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SCUOLA

Consenso informato, importante ma non è tutto

La campagna per ottenere dal ministro Fedeli l'obbligatorietà del consenso informato dei genitori per i progetti scolastici su temi sensibili è doverosa, ma non basta. La bontà di un progetto dipende dal contenuto, non da chi lo propone.

Editoriali 11_11_2017

E’ in corso una campagna per ottenere dal ministro Valeria Fedeli l’obbligatorietà del consenso informato preventivo dei genitori rispetto ai progetti scolastici di educazione all’affettività e a temi altrettanto sensibili. Le Linee Guida emanate dal Ministro qualche giorno fa non convincono e quindi molte associazioni hanno lanciato questa campagna di pressione a garanzia dei diritti dei genitori a tutela del bene dei figli.

La cosa è giusta e doverosa come contrasto verso una diseducazione di Stato di cui abbiamo avuto – e abbiamo - tanti esempi. Proprio nel giorno stesso dell’emanazione delle suddette Linee Guida ministeriali, in una scuola si davano istruzioni di sesso spinto ai ragazzi delle medie. Tuttavia, bisogna anche tenere presente un aspetto strategico della questione, rispetto al quale questa richiesta dell’obbligatorietà del consenso informato va intesa solo come una tappa. In altri termini: non risolve il problema ed è bene che chi la promuove ne tenga conto.

Possiamo spiegarci prefigurando una situazione limite ma non completamente irrealistica. Ammettiamo che oggi o nel prossimo futuro, i genitori, interpellati dalla scuola su un progetto scolastico omosessualista, o pansessualista, o genderista diano parere favorevole e tutti gli alunni di una classe lo frequentino non perché imposto dall’alto ma perché scelto dal basso. Con ciò vorrebbe forse dire che quel corso sarebbe giusto, moralmente legittimo e positivamente educativo?

Un progetto educativo non è legittimato dal fatto che sia stato deciso dal Ministro o da un dirigente scolastico o da un collegio dei docenti. In questo caso potrà essere legale ma non legittimo. Ma per lo stesso motivo nemmeno un progetto didattico scelto dai genitori e da essi approvato è da considerarsi legittimo solo per questo. Il principio è lo stesso e consiste nel prescindere dai contenuti e affidare la legittimazione a delle decisioni, ora dell’Istituzione scolastica ora dei genitori.

La validità di qualcosa non può essere determinata dalla scelta che qualcuno ha fatto nei suoi confronti, bensì dal bene intrinseco che essa apporta alla persona. Il bene non è mai tale in quanto scelto, al contrario è scelto in quanto è bene. La scelta infatti è, in quanto scelta, immotivata e irragionevole. Il bene, invece, è espressione della verità.

Si badi bene, allora, di non inciampare in quegli stessi inciampi in cui si cerca di fare inciampare il decisionismo omosessualista e genderista delle istituzioni scolastiche ideologizzate. Il pur auspicabile consenso informato non renderà buono un progetto educativo che non lo è, permetterà solo di opporvisi. E’ importante, ma non è tutto. Con un certo rischio – sullo sfondo – di confortare involontariamente l’idea che a decidere il bene e il male siano le opinioni umane.

E’ quanto avviene anche nel campo della richiesta dell’obiezione di coscienza: una legge cattiva non diventa buona e accettabile se permette l’obiezione di coscienza. Si dovrà quindi pretendere il rispetto del diritto all’obiezione di coscienza davanti ad una legge iniqua ma non ci si fermerà lì. Accontentarsi di poter obiettare e accontentarsi di poter dissentire negando il consenso informato non rende buone né le leggi né i progetti che non lo sono.

Non dovrebbe passare il seguente ragionamento: cosa mi interessa se la legge è sbagliata, tanto io posso fare obiezione di coscienza; cosa mi interessa se nella scuola di mio figlio fanno progetti diseducativi, tanto io posso non firmare il consenso informato. Una simile mentalità sarebbe già caratterizzata dal relativismo e potrebbe indebolire la posizione più radicale di chi invece vuole uscire da questo sistema che “concede” il consenso informato per potersi permettere di continuare ad essere diseducativo. Perché ti lamenti se nella scuola ci sono corsi genderisti? Tanto si fanno in altre classi e non in quella di tuo figlio e, comunque, se si facesse in quella di tuo figlio, potresti negare il consenso. Ed intanto i corsi si fanno, col tempo si crea assuefazione e il rifiuto del consenso diminuirà. Lo abbiamo visto in tanti altri campi.

Il discorso è importane perché riguarda il principio di sussidiarietà, tanto caro alla Dottrina sociale della Chiesa. Si dice: la scuola è sussidiaria rispetto ai genitori e quindi deve chiedere il consenso informato. Ma ciò non esime la scuola dall’assolvere al proprio dovere verso il bene e non toglie che i genitori abbiano sì un diritto ma da intendersi come il diritto di assolvere un dovere. Il principio di sussidiarietà va inteso nel quadro di un sistema di diritti che sono preceduti da dei doveri che li legittimano.

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Su “Il Principio di Sussidiarietà” si terrà il 17 novembre prossimo un Convegno a Montefiascone  (Viterbo) della serie “San Tommaso e la Dottrina sociale della Chiesa”, con interventi dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, Stefano Fontana, don Samuele Cecotti, Danilo Caslellano, Giacomo Samek Lodovici, Giovanni Turco, Padre Arturo Ruiz Freites, Umberto Galeazzi. Il Convegno è organizzato dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân, dall’Istituto del Verbo Incarnato (IVE), dalla SITA FVG e dalla Gustav-Siewerth-Akademie.

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