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LA BELLEZZA NEL DOLORE

Così la pandemia frena i viaggi verso l'eutanasia

Nonostante i risvolti negativi, la pandemia ha determinato anche degli effetti di segno opposto. Per esempio, bloccando i vari "viaggi della morte". A dire che vale la pena vivere in ogni caso è la storia di Cohen che, non potendo più partire per la clinica svizzera, si sta rifugiando nella bellezza della musica e dell'arte. Occorre spiegare con Oriana Fallaci che la sofferenza ha senso, altrimenti i voli riprenderanno. 

Vita e bioetica 01_06_2020

Nonostante i tanti e noti risvolti negativi, la pandemia ha determinato anche degli effetti di segno opposto. Per esempio, bloccando i vari «viaggi della morte», ossia le trasferte internazionali - talvolta intercontinentali -  di persone intenzionate a farla finita e pronte, per questo, a volare in Paesi dalla legislazione permissiva, come per esempio la Svizzera, già da anni meta appunto di chi è desideroso di farla finita, anche se le sue condizioni non sono così disperate.

Torna a tal proposito in mente la storia Anne, un’insegnante britannica recatasi qualche anno fa in una clinica elvetica per ottenere il suicidio assistito. Il motivo? La signora non riusciva ad adattarsi alle tecnologie e ai tempi moderni, ai computer e alle e-mail, e anche al consumismo e ai fast food. Perciò ha chiesto di morire ed è stata accontentata: ne dava notizia, il 7 aprile 2014, Repubblica, testata sospettabile di tutto fuorché di essere pro life.

Casi simili sono forse rari, anche se i «viaggi della morte» di questi anni sono purtroppo stati innumerevoli. Ma ora, come si diceva, sono sospesi causa pandemia. E molti aspiranti suicidi se ne lamentano, denunciando ai media quella che giudicano un’ingiusta discriminazione a danno del loro misconosciuto “diritto di morire”. Tra i piani di morte che il coronavirus ha fatto saltare, c’è quello della signora Janet Cohen, 66 anni, malata grave – pressoché terminale – di cancro ai polmoni.

La sua vicenda è stata raccontata in questi giorni su The Sydney Morning Herald, dato che la signora Cohen risiede nel Nuovo Galles del Sud, Stato appunto dell'Australia sud-orientale. Secondo i medici alla donna restano pochi mesi di vita, motivo che l’ha spinta a programmare un viaggio in Svizzera. Che però, per le ragioni che si dicevano, ora è rinviato a data da destinarsi. Tutto questo ha generato nella Cohen un forte senso di delusione e di amarezza.

«Mi sento derubata di un conforto», ha spiegato alla giornalista che l’ha incontrata,  «la consapevolezza di potermi recare in Svizzera ha avuto un effetto liberatorio su di me, mi ha permesso di essere meno ansiosa e spaventata di morire. Ma ora è tutto saltato». In effetti, non solo alla donna è temporaneamente preclusa la possibilità di volare in Europa, ma anche nel suo Paese, in questo periodo, le priorità paiono comprensibilmente altre, benché in Australia il coronavirus non abbia mietuto che poco di più di 7.000 contagi e 100 vittime.

Questo al momento ha portato la signora Cohen a cercare distrazione in passeggiate all’aperto, nella musica e nell’arte, da lei indicati come i principali sollievi. Della fede, purtroppo, neppure un accenno. E forse è proprio questo, a ben vedere, quel che più manca nell’esperienza difficile che sta toccando a questa donna australiana, la cui tragica vicenda è comunque simile a quella di tantissimi altri che, talvolta, riescono anche da non credenti a trovare la forza di vivere la sofferenza fino in fondo.

Il pensiero qui corre alla scrittrice Oriana Fallaci, la quale, pur da malata terminale, fu sempre e fieramente avversa all’eutanasia. «La parola eutanasia», sottolineava laicamente l’autrice de La Rabbia e L’Orgoglio, «è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La morte è morte è basta».

Ecco, sarebbe bello che, da qui a quando avrà di nuovo la possibilità di prendere la via della Svizzera, qualcuno leggesse alla Cohen queste parole della Fallaci o, meglio ancora, le ricordasse la grandiosa lezione del cristianesimo che, con le atroci sofferenze patite in croce da Gesù, rischiara di senso anche le pagine più dolorose della nostra vita. Che non è mai priva di senso e, nonostante tutto, merita d’esser vissuta fino in fondo.

Certo, il dolore resta dolore anche per il cristiano. Ma, lo si ripete, la consapevolezza che esso abbia senso pone tutto sotto una luce diversa; viceversa, se non hanno senso i giorni più difficili non l’hanno, dopotutto, neppure i più spensierati. Ed è precisamente questo il grande limite della cosiddetta etica laica, ossia una finta rassicurazione che alle prime serie difficoltà si sbriciola. Anche questo, a ben vedere, sarebbe opportuno spiegare alla signore Cohen e ad altri nella sua condizione, affinché sperimentino il Conforto. Quello vero, però.