Costo standard, appunti per il ministro economista
Dalla Moratti a Busetti si parla di costo standard, ma non si realizza. Ora tocca a Fioramonti. Il quale è economista e dovrebbe comprendere con il linguaggio dei numeri che sarebbe la soluzione efficace per garantire la libertà di scelta educativa e risparmiare sui costi della scuola. Appunti per il neo ministro.
Siamo alla vigilia del nuovo anno scolastico. Anzi, già il 5 settembre – proprio nel giorno del giuramento dei nuovi Ministri – si sono aperte le porte delle scuole di Bolzano, e nei prossimi giorni le lezioni riprenderanno in tutte le 40 mila scuole statali e le 12 mila scuole paritarie d’Italia, frequentate da un totale di circa 8 milioni di studenti.
Il mondo della scuola, estenuato dagli ultimi mesi di belligeranza, attendeva da tempo con impazienza di conoscere il nome del nuovo inquilino di Viale Trastevere per ripetere a lui e al governo di turno la richiesta più ovvia e sensata: garantire agli studenti italiani il diritto di apprendere senza alcuna discriminazione economica. Non si tratta di un optional da autovettura, bensì di un fondamentale e irrinunciabile principio di Diritto: i genitori hanno il diritto e il dovere di educare e istruire i propri figli, scegliendo fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria. E questo oltre ogni discriminazione economica.
Il nuovo Ministro dell’Istruzione è il prof. Lorenzo Fioramonti, docente ordinario di Economia e Integrazione Economica Europea. Un curriculum di tutto rispetto. Pare dunque lecito sperare che il neo-Ministro possa non solo comprendere, ma anche affrontare il cuore della “questione libertà di scuola” con la competenza del docente universitario e la lucidità dell’economista.
Certo, sicuramente Fioramonti comprende benissimo la questione, anzitutto dal punto di vista economico, anche se non avrà avuto notizia degli svariati convegni che si sono svolti in successione esponenziale negli ultimi anni, sui temi scottanti della libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo, del diritto di apprendere senza discriminazione, della garanzia, per gli alunni disabili, del docente di sostegno in una buona scuola pubblica statale o paritaria. Sullo sfondo, va sempre tenuto presente che il Ministro è un politico e che mai potrebbe esporsi con affermazioni contrarie alla linea del suo Governo. Ma la sua competenza e coscienza professionale saranno sicuramente sollecitate dai cittadini, divenuti nel frattempo più consapevoli dei loro diritti, in misura inversamente proporzionale al peggioramento della qualità della scuola pubblica statale.
Al prof. Fioramonti va il sincero augurio per un compito non certo semplice, tanto più che eredita il blocco di un percorso ormai decennale, relativo al riconoscimento dei costi standard come soluzione efficace per garantire la libertà di scelta educativa: si cominciò a parlarne già con la Moratti, passando poi per Gelmini e Giannini, e approdando, infine, all’apertis verbis della ministra Fedeli, ora alleata nel PD con i 5 Stelle. Non si può dunque che auspicare coerenza, per evitare un tradimento che difficilmente l’elettore cui sta a cuore il diritto dei più deboli dimenticherebbe. È anzi viva la fiducia che, in un sano atteggiamento di collaborazione, si possa finalmente sciogliere il nodo da cui dipende il futuro dello Stato italiano. Senza qualità nel campo della cultura e della formazione del cittadino, infatti, non c’è futuro. E già questo è evidente.
Nell'anno scolastico trascorso, lo Stato ha stanziato 51 miliardi di euro per le prime e 500 milioni di euro per le seconde, dove confluisce l’8% della popolazione scolastica (compresa la scuola dell’Infanzia). Gli scarsi finanziamenti, unitamente alla crisi economica, hanno provocato nel corso degli anni un calo delle iscrizioni alle scuole pubbliche paritarie, che sono passate dall’11,85% nell'anno scolastico 2010-2011 al 10,64% dell'anno 2015-2016. C'è un dato, però, che testimonia la fiducia che molte famiglie ripongono nelle scuole pubbliche paritarie: la crescita degli studenti con bisogni educativi speciali, come stranieri e disabili. I ragazzi disabili iscritti sono passati dagli 11.547 dell'anno scolastico 2010-11 ai 12.211 dell'anno scolastico 2014-15, mentre gli stranieri sono passati da 45.069 a 60.017.
