Corea del nord Una soluzione non militare
Non solo il buon senso ma anche la ferrea legge della forza suggerisce che la liberazione della Corea del Nord dal giogo della dittatura avvenga in forma non militare, e che sia poi un processo sostenibile per un popolo che dal 1948 vive isolato dal resto del mondo e non ha più né pratica, né memoria del valore ma anche delle responsabilità che le libertà civili e la democrazia portano con sé.
Dopo aver suscitato grandi apprensioni – in realtà molto più in Europa che negli Stati Uniti e negli altri Paesi più direttamente interessati - la crisi scoppiata a proposito della Corea del Nord si sta come sgonfiando. C’è in tutto questo qualcosa di rituale. Paese del Terzo Mondo affamato, arretrato e sottoposto al giogo di una feroce dittatura ereditaria, la Corea del Nord spende il grosso delle sue poche risorse in armamenti strategici (ordigni nucleari, missili balistici a lunga portata) che brandisce contro la Corea del Sud e il Giappone; e con cui pretende di poter un giorno giungere a minacciare gli Stati Uniti.
In effetti tale minaccia non ha il minimo fondamento. Con la loro forza militare smisuratamente superiore rispetto a quella di tutto il resto del mondo, e con il loro assoluto controllo dell’intera rete mondiale di telecomunicazione, gli Usa sono in ogni momento in grado di difendere se stessi e i loro alleati. Possono senza difficoltà mettere tempestivamente fuori gioco le armi strategiche della Corea del Nord, i cui ordigni nucleari fra l’altro sono finora soltanto delle potenti mine e non delle vere e proprie testate nucleari caricabili e lanciabili con missili (se mai lo saranno).
Sin qui Washington aveva preferito tenere a bada la Corea del Nord in modo recondito. In tale prospettiva sotto la presidenza di Barak Obama il Pentagono ha messo a punto degli strumenti di attacco cibernetico ed elettronico contro l’arsenale missilistico nordcoreano grazie ai quali i missili che la Corea del Nord prova a lanciare o esplodono in volo o vengono dirottati e poi mandati a cadere in alto mare. A conferma del fatto che il sistema sta continuando a funzionare, è esploso in volo il missile che era stato lanciato il giorno di Pasqua, a poche ore dall’arrivo del vicepresidente americano Mike Pence a Seul, capitale della Corea del Sud.
A Trump però questa soluzione puramente pratica del problema a quanto pare non basta. Giunto l’altro ieri in Corea del Sud, prima tappa di un viaggio di dieci giorni in vari Paesi dell’Estremo Oriente che lo porterà anche in Giappone, il vicepresidente americano ha infatti dichiarato che per quanto concerne la Corea del Nord “il tempo della pazienza strategica è finito”. Fino ad oggi tale pazienza era stata inevitabile anche perché la dittatura nordcoreana aveva potuto contare sul sostegno incondizionato della Cina.
Adesso invece Pechino non è più disposta a dare appoggio ad ogni costo a un alleato imbarazzante che le è ormai di ben poco vantaggio. Non è disposta tuttavia ad accettare la prospettiva di un attacco militare e pertanto di una fine catastrofica del regime nordcoreano con tutti i danni e gli squilibri che ne deriverebbero. D’altra anche un alleato degli Usa come la Corea del Sud non uscirebbe indenne da una guerra per rapida che fosse. La sua capitale Seul è a ridosso del confine con la Corea del Nord, a tiro di un ampio schieramento di artiglieria pesante nordcoreana sempre pronta ad aprire il fuoco che non può essere oggetto di adeguato attacco preventivo senza rischi per la stessa Seul.
Non solo dunque il buon senso ma anche la ferrea legge della forza suggerisce che la liberazione della Corea del Nord dal giogo della dittatura avvenga in forma non militare, e che sia poi un processo sostenibile per un popolo che dal 1948, ossia da quasi settant’anni, vive isolato dal resto del mondo e non ha più né pratica, né memoria dell’economia di mercato, e prima ancora non ha più alcuna diretta esperienza del valore ma anche delle responsabilità che le libertà civili e la democrazia portano con sé.
Un crollo catastrofico del regime nordcoreano non è perciò nemmeno nell’interesse della Corea del Sud che, pur essendo ormai un Paese industriale avanzato, non è in grado di farsi carico da sola del costo dell’ingresso improvviso della Corea del Nord nel mondo globalizzato in cui viviamo. Conviene quindi a tutte le parti in causa che l’ormai urgente superamento dello status quo nella penisola coreana avvenga senza l’uso della forza militare. In questo quadro può anche darsi che le dimostrazioni di forza (showdown) in cui sia la Corea del Nord che gli Usa da qualche settimana sono impegnati siano innanzitutto un modo per misurarsi in vista dell’avvio di uno sblocco negoziato della situazione.