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IL RAPPORTO

Corea del Nord: i metodi da Auschwitz contro i cristiani

Mentre l'Occidente si chiude in casa per paura, in Corea del Nord i cristiani preferiscono la libertà dell'anima alla sicurezza del corpo. Un documento della Korea Future Initiative riporta le testimonianze di un centinaio di ex detenuti dei campi di lavoro, raccontando le atrocità commesse contro donne, vecchi e bambini ma anche la risposta dei credenti che non temono gli aguzzini di fronte a cui pregano e sorridono.

Libertà religiosa 04_11_2020 English

In un momento in cui la soluzione ad ogni pericolo sembra essere la chiusura in casa (che si tratti di terrorismo o di Covid) e in cui si pensa ingenuamente che questa sia la soluzione per evitare la morte e il male, c’è una comunità di veri perseguitati (il cui rischio di perdere la vita e di subire violenze è enormemente più grande di quello che corre la popolazione occidentale) che ha molto da dire su quale sia la sola risposta alla minaccia della vita.

Leggendo l’ultimo rapporto dell’organizzazione no-profit Korea Future Initiative emerge una persecuzione sempre più feroce contro la comunità cristiana della Corea del Nord che, anziché rinunciare alla propria esistenza, cresce preferendo la tortura e il martirio alla preservazione fisica. Ossia preferisce la libertà dell’anima alla sicurezza del corpo.

Il documento riporta le testimonianze di diversi perseguitati dal regime di Kim Jong-un contando 273 casi di violazione della libertà religiosa che coinvolgono persone dai 3 anni di vita agli 80. Diversi di coloro che vengono scoperti con oggetti religiosi cristiani o che vivono la fede nella chiesa clandestina del paese sono stati portati nei campi di detenzione dove avvengono atrocità lesive della dignità umana simili, se non a volte peggiori, di quelle dei campi nazisti. 

Basti pensare che nel rapporto, che conta ben 117 testimonianze di fuggiti alla persecuzione, si parla di oltre 200 persone punite perché cristiane, insieme alle varie tecniche di tortura come lo strangolamento, la morte per fame e sete, l’avvelenamento da cibo inquinato, la privazione di sonno e le botte continue. Una donna racconta di uomini “pestati come fossero cani...loro gridavano come pazzi dal dolore che provavano” e “sebbene le donne venissero picchiate di meno, io sono stata colpita in faccia e la mia pelle si è squarciata e ho sanguinato molto….mi hanno colpita ancora perché ho pianto”.

Diverse sono state le esecuzioni pubbliche di cristiani trovati con una Bibbia o di altri che hanno portato testi religiosi nel paese. Un testimone racconta in particolare di una persona legata ad un palo e giustiziata davanti a mille persone. O di un altro chiuso in una gabbia elettrica di un metro per uno con l’accusa di essersi convertito al cristianesimo. Ma le torture sono anche “l’essere appeso per le gambe; avere il corpo legato a bastoni...sedersi e alzarsi per centinaia o migliaia di volte ogni giorno; il rovesciamento nelle narici di un liquido di polvere di peperone rosso;...essere costretti ad assistere all'esecuzione o alla tortura di altri prigionieri...”.

C’è poi quello che accade alle donne: nel rapporto si parla di 32 violenze sessuali e di aborti forzati in un campo pre-detentivo nella provincia di Hamgyong dove ad alcune donne gravide sono state iniettate sostanze che le hanno costrette a partorire. E quando i bambini nascevano vivi le guardie li soffocavano con sacchetti di plastica davanti a loro per poi costringerle a mettersi subito al lavoro. Un'altra testimone ha ricordato: “Ero incinta. Quindi, invece di prendermi a calci mi hanno schiaffeggiato...La mia faccia era diventata blu”. 

Non solo, perché mentre si raccontano alcuni esperimenti sui corpi dei detenuti, usati come cavie umane, compare la parte più atroce. Ossia le sevizie di bambine di 3 anni, costrette a subire ispezioni del corpo nudo “degradanti interne e invasive” sia nella vagina sia nell'ano.

Insomma, mentre chi visita Auschwitz oggi si chiede come sia possibile che l’uomo sia arrivato ad accettare come normale l’abominevole (Hannah Arendt descrive nella "Banalità del Male" le SS naziste come persone comuni che semplicemente si erano abituate a fare il peggio obbedendo agli ordini e mettendo a tacere le proprie coscienze), e mentre ce lo si domanda come se si trattasse di una parentesi del passato, ci sono ancora regimi comunisti dove l’abisso del male umano continua a mostrare il suo volto. Pochi media ne parlano perché saperlo costringerebbe a chiedersi come mai. Magari trovando risposta nel comune denominatore di questi poteri: il rifiuto di Gesù Cristo. A dire che la sola possibilità di libertà sta invece in un potere che riconosce che esiste qualcosa di più grande da cui dipendere.

A raccontarlo è questo episodio descritto nel rapporto da un ex detenuto: un intero gruppo fu arrestato per aver “formato una chiesa clandestina composta da adulti e bambini di età variabile, dai 10 anni ai quasi 80 anni di età”. In prigione le famiglie si sono messe a pregare. E quando uno di loro ha domandato agli altri “se avevano paura. Hanno appena sorriso. [Una vittima] ha detto che non aveva paura e mi ha detto: "Gesù ci guarda" [...] Ho cominciato a piangere perché sapevo cosa sarebbe successo a persone come lei, ma mi ha detto di non preoccuparmi. Anche i bambini non piangevano. Sorridevano tutti. Hanno detto che non erano spaventati. Il giorno successivo sono stati tutti inviati a Chongjin Susong, un campo di prigionia”. Nel documentato si parla di 36 casi che hanno coinvolto le famiglie di credenti e in alcuni casi “ciò ha portato all'arresto di bambini anche di 3 anni di età”. 

Perciò, ha affermato un ex pastore detenuto in uno di questi campi, «mi dissero: "Non abbiamo paura delle armi nucleari... ma abbiamo paura di gente come te che porta la fede nel nostro paese. Se questo diventerà il paese di Dio il nostro potere cadrà"».