideologia totalitaria.
Dal 2020, la Cina ha classificato il Covid come malattia infettiva di categoria B, ma lo ha trattato come una malattia di categoria A, mettendolo alla pari con la peste bubbonica o il colera e autorizzando le autorità locali a imporre blocchi e altre restrizioni. Ora, sarà trattata come una malattia di categoria B, nella stessa categoria dell'HIV e dell'influenza aviaria. Nonostante quella cinese sia una dittatura, la protesta popolare è riuscita finalmente ad ottenere un allentamento delle misure repressive, dopo aver fatto da modello per altri Paesi, in particolare per l’Italia.
Evidentemente è proprio questa mossa che non è piaciuta a chi, in Occidente, vuole tenere alto il livello di paura del Covid, anche se non c’è alcuna evidenza di maggiore pericolosità delle ultime varianti, e nemmeno di numeri di decessi in aumento. Le autorità sanitarie cinesi hanno anche cambiato il nome ufficiale di Covid da "polmonite da nuovo coronavirus" a "infezione da nuovo coronavirus", un emendamento che ha affermato essere "più in linea con le attuali caratteristiche e il livello di pericolo di questa malattia". Anche qui si tratta di un cambiamento di non poco conto: non si tratta - come di fatto è - di una malattia polmonare, per la quale come ha ripetuto ossessivamente per tre anni la propaganda terrorizzante, si soffoca, si finisce intubati, si muore, ma una infezione infiammatoria, che si cura adeguatamente.
Ma intanto i numeri cinesi vengono contestati, esattamente, esattamente come si diceva tre anni fa, asserendo senza alcuna prova che la Cina nascondesse i veri numeri. Ma mettere in discussioni le cifre ufficiali, peraltro validate dall’OMS, è un gioco scorretto. Si potrebbe ribaltare l’accusa su Paesi come l’Italia, mettendo in discussione la veridicità del dato dei 185.000, verificando quanti di essi fossero realmente Covid.
Il continuare a diffondere tra le persone il terrore del Covid, è veramente un’operazione ideologica e antiscientifica. Far credere che siamo nelle stesse condizioni del 2020 significa non tenere assolutamente conto dell’immunità acquisita dai milioni di guariti. E che dire degli oltre 50 milioni di persone che in questo Paese hanno ricevuto almeno il ciclo di base di due dosi di vaccino, che secondo quanto avevano dichiarato le stesse case farmaceutiche erano in grado di dare l’immunità?
In realtà sembra che certi poteri parlino alla Cina per mandare un segnale ai Paesi occidentali. In tal senso deve leggersi la ridicola “offerta di aiuto” dell’Unione Europea a Pechino, che mette a disposizione gratuitamente milioni di dosi di vaccini “per aiutare il Paese a contenere l’epidemia in atto”, come ha dichiarato la commissaria alla Salute, Stella Kyriakides. La replica di Pechino è stata perentoria: "La Cina ha ribadito che possiede le più grandi linee di produzione al mondo di vaccini Covid con una capacità di produzione annuale di oltre 7 miliardi di dosi e una produzione annua di oltre 5,5 miliardi di dosi, che soddisfano le esigenze di garantire che tutte le persone idonee alla vaccinazione abbiano accesso ai vaccini Covid" e hanno livelli di vaccinazione relativamente elevati. Se dunque la Cina non ha bisogno dei vaccini dell’Unione Europea, siamo noi europei che abbiamo bisogno di imparare dalla lezione dell’opposizione cinese che è riuscita a strappare al regime spazi di libertà, che da noi sembrano essere ancora minacciati dal Deep State cui non sembra vero che possa terminare l’emergenzialismo.