Covax, solidarietà vaccinale e sensi di colpa dei Paesi ricchi
Nazioni Unite, Ong e governi africani chiedono maggiore solidarietà per la donazione dei vaccini ai Paesi poveri e medio poveri. La gara di solidarietà è iniziata subito, gestita dal programma Covax dell'Oms, con l'Ue in testa in fatto di finanziamenti e donazioni. Draghi è contrario, vista la lentezza dei piani vaccinali domestici.
Ora che in tutto il mondo sono iniziate le campagne di vaccinazione contro il Covid-19 e i vaccini sono considerati l’unico modo per sconfiggere la pandemia, Nazioni Unite, organizzazioni non governative e governi africani hanno alzato voce e toni moltiplicando gli appelli “a non lasciare sola l’Africa” e le rimostranze per l’egoismo dei Paesi ricchi e l’avidità delle case farmaceutiche.
“L’Africa è in fondo alla coda per i vaccini, ahimè – si legge in un articolo dell’Economist del 6 febbraio con un occhiello che dice “gli africani hanno bisogno di dosi e di prestiti, subito! – molti governi africani, resi cauti dal costo, hanno tardato a ordinare i vaccini. I Paesi ricchi che ne hanno ordinati più del necessario devono donare eccedenze e fondi per l’acquisto e la distribuzione dei vaccini”. Il 27 gennaio il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una conferenza stampa a seguito di un incontro con i ministri della sanità e delle finanze africani, è stato categorico: “il mondo deve fare la sua parte”. “I Paesi ricchi hanno acquistato quasi 800 milioni di dosi di vaccini e hanno opzioni su altri 1,4 miliardi di dosi” ha rincarato l’amministratore delegato della Gavi, Seth Berkely. A sua volta il portavoce della People’s Vaccine Alliance ha detto che circa 70 Stati a basso reddito saranno in grado di vaccinare solo una persona su 10 mentre “il Canada ha ordinato abbastanza dosi da vaccinare ogni canadese per cinque volte”. Il Canada ha negato le accuse e ha replicato di aver già donato 380 milioni di dollari ai Paesi in via di sviluppo. Anche la Gran Bretagna ha reagito alle parole del direttore dell’Oms ricordando di essere il maggiore finanziatore e sostenitore del Covax.
Covax, Gavi e Cepi sono i tre principali organismi internazionali incaricati di assicurare l’accesso ai vaccini anti Covid. Il programma Covax è una iniziativa dell’Oms per l’accesso equo e globale ai vaccini anti Covid. Opera insieme alla Gavi, l’alleanza mondiale per i vaccini creata nel 2000 per migliorare l’accesso dei bambini poveri ai vaccini, e alla Cepi, una partnership internazionale nata nel 2017 per la messa a punto di vaccini. In sostanza il programma Covax mira a far sì che i Paesi ricchi donino dosi di vaccini o contributi finanziari per acquistarle in modo che le nazioni più povere ne dispongano. L’intenzione è di distribuire più di due miliardi di dosi entro la fine del 2021 privilegiando 92 Stati a reddito basso e medio basso, in gran parte africani.
L’Unione Europea, pur essendo una delle aree geopolitiche più colpite dalla pandemia in termini di costi sia umani che economici, il 19 febbraio ha deciso di raddoppiare, portandolo a 1 miliardo di euro, il contributo Ue al Covax. Al summit Ue del 25-26 febbraio è stata inoltre formulata la proposta di destinare ai Paesi africani 13 milioni di vaccini acquistati dall’Unione. Francia e Germania sostengono l’iniziativa, altri Stati si sono detti favorevoli, ma solo dopo essersi assicurati dosi sufficienti. Un no è arrivato invece dal neo presidente del consiglio Mario Draghi, contrario a donare milioni di dosi, considerato che il piano dei vaccini Ue è in evidenti difficoltà.
Dal progetto ai fatti, il Covax ha già consegnato milioni di dosi di vaccini e sta per distribuirne altri. Due Paesi africani il 1° marzo hanno potuto incominciare a vaccinare la popolazione grazie alle prime dosi ricevute. Sono il Ghana e la Costa d’Avorio, Paesi a medio reddito, relativamente stabili politicamente e sicuri: proprio per questo tra quelli, non molti, in grado di avviare la campagna di vaccinazione almeno nella capitale e nei principali centri urbani. Instabilità, insicurezza e sistemi sanitari inadeguati sono infatti i primi, fondamentali ostacoli con cui la gran parte dei Paesi africani devono fare i conti, insieme a ben altre, ancora più preoccupanti, emergenze sanitarie. In Sudan, Somalia, Sudan del Sud, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, in tutti i paesi del Sahel e dell’Africa sub sahariana minacciati dal jihad ci sono vasti territori fuori controllo nei quali il personale sanitario locale e le organizzazioni umanitarie a stento e non sempre riescono a operare. Per tante che siano le dosi a disposizione, la vera sfida è riuscire a somministrarle rapidamente, anche in situazioni non critiche, come alcuni Stati occidentali tra i quali l’Italia stessa stanno sperimentando.
L’Africa continua a essere il continente con meno casi e decessi, eppure i motivi di allarme non mancano tanto più che è convinzione generale che i dati forniti all’Oms siano sottostimati. Un medico sudafricano, di recente, ha osservato che gli africani non sono così resistenti al Covid-19 come si è stato ipotizzato perché, nel continente della povertà e della fame, dilagano però obesità e diabete che, come è noto, aggravano il coronavirus e contribuiscono a renderlo mortale. Asamoa-Baah, coordinatore presidenziale per la risposta al Covid-19 del Ghana, il 21 gennaio ha addirittura dichiarato che gli abitanti del suo Paese “sono seduti su una bomba a orologeria e camminano lentamente verso il disastro, poiché sempre più persone hanno raggiunto il sovrappeso, uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo del diabete e dell’ipertensione”. Il livello di sovrappeso, ha aggiunto, sta crescendo in modo esponenziale perché la maggior parte dei giovani ha adottato abitudini alimentari malsane, come mangiare cibi spazzatura e dissetarsi con bevande gasate.
È da notare, per inciso, che la notizia è riportata da Africa rivista con il seguente titolo: "In Ghana è allarme malattie non infettive: responsabili le multinazionali dell’agro-alimentare e i loro profitti”.