In generale, però, il 93,8% degli alunni (dalla Primaria alla Secondaria di II grado, Infanzia esclusa) frequenta scuole pubbliche statali. Queste ultime garantiscono qualità? Purtroppo no, dal momento che l’Italia è agli ultimi posti nella gran parte dei punteggi delle ultime edizioni dei test OCSE volti a verificare le competenze degli studenti nell’ambito scientifico. Siamo quart'ultimi nella capacità di lettura, quintultimi in matematica. Tra i grandi Paesi europei, ci posizioniamo soltanto davanti alla Spagna, mentre ci batte abbondantemente la laicissima Francia, dove il 32% degli studenti frequenta le scuole paritarie e lo Stato ne paga gli insegnanti.
Sappiamo tutti, poi, che i dati relativi alla dispersione scolastica sono allarmanti, con preoccupanti ricadute sulla nostra società. Che cosa fa un giovane che non studia e non lavora? A quali rischi per sé e per gli altri va incontro? I numeri, nella loro crudezza, parlano chiaro: il 39% degli italiani nella fascia tra i 25 e i 64 anni non possiede un titolo di studio superiore alla terza media; il 30% è analfabeta funzionale, ossia non è in grado di mettere in pratica ciò che ha studiato (si tratta addirittura del doppio rispetto alla media europea del 15%); in terza media (dati Invalsi di quest’anno) il 35% degli alunni non è in grado di comprendere un testo in italiano, ma in Calabria la percentuale sale al 50%. In inglese, la quota di studenti che non arriva al livello prescritto (A2) è del 30% nel Nord Ovest, del 25% nel Nord Est, del 35% nel Centro, del 54% nel Sud e del 61% nel Sud e nelle Isole; alle Superiori, se gli alunni deboli in italiano sono il 30% in media, in Calabria e Sardegna raggiungono il 45%. In Matematica il quadro peggiora e appare ulteriormente differenziato fra le diverse aree del Paese: la percentuale di alunni che non arriva al livello minimo è del 32% nel Nord Ovest, del 28% nel Nord Est, del 35% nel Centro, del 48% nel Sud e del 56% nel Sud e Isole. Questa è la realtà. Certo, garantire alla famiglia la libertà di scelta educativa consentirebbe alla scuola di giocare un ruolo molto più efficace per far sì che i giovani possano raggiungere la piena maturazione delle proprie competenze e – perché no? – anche delle proprie aspirazioni.
Per poter giungere a questo, l’unica soluzione (peraltro condivisa, come accennavamo, dai predecessori di Fioramonti) consiste nel costo standard di sostenibilità per allievo, applicabile ugualmente a tutte le scuole pubbliche, paritarie e statali. Grazie al costo standard, ogni alunno costerebbe in media 5 mila 441 euro, per un totale di 47,1 miliardi (cioè ben 2,8 miliardi in meno di oggi): in tal modo, lo Stato risparmierebbe, garantendo, nello stesso tempo, il diritto fondamentale all'istruzione senza discriminazioni economiche e restituendo alla famiglia la responsabilità educativa in una piena libertà di scelta. Si attuerebbero così un effettivo pluralismo educativo e un innalzamento della qualità dell'istruzione italiana, che potrebbe raggiungere lo stesso livello degli altri Paesi europei. Del resto, se si considera la situazione di Paesi con grande tradizione in materia di Stato sociale, come quelli nordici, si riscontrerà che, ad esempio, il sistema scolastico finlandese (molto apprezzato dal Ministro) vede la quasi totalità di istituti paritari finanziati dallo Stato, a tutela delle esigenze educative del singolo bambino. Insomma, se il costo standard per persona è stato applicato, per quanto in modo imperfetto, alla sanità, perché non applicarlo anche alla scuola?
L’esperienza di economista universitario del neo Ministro del Miur lo porterà certamente ad auspicare un criterio di razionalizzazione che tenga conto delle esigenze di ciascun istituto scolastico in rapporto alle persone e al territorio, che consenta alla scuola di tornare ad essere “ascensore sociale” e che consenta anche ai meno abbienti una effettiva libertà di scelta educativa. Questa è l’unica strada per una riforma del sistema scolastico compiuta e di successo, a vantaggio in primis degli studenti, ma anche degli insegnanti: occorre riflettervi e agire di conseguenza. Certezza assoluta, da parte di molti, che questa riflessione e questa azione non mancheranno.