Comunione ai risposati, preti e vescovi fanno a gara
Nella diocesi di Bergamo ci si vanta di usare questa prassi già da anni. Nelle Filippine invece è la Conferenza Episcopale che ordina la "comunione per tutti" e da subito per seguire le indicazioni di Amoris Laetitia. Ma il peggio sarà la "caccia" ai preti che non intendono venir meno agli insegnamenti della Chiesa.
«Da “artigianato locale” a prassi della Chiesa». Così il settimanale della diocesi di Bergamo, Sant’Alessandro, con una sintesi efficace brinda alla comunione ai divorziati risposati. Finalmente «alla luce del sole», esulta monsignor Alberto Carrara, il parroco che ha firmato l’articolo. Alla luce del sole in realtà sta venendo tutta quella parte di Chiesa che in questi anni se ne è fregata altamente delle indicazioni pastorali oltre che dottrinali stabilite dal magistero. Come abbiamo già scritto alcuni giorni fa, non sorprende dopo decenni di magistero parallelo insegnato in seminari e università pontificie. Forse un po’ sorprende la velocità con cui escono fuori coloro che ormai si sentono profeti della “nuova Chiesa”, che la vivevano già tanto tempo prima dell’attuale pontificato.
E meno male che sabato, tornando dall’isola di Lesbo, rispondendo alla domanda di un giornalista papa Francesco se l’è presa con i media che hanno ridotto l’evento dei sinodi a un referendum sulla comunione ai divorziati risposati. Il Papa dovrebbe guardare piuttosto a preti e vescovi impegnati in una gara a chi rivela per primo di aver già dato la comunione ai divorziati risposati e a chi ne ha date di più. Come se si stessero disputando il Gran Premio della Misericordia. Non solo la diocesi di Bergamo; all’indomani della pubblicazione dell’esortazione apostolica era stato don Giovanni Cereti, sacerdote genovese trapiantato a Roma, in una intervista al Quotidiano Nazionale ad affermare orgoglioso che lui lo fa già da 40 anni. Don Cereti è l’autore di un vecchio libro sessantottino su “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva”, ristampato per l’occasione alla vigilia del doppio Sinodo, facendo la fortuna dei sostenitori della “Comunione per tutti”.
E ancora: nelle Filippine è addirittura la Conferenza episcopale a correre: «La Misericordia non può aspettare», afferma in una lettera a tutti fedeli dell’arcipelago il presidente della Conferenza episcopale Socrates Villegas. Seguiranno direttive concrete da parte dei vescovi però intanto «già fin d'ora vescovi e preti devono aprire braccia accoglienti a coloro che si sono tenuti fuori dalla Chiesa per un sentimento di colpa e di vergogna. Il laicato deve fare lo stesso».
E casomai più che con i giornalisti in generale, il Papa dovrebbe prendersela con quelli che qualcuno ha chiamato “i turiferari”, e anche con i suoi collaboratori più stretti che da due anni impongono ai giornalisti il tema della comunione ai divorziati risposati. E lo hanno fatto anche all’indomani della pubblicazione dell’esortazione apostolica, per essere sicuri che il messaggio passasse chiaramente (leggere qui per una selezione degli interventi al proposito). È proprio così scandaloso sospettare che alla fin fine i due anni e mezzo di dibattito sulla famiglia servissero proprio a promuovere tale prassi?
Non sorprende perciò che lo stesso monsignor Carrara citato all’inizio si sia stupito del rumore provocato dal suo articolo. E nella replica, tra le altre cose, racconta i suoi colloqui con coppie di divorziati risposati, che vale la pena riprendere perché spiega meglio di qualsiasi altro discorso il valore che certo clero dà ai sacramenti:
«Molte volte ho incontrato persone che erano passate a nuovo matrimonio. Con loro facevo un discorso pressappoco così. “Il tuo matrimonio, il primo, quello che è fallito, è indissolubile. Questo è scritto nel vangelo. Non ce l’hai fatta a viverlo fino in fondo: vivere come una sola carne non è cosa facile, lo so perché me lo ripetono anche quelli che non si separano, e vivere così per tutta la vita è difficile”.
“Ma è stato lui a andarsene via con la segretaria…”, mi rispondevano; “Ma vivere insieme era diventato un inferno”, “Saremmo stati costretti a fingere per tutta la vita”… Ascoltavo. Spesso ritornavano lacrime.
Continuavo: Tu protesti perché la Chiesa ti esclude dai sacramenti. Permetti che anche la Chiesa abbia qualche difficoltà a decidere, con quel vangelo in mano? Vedi tu. Puoi anche vivere la tua fede senza confessarti e fare la comunione, sei cristiano, sei cristiana a tutti gli effetti.
“Scusa, però, perché allora insistete tanto sull’eucarestia?”. Ascoltavo. Non riuscivo a rispondere perché quell’obiezione, in fondo, la facevo anch’io a me stesso, alla Chiesa di cui, in quel momento, ero visto come rappresentante in qualche modo ufficiale. Mi sentivo come sdoppiato, insieme accusatore e accusato.
Continuavo: “Ma, secondo me, puoi anche decidere di accostarti ai sacramenti. Ti do l’assoluzione. Non significa però che il problema è risolto. Resta sospeso. Soltanto, in coscienza, da prete, mi pare di non poterti dire che sei condannato per tutta la vita. Tu ti assumi la responsabilità di chiedere l’assoluzione, io di dartela. E aspettiamo con fiducia”.
Dopo aver dato quell’assoluzione mi sentivo sempre assolutamente tranquillo. Ho sempre pensato che, se andrò all’inferno, non sarà certo per quelle assoluzioni. Sarò forse pretenzioso ma mi sembra che la Chiesa, alla fine, mi ha dato ragione».
Ma questo è ancora niente. Perché ora si apre anche la caccia ai preti che invece non ritengono di dare la comunione a chi convive o si è risposato dopo un primo matrimonio. Il format è già collaudato: il prete fa un discorso generale, alla singola coppia o ad un gruppo, qualcuno comincia a lamentarsi delle idee retrograde e senza misericordia del parroco, c’è sempre un giornalista pronto a raccogliere gli sfoghi dei “discriminati” dal prete, e il caso è bello che montato. Segue linciaggio mediatico del prete e - in molti casi - la presa di distanza del proprio vescovo.
Il format è già diventato operativo ancor prima dell’esortazione apostolica: a suo tempo riportammo il caso del sacerdote di Cameri, diocesi di Novara, ma più recentemente a farne le spese è stato il parroco di Montemurlo, nella diocesi di Pistoia. Padre Maurizio Vismara, brianzolo e religioso betharramita, si è visto dedicare una pagina dal quotidiano locale Il Tirreno perché a una riunione di genitori con bambini che si preparano alla Prima comunione, ha detto che non avrebbe potuto dare la comunione a coloro che erano in situazioni irregolari. Uno dei presenti ha creato il caso su cui il giornale è andato ovviamente a nozze. Ma è solo un assaggio. Nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. E magari anche l’annuncio ufficiale del prossimo obiettivo: il celibato dei sacerdoti. Forse che anche questo non potrà essere definito un ideale, ma un giogo troppo pesante per tanti preti comuni?