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LA QUESTIONE

Cooperazione internazionale, Ong scollate dalla realtà

Un gruppo di Ong italiane impegnate nei Paesi poveri richiama i partiti ad “aumentare le risorse” per la cooperazione internazionale fino allo 0,7% del Pil, lamentando l’assenza del tema dai programmi elettorali. Ma le Ong non vedono che oggi milioni di persone e famiglie italiane sono in povertà assoluta, nonché il cattivo uso che si fa degli aiuti stessi al terzo mondo.

Editoriali 20_09_2022

“La cooperazione internazionale non è prioritaria nell’agenda politica di nessun attore in campo. La politica non l’ha mai messa al centro perché i destinatari dell’aiuto alla cooperazione non votano. I politici sono miopi. Continuano a non capire che la cooperazione fatta bene va a beneficio di tutto il Paese. Abbiamo analizzato i programmi elettorali e la cooperazione internazionale, anche questa volta, è una grande assente. Il tema cooperazione è una grossa delusione”. Con queste parole il 6 settembre Giampaolo Silvestri, segretario generale della Fondazione Avsi, una delle organizzazioni non governative italiane più attive, ha dato voce al disappunto e alle critiche delle Ong e delle cooperative impegnate in progetti di assistenza umanitaria e sviluppo in Paesi poveri.

Le riflessioni di Silvestri sono state pubblicate su Vita, il periodico italiano dedicato al terzo settore, che alcuni giorni dopo, il 14 settembre, ha dato spazio a un documento del Cini, il Coordinamento Italiano Ong Internazionali, scritto per richiamare “con forza l’attenzione delle segreterie dei partiti e dei candidati su alcune priorità del nostro Paese”, la prima delle quali è “aumentare le risorse e rafforzare le strutture per il sistema italiano della cooperazione internazionale, rispettando gli impegni presi in sede internazionale”. Il riferimento è all’impegno di destinare entro il 2030 lo 0,70% del Pil agli aiuti internazionali a beneficio in gran parte degli Stati a basso reddito.

Oltre che dotata di maggiori finanziamenti, le Ong vogliono una cooperazione migliore per qualità e che non ponga condizioni ai destinatari degli aiuti. In particolare sollecitano il nostro governo a realizzare nei Paesi partner: uguaglianza di genere e diritti delle donne e delle ragazze, prevenzione delle emergenze e rafforzamento delle comunità locali investendo in sistemi sanitari, educativi, alimentari e di protezione sociale, programmi di lotta al cambiamento climatico e per una transizione ecologica giusta in funzione di un loro sviluppo sostenibile.

Su un punto le Ong hanno ragione. È vero che i programmi elettorali hanno concesso poco spazio alla cooperazione internazionale. Ma non è perché “tanto i destinatari della cooperazione non votano”. Piuttosto è perché votano i donatori che rendono possibile la cooperazione italiana, i cittadini italiani. Ma, in questo momento, è difficile ottenere consenso annunciando che si vogliono stanziare fondi per aiuti e sviluppo di Paesi a basso e medio reddito, figurarsi promettere di portarli allo 0,7% del Pil che, al valore attuale, equivarrebbe a quasi 15 miliardi di dollari.

1,9 milioni di famiglie e 5,6 milioni di persone in Italia sono in condizioni di povertà assoluta. Il tasso generale di disoccupazione è al 7,9%. Tra i giovani sale al 24%. Sfiniti dalla crisi Covid-19, capitata mentre l’economia, segnata da periodi di recessione, già era in grave affanno, gli italiani stanno affrontando una nuova emergenza, quella energetica che, secondo alcuni esperti, determinerà una nuova fase di recessione nel 2023, con una contrazione dell’economia stimata nello 0,7%. Sono i sistemi sanitari, educativi, alimentari e di protezione sociale italiani – tutti in crisi – che necessitano maggiori risorse, tutte quelle reperibili, anche grazie a prestiti e ulteriore indebitamento. Gran parte della popolazione ne è dolorosamente consapevole.

Solo chi si trova in uno stato di un totale scollamento dalla realtà, dai problemi reali del Paese, può chiedere alla popolazione italiana un sacrificio di miliardi mentre urgono investimenti in tanti ambiti di primaria importanza. Proprio chi opera nel settore, inoltre, deve piuttosto esigere dai partiti di amministrare responsabilmente i fondi stanziati nell’ambito della cooperazione internazionale bilaterale e multilaterale a titolo di dono o a condizioni molto favorevoli: decidendo meglio a chi affidarli e perché, sospendendone l’erogazione se necessario e rifiutando di estinguere il debito estero di Paesi che continuano a chiedere capitali che non sanno o non si curano di utilizzare per i fini dichiarati.

Il ministro degli esteri, Luigi Di Maio, in visita a giugno nella capitale Mogadiscio, ha confermato il sostegno italiano alla Somalia nonostante che da quasi 30 anni il suo governo riceva e sprechi i miliardi di dollari offerti dai donatori internazionali, Italia inclusa, destinati a un “New deal” mai neanche realmente programmato. La Banca Mondiale qualche anno fa ha rivelato che i leader somali intascano 7 dollari ogni dieci che ricevono. La stessa banca, che è finanziata tramite contributi dei Paesi più ricchi tra cui l’Italia, a maggio ha concesso a titolo di dono 300 milioni di dollari all’Etiopia per riparare i danni della guerra civile, che però è tuttora in corso.

L’Unione Europea invece a luglio ha deliberato di corrispondere 1,3 miliardi di dollari alla Nigeria come contributo alla diversificazione della sua economia. Due giorni prima il governo del Paese, che è primo produttore di petrolio e prima economia africana, aveva denunciato che solo 132 dei 141 milioni di barili di petrolio prodotti nel primo trimestre del 2022 hanno raggiunto i terminali da cui il greggio viene esportato. Nove milioni di barili sono stati rubati durante il tragitto dai centri di estrazione ai terminali con un danno di un miliardo di dollari per le casse dello Stato.

Le Ong hanno ragione anche su un altro punto. La cooperazione fatta bene va a beneficio di tutti. Ma a parlarne in campagna elettorale il rischio è di non sapere che cosa rispondere a chi domanda se sia lecito e opportuno, tanto più per un Paese con gravi problemi economici e sociali come il nostro, distribuire miliardi senza prima provvedere ai bisogni dei propri cittadini e senza verificare l’uso che viene fatto degli aiuti, siano essi umanitari o per lo sviluppo.