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TERRORISMO

Condannati a morte in Iraq, la sorte degli europei dell'Isis

La magistratura irachena ha condannato a morte i primi 11 foreign fighters, cittadini francesi arruolati volontari nell'Isis. Gli attivisti dei diritti umani accusano il tradimento del diritto. Il governo non vuole intervenire nelle decisioni dell'Iraq. E il ritorno dei foreign fighters è visto da tutti i paesi come un pericolo. Il diritto europeo è a un bivio

Esteri 05_06_2019
I condannati di nazionalità francese

La magistratura irachena ha concluso la prima tornata di processi a carico di  undici cittadini francesi, accusati di essersi uniti alle fila dello Stato Islamico. Per tutti, identica sentenza: pena di morte per reati connessi al terrorismo. Una vicenda che solleva una profonda riflessione all’interno della società francese e, più in generale, di quella europea. Il dilemma tra il rimpatrio dei foreign fighter e la loro condanna a morte riguarda tutti i Paesi europei, sospesi tra la critica morale della pena capitale e l’accettazione della sentenza, che risolverebbe la questione, tra le più complesse, del ritorno di propri cittadini, divenuti combattenti in terra straniera, e possibili “schegge impazzite” del Califfato.

I foreign fighter condannati -  i primi di almeno 450 cittadini francesi, detenuti all’interno dei campi curdi siriani - erano stati catturati dalle forze curde siriane, poi estradati in Iraq lo scorso febbraio, grazie alla collaborazione tra il presidente francese, Emmanuel Macron, e il suo omologo iracheno, Barham Salih. I processi che hanno portato alla loro condanna a morte si sono tenuti in poco più di una settimana, tra il 26 maggio e il 3 giugno.

I combattenti francesi sono stati accusati di aver violato la legge sul terrorismo irachena, essendosi uniti a un’organizzazione terroristica - lo Stato Islamico. Secondo il giudice Ahmed Ali Mohammed, presente ai processi, gli undici avrebbero avuto un ruolo importante nella legittimazione dell’organizzazione a livello internazionale. I francesi potrebbero non aver mai messo piede in Iraq prima del processo, ma questa circostanza non è stata considerata per determinare la loro colpevolezza, dal momento che i crimini dell’Isis in Siria avrebbero avuto conseguenze dirette sull’Iraq.

Con la sconfitta territoriale dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, Baghdad si è offerto di gestire i processi contro le centinaia di persone catturate dai curdi siriani, sospettate di avere legami con l’organizzazione terroristica. Tra le pene previste dalle norme irachene vi è anche la condanna a morte. L’Iraq sarebbe uno dei Paesi con il più alto tasso di pene capitali a livello internazionale, mantenendo il primato insieme a Iran e Arabia Saudita all’interno della regione Mena. Nel 2018, le condanne a morte eseguite in questi Paesi sarebbero state il 91% del totale delle pene capitali nella regione.

Per questo, la reazione delle organizzazioni per i diritti umani e di avvocati di spicco sulla scena francese non si è fatta attendere. Oltre a condannare il ricorso alla pena capitale come principio, essi hanno accusato il governo francese di mancare nella tutela dei suoi cittadini all’estero. In particolare, quarantacinque avvocati difensori hanno firmato una lettera - pubblicata da France Info - accusando l’Eliseo di aver violato la costituzione e di aver strumentalizzato la minaccia del terrorismo per giustificare l’erosione delle protezioni per sospettati e detenuti.

Una posizione difficile quella in cui si trova il governo francese, che da un lato, sul piano dei principi, ha condannato il ricorso alla pena di morte; dall’altro, ha però riconosciuto la competenza statuale delle autorità irachene. Si tratta di processi giusti, secondo Parigi, che ha ripetutamente rifiutato il ritorno in patria dei suoi foreign fighter. “Sono persone che hanno lasciato il territorio francese per combattere, tra l’altro, la Francia, e sono colpevoli di violenze terribili, in particolare in Iraq” - ha dichiarato Laurent Nuñez, segretario di Stato agli affari interni francese - “L’Iraq è uno Stato sovrano che dispensa giustizia. Non abbiamo alcun motivo per opporci al fatto che questi individui vengano giudicati là”. Allo stesso tempo, la Francia ha assicurato che si impegnerà a trasformare la sentenza da pena capitale all’ergastolo.

Parigi non è l’unica a dover affrontare questo dilemma. Al momento, nelle prigioni curde siriane, sono detenuti almeno 800 cittadini europei. Se la nazionalità europea dà diritto ai jihadisti di tornare nei Paesi di origine, il loro rientro rappresenta tuttavia una possibile minaccia per la sicurezza nazionale, a causa della profonda ideologizzazione e delle competenze acquisite sul campo di battaglia. Una questione che merita una riflessione preventiva, dal momento che, se non rimpatriati, questi individui potrebbero essere giudicati da tribunali iracheni, rischiando la stessa sorte dei cittadini francesi.