Coronavirus, la crisi di oggi ci deve far cambiare domani
Passata l'emergenza coronavirus nulla sarà più come prima. L'attuale crisi indica la vacuità di ideologie come il naturalismo e il globalismo e lo sgretolamento dell'Unione Europea; e chiede di ripensare il concetto di bene comune, la funzione sussidiaria del credito, e i rapporti tra Stato e Chiesa. Quanto accade oggi deve diventare una riflessione sul come ricostruire dopo. Una ampia riflessione di monsignor Crepaldi a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa.
- IL DOCUMENTO: CORONAVIRUS, OGGI E DOMANI, di Giampaolo Crepaldi
- NON SIAMO GIA' PIU' GLI STESSI, di Tommaso Scandroglio
- LA LETTERA: “IO MEDICO E LA VITA NON SCONTATA”
- E GLI SCOZZESI "STRAPPANO" NOZZE E ESEQUIE, di Paolo Gulisano
- ORE 21: ROSARIO PROPOSTO DAI VESCOVI ITALIANI
Non poteva mancare la parola dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi in questa ora difficile a seguito dell’epidemia per coronavirus. Infatti la crisi di oggi interpella a fondo la Dottrina sociale della Chiesa di cui il vescovo Crepaldi è tra i massimi esperti. Domenica scorsa, nella cattedrale di San Giusto a Trieste, durante l’omelia egli ha detto che dopo questa esperienza del Covid-19 “niente sarà come prima”. Nei giorni successivi ha steso un’ampia riflessione sulla situazione attuale e soprattutto sul dopo-coronavirus che rende pubblica oggi con il titolo “Coronavirus: oggi e domani”.
La corposa riflessione di mons. Crepaldi è importante perché nessun prelato aveva finora invitato a riflettere sul dopo-coronavirus e, soprattutto, nessuno aveva chiamato in causa la luce della Dottrina sociale della Chiesa.
Le sue riflessioni sono state fatte proprie e rilanciate dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân per la Dottrina sociale della Chiesa e dal Coordinamento Nazionale Justitia et Pax per la Dottrina sociale della Chiesa, a cui aderiscono 30 associazioni e centri culturali di tutta Italia.
Tutti noi oggi vorremmo tornare come prima, e questo è comprensibile. Ma se, come dice l’arcivescovo, “niente sarà come prima” dopo questa dura esperienza, dobbiamo riflettere a fondo sul dopo-coronavirus. L’epidemia, infatti, non è solo una emergenza sanitaria – fa notare Crepaldi – ma tocca e sconvolge tutti gli assetti sociali mettendo in luce le molte debolezze del nostro sistema di vita. Basti pensare alla fragilità del sistema economico le cui prospettive di crisi fanno dire a qualcuno che da lì potrà venire un pericolo ancora maggiore di quello provocato dall’infezione. Per questo Crepaldi cita, come molto attuale, quanto scritto dall’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI nel 2009 al tempo di un’altra crisi: “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità” (n. 21).
L’attuale esperienza impone di abbandonare il naturalismo ideologico tanto in voga fino a ieri anche dentro la Chiesa: “La natura, nel senso naturalistico del termine, produce anche disequilibri e malattie e per questo deve essere umanizzata. Non è l’uomo a doversi naturalizzare, ma la natura a dover essere umanizzata”.
Dopo la crisi bisognerà recuperare il vero significato del bene comune cui ora l’impegno morale di tanti ci rimanda. Crepaldi fa notare purtroppo che “mentre si lotta per salvare la vita di tante persone, gli interventi di aborto procurato non cessano, né cessano le vendite delle pillole abortive, né cessano le pratiche eutanasiche, né cessano i sacrifici di embrioni umani e tante altre pratiche contro la vita e la famiglia”. Se la crisi non ci induce ad un esame di coscienza in profondità non predisporrà a qualcosa di nuovo.
Un punto importante segnalato dall’arcivescovo è il ruolo sussidiario del credito: “Il blocco di ampi settori dell’economia per garantire maggiore sicurezza sanitaria e diminuire la diffusione del virus mettono in crisi economica, soprattutto di liquidità, le imprese e le famiglie. Se la crisi dovesse durare a lungo si prospetta una crisi della circolarità di produzione e consumo, con lo spettro della disoccupazione. Davanti a questi bisogni il ruolo del credito può essere fondamentale e il sistema finanziario potrebbe riscattarsi da tante e riprovevoli dilapidazioni interessate del recente passato”. Ci vorrà un grande cambiamento di prospettiva in questo campo.
Secondo mons. Crepaldi la pandemia in corso mette in crisi il globalismo come era stato finora concepito e invita a ripensare per via di sussidiarietà la convivenza tra le nazioni ai vari livelli di universalità: “La globalizzazione presentava fino a ieri i suoi fasti e le sue glorie di perfetto funzionamento tecnico-funzionale, di indiscutibile sicumera circa l’obsolescenza di Stati e nazioni, di assoluto valore della “società aperta”: un unico mondo, un’unica religione, un’unica morale universale, un unico popolo mondialista, un’unica autorità mondiale. Però poi può bastare un virus per far crollare il sistema, dato che i livelli non globali delle risposte sono stati disabilitati”.
Con parole molto chiare, il vescovo invita anche a “prendere atto di questa ingloriosa fine per coronavirus dell’Unione Europea”, nella quale “la mancanza del collante morale non è stata compensata dal collante istituzionale e politico”.
Anche i rapporti tra Stato e Chiesa dovranno cambiare: “La salute non è la salvezza, come ci hanno insegnato i martiri, ma in un certo senso la salvezza dà anche la salute. Il buon funzionamento della vita sociale, con i suoi benefici effetti anche sulla salute, ha anche bisogno della salvezza promessa dalla religione: «l’uomo non si sviluppa con le sole sue forze» (Caritas in veritate, 11). “L’autorità politica indebolisce la lotta contro il male quando equipara le Sante Messe alle iniziative ludiche, pensando che debbano essere sospese. Anche la Chiesa può sbagliare quando non fa valere, per lo stesso autentico e completo bene comune, l’esigenza pubblica delle Sante Messe e dell’apertura delle chiese”. Dopo questa esperienza di potrà tornare a riconoscere pubblicamente il posto di Dio nel mondo, sostiene Crepaldi, e non più continuare a viere come se Dio non fosse.
Un testo questo dell’arcivescovo Crepaldi da leggere e da meditare, perché il dopo-coronavirus – con l’aiuto della luce e della speranza che provengono dalla Dottrina sociale della Chiesa” – sia un mondo migliore.