Comunione ai divorziati risposati, Milano spiana la strada
Un lungo documento della Curia ambrosiana, come attuazione di Amoris Laetitia, sprona i parroci a promuovere il cammino ai sacramenti di quanti sono divorziati e risposati. La parola magica è discernimento, ma nei fatti è la legittimazione dell'adulterio, con anche la giustificazione biblica al sesso fuori dal matrimonio. Aggiornamento: la Curia ha ritirato il documento.
Aggiornamento 19 agosto, ore 10.00:
La Curia di Milano corre ai ripari e ritira il documento sui sacramenti ai divorziati risposati. Lo fa con una lettera ai Decani del vicario episcopale per l'Educazione e la celebrazione della Fede, che parla di «malinteso». Ecco il testo della lettera:
"Carissimi, vi spero bene, contenti del Vangelo e di un buon riposo.
Domenica 14 c.m. avete ricevuto da don Michele Aramini una sua “Guida” per la formazione nei decanati intorno ad Amoris laetitia VIII. L’invio del testo è frutto di un malinteso, di cui io per primo chiedo perdono. Vi chiedo pertanto di non tenerne conto.
Soltanto – ricordando tra l’altro non pochi di voi presenti al Percorso formativo negli anni scorsi – confermo che la diffusione e la condivisione delle prospettive pastorali in merito continuerà con le Fraternità del clero e gli operatori pastorali intorno al volumetto Accompagnare, discernere, integrare. Percorso formativo su Amoris lætitia cap. VIII, Centro Ambrosiano, Collana Documenti 3.
Vi auguro ogni bene.
Un abbraccio.
don Mario Antonelli
Vicario Episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della Fede
La Curia di Milano s’è desta. Purtroppo. Uno dei vantaggi della pandemia era stato quello di mettere temporaneamente in naftalina l’apertura di Amoris Laetitia ai sacramenti per i divorziati risposati. Tutta l’attenzione era rivolta alle mascherine, ai disinfettanti, ai batuffoli di cotone per le unzioni sacramentali, e lo sforzo titanico della diocesi era confluito nell’impedire ai temerari untori di propagare il virus mediante la pericolosissima pratica della Comunione sulla lingua. Dopo oltre due anni di esclusione, senza alcuna eccezione, dalla Santa Comunione di fedeli che avevano il diritto di riceverla, la Diocesi meneghina si riscopre accogliente. Anzi, a modo suo, riscopre persino un diritto dei fedeli.
Un pro-manuscripto di don Michele Aramini, responsabile dell’Ufficio per l’accoglienza dei fedeli separati, inviato ai Decani della diocesi, con indicazione di diffusione a tutti i sacerdoti, lamenta che «ci sono dei presbiteri che volontariamente non forniscono le informazioni necessarie, sia per opposizione all'apertura del Papa Francesco, sia anche in ragione di mancanza di procedure a livello diocesano, oppure per la stessa ignoranza delle procedure che le diocesi hanno attuato. Si comprende che ci troviamo di fronte a una questione grave di giustizia, oltre che di carità: i fedeli hanno diritto al cammino spirituale proposto dal magistero in AL». Di quale “diritto” si parli non è difficile capirlo. Nonostante la verbosità e prolissità del documento, che chiede agli “accompagnatori” di entrare nella complessità delle situazioni, stringi stringi l’obiettivo è quello di far pervenire persone in situazione matrimoniale irregolare ai sacramenti.
Ovviamente non tutte; ovviamente non in modo automatico; ovviamente non senza un percorso. Ma la conclusione è sempre quella: «ciò che viene proposto è un discernimento caso per caso». Tutti insieme no, ma uno alla volta sì.
Il riferimento di don Aramini è «l’approvazione che lo stesso Santo Padre Francesco ha dato alle riflessioni pastorali dei vescovi della regione di Buenos Aires»; per cui «sarebbe molto opportuno rileggere sia il documento dei vescovi argentini del 5 settembre 2016 sia l'approvazione data da Papa Francesco, in una lettera inviata a monsignor Sergio Alfredo Fenoy»; risposta che costituisce «l'unico commento ufficiale a una interpretazione di Amoris Laetitia», dal momento che quattro cardinali non sono stati degnati di alcuna risposta ai doverosi dubia proposti.
Come per AL, anche per la diocesi di Milano, «la proposta della continenza è possibile, ma la sua fattibilità è spesso incerta (vedi nota 320 di AL). In ogni caso l’assenza di continenza non impedisce l’eventuale accesso ai sacramenti». Nonostante don Aramini assicuri che questa conclusione «non ha soppresso la dottrina tradizionale della Chiesa, ma l’ha chiarita e completata, l’ha sviluppata in una prospettiva spirituale-pastorale», è piuttosto difficile argomentare una coerenza tra l’affermazione di compatibilità tra convivenza more uxorio e recezione dei sacramenti da una parte, e dall’altra l’affermazione che «la riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che […] sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio», ovvero l’astensione «dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris Consortio, 84).
