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CONSACRAZIONE DELLA RUSSIA

Comunione dei vescovi, un bel segnale. Ma bisogna purificarsi

Una lettera del nunzio apostolico negli Usa e un’altra del Celam rivelano come papa Francesco stia coinvolgendo i vescovi di tutto il mondo per la consacrazione del 25 marzo di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. Un segnale molto positivo, accanto al fatto che sembra si tratterà di una vera e propria consacrazione. Ma questa deve accompagnarsi al pentimento, perché il vero male da scongiurare è il peccato, di cui la guerra è una conseguenza.

Ecclesia 19_03_2022

Nelle ultime ore è emerso un nuovo interessante dettaglio sulla consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, che il Santo Padre intende effettuare il prossimo 25 marzo. In una lettera urgente di giovedì 17 marzo, il nunzio apostolico per gli Stati Uniti, monsignor Christophe Pierre, comunica al presidente della Conferenza episcopale statunitense, mons. José H. Gomez, che Papa Francesco «intende invitare ciascun vescovo, o equiparato nel diritto, insieme ai suoi sacerdoti, ad unirsi a questo atto di consacrazione, se possibile, all’ora corrispondente alle 17.00 di Roma». Nella lettera si aggiunge che «nei prossimi giorni, il Santo Padre indirizzerà una lettera di invito ai vescovi, allegando il testo della Preghiera di Consacrazione nelle diverse lingue».

Due giorni prima, il Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) aveva invitato le 22 conferenze episcopali dell’America latina e dei Caraibi (vedi qui) ad unirsi «alle intenzioni del Santo Padre in occasione di questo atto mariano». Appare abbastanza ovvio dunque che il Santo Padre stia coinvolgendo l’intero episcopato mondiale, e non solo quello americano, per questo atto di consacrazione, che assume sempre più una nota di solennità. La lettera del nunzio apostolico confermerebbe altresì che si tratterebbe di un vero e proprio atto di consacrazione, termine ripetuto per ben due volte.

Si tratta dunque di due segnali molto positivi, in linea con quanto la Madonna ha chiesto a Fatima e che di fatto trova eco nel cuore dei semplici, dal momento che l’iniziativa è partita proprio dal basso, ossia dal popolo ucraino, che aveva chiesto ai propri pastori di rivolgersi alla Madre di Dio, ricorrendo a quei rimedi che Ella stessa ha indicato nelle apparizioni del 1917. Questo sguardo che finalmente si rivolge verso la Madre di Dio, attraverso il mezzo della consacrazione al suo Cuore Immacolato - come abbiamo avuto già modo di rimarcare (vedi qui) -, è il segnale più incoraggiante dell’atto del prossimo 25 marzo. La ritrovata consapevolezza che senza Dio non possiamo fare nulla squarcia i cieli chiusi di un mondo e di una “chiesa” ripiegati su sé stessi, sui propri programmi e i propri valori, sganciati da Gesù Cristo o persino a Lui avversi. Il fatto che poi questo avvenga tramite la consacrazione al Cuore Immacolato significa il riconoscimento che Dio ha stabilito la mediazione materna e universale di Sua Madre e di essa si vuole servire per riversare grazie sul mondo.

Tutto molto positivo, dunque. Non si rimarcherà però mai abbastanza che la nostra richiesta a Dio, per non essere ipocrita, dev’essere segnata dal profondo pentimento delle nostre colpe. Non possiamo chiedere a Dio che ci doni la pace, se non siamo disposti a concreti segni di conversione e di riparazione delle colpe. E soprattutto - rischio ancora più sottile - non dobbiamo chiedere a Dio la semplice non belligeranza, una specie di ripristino della situazione al giorno prima dello scoppio della guerra. Ragionamento analogo vale per quanti sperano di tornare a come si stava prima dello scoppio della pandemia.

Quando Dio permette eventi dolorosi, ha sempre di mira una purificazione. Perché, dal punto di vista di Dio, il vero male da scongiurare è il peccato, di cui la guerra e le calamità sono una conseguenza. Noi vorremmo evitare le conseguenze dolorose del peccato, vorremmo stare bene, in pace, in salute, ma senza dover “purgare” il male presente in noi stessi e nel mondo. Magari in fondo ci spiace pure che l’aborto e l’industria, che di questo atto criminale si avvale, dilaghino; forse ci troviamo contrari all’eutanasia, come anche alla diffusione della cultura gender; ancora, siamo contristati nel vedere le chiese vuote, il culto privato del “sacro”, l’apostasia generale, etc. Però in fondo non ci dispiacerebbe continuare a vedere che tutto questo male continui ad essere affiancato dalla prosperità economica, da una situazione più o meno di “pace”, dalla salute e dal benessere. È questa la grande trappola che ci è preparata davanti: sperare nei beni che provengono dal Signore, accettando però che, nel contempo, il Signore di questi beni sia offeso, bestemmiato, trattato con indifferenza.

Valutare così l’atto di consacrazione, come un intervento della Madonna che ci dia intanto la pace (e poi vediamo...), significa in fondo servirsi di Dio per raggiungere i nostri obiettivi, come il genio della lampada, e non servire Dio perché venga il Suo Regno. Non si mediterà mai abbastanza sull’ammonimento che Dio ha rivolto al Suo popolo, per mezzo del profeta Geremia; quel popolo che “confidava” nella presenza del Signore nel Suo Tempio, ma che non cessava dal compiere quanto era in abominio ai Suoi occhi: «Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo. Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo! Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni [...], io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini» (Ger 7, 3-5.7-11). Parole di fuoco, parole che purificano.

Il condensato del messaggio di Fatima - che non fa altro che riproporre il senso profondo di tutta la storia sacra - si ritrova nell’accorato appello della Madre di Dio, il giorno dell’ultima apparizione, allorché, assumendo un aspetto triste, si era rivolta così ai pastorinhos: «Non offendano più Dio Nostro Signore, che è già molto offeso». È questa richiesta della SS. Vergine che ci deve orientare, facendo sì che la nostra più grande preoccupazione, in questo momento storico, sia che il mondo venga purificato dal peccato, non esentato dalla guerra, che è appunto una conseguenza. Perché il male dev’essere tolto, non ignorato o scusato.

Non siamo spettatori di fronte all’azione del Cielo; non siamo nemmeno spettatori di fronte ai peccati degli altri, siano essi politici, pastori, generali, etc. Noi siamo chiamati, in prima persona, alla conversione e alla riparazione, perché la volontà di Dio di salvare gli uomini trovi «un qualche appiglio di bene, un inizio da cui partire per tramutare il male in bene, l’odio in amore, la vendetta in perdono. Per questo i giusti devono essere dentro la città, e Abramo continuamente ripete: “forse là se ne troveranno...”. “Là”: è dentro la realtà malata che deve esserci quel germe di bene che può risanare e ridare la vita. È una parola rivolta anche a noi: che nelle nostre città si trovi il germe di bene; che facciamo di tutto perché siano non solo dieci i giusti, per far realmente vivere e sopravvivere le nostre città e per salvarci da questa amarezza interiore che è l’assenza di Dio. E nella realtà malata di Sodoma e Gomorra quel germe di bene non si trovava» (Benedetto XVI, Udienza Generale, 18 maggio 2011).