L’unica modalità per velare la palese contraddizione è guardare da un’altra parte. E infatti, don Aramini invita proprio ad un cambio di prospettiva: «Questa preoccupazione, questa insistenza sulla sessualità delle persone divorziate non dovrebbe essere al cuore dell'accompagnamento dei battezzati in situazione complessa […]. In questo ambito, ci vuole molto pudore». L’enfasi dev’essere posta sul discernimento, che «passa attraverso un esame di coscienza che riguarda particolarmente l’attitudine della persona divorziata di fronte ai suoi figli e al suo ex coniuge». Se hai perdonato il coniuge, se ti prendi cura dei tuoi figli, se ammetti le eventuali tue responsabilità all’origine della rottura della convivenza matrimoniale, allora l’adulterio smette di essere tale.
Anzi. Il testo di don Aramini si effonde sull’importanza e positività della relazione sessuale anche fuori dal matrimonio, che avrebbe addirittura una “giustificazione” biblica: «come dice il libro della Genesi: non è bene che l'uomo sia solo (2,18). Questa affermazione della Genesi è paradossalmente il fondamento di molte coppie ricostituite. Infatti, nel periodo transitorio le persone scoprono la loro impossibilità radicale a vivere nella solitudine». Addirittura, parlando delle coppie di divorziati risposati anziani, oltre a ribadire che «la richiesta di vivere la continenza può essere una prova troppo dura», si afferma la positività della sessualità (= adulterio) nel «realizzare una capacità persistente di relazione all'altro in un contesto in cui le relazioni si restringono molto. Da molto tempo queste persone vivono come sposi, si amano come sposi e sarebbe una mistificazione non considerare il bene che si sono voluti e che si vogliono. Nonostante che essi abbiano violato il segno dell'alleanza, questo bene può essere considerato come un dono di Dio, che spesso ha generato nuove vite, di cui si sono presi cura con amore. Ora chiedere a una persona malata di Alzheimer di non esercitare la sessualità, che forse è l’unica forma di tenerezza che ancora gli resta, ha molto senso?». Ma ha molto senso vivere come sposi, amarsi come sposi, generare come sposi, senza essere sposi? Così, per sapere.
Che fare in concreto dopo il “percorso spirituale”, sapendo che continuano a persistere «delle situazioni di minore disponibilità al cambiamento proposto da AL»? Nelle comunità più aperte si possono pensare testimonianze di qualche coppia irregolare che «ha percorso la via spirituale» come «un felice complemento a un’omelia che tratta questi temi». O ancora, nelle comunità in cui «i divorziati risposati si comunicano regolarmente senza provocare sorpresa o scandalo» si può rendere pubblico il loro ritorno ai sacramenti e dedicare delle catechesi ad hoc.
Invece, le comunità «meno abituate a questo genere di accoglienza» vanno sostanzialmente rieducate, sviluppando «una catechesi a partire dal capitolo 11 della prima lettera di San Paolo ai Corinti, dove si dice della necessità per ciascuno di esaminare se stesso (11, 28)». In pratica il solito modo per azzittire chi legittimamente solleva critiche al Nuovo Corso, ossia martellando sul fatto che «coloro che fino a ieri sono stati trattati come pubblici peccatori, ora che questi battezzati hanno percorso la via spirituale, precederanno i parrocchiani, che credono di essere giusti, nel Regno dei cieli». Va da sé che la “via spirituale” sia quella di fare il percorso con l’ “accompagnatore” per continuare a vivere more uxorio senza più alcun rimorso di coscienza.
Nel frattempo, «fino a quando dura lo stato di impreparazione delle comunità parrocchiali la recezione della comunione eucaristica potrebbe avvenire in un'altra parrocchia, se si tratta di un contesto urbano. Se invece si tratta di un contesto rurale si potrà fare ricorso alle cappelle di comunità religiose, a luoghi di pellegrinaggio, o molto semplicemente in quelle parrocchie dove si sa che il parroco è accogliente e la comunità ben disposta». Finito il discernimento, gabbato lo parroco.
“Lo parroco” viene preso per il naso anche tramite la costruzione di una rete sotterranea di accompagnatori e preti. Leggere per credere: «Se l'accompagnatore spirituale non è prete, egli dovrà indicare al fedele il nome di un confessore aperto allo spirito di AL, magari facendo precedere alla confessione un messaggio molto semplice al confessore, in cui si dice: “ho consigliato a Paolo Bianchi o ad Anna Rossi di cercarvi, al termine del suo cammino di discernimento”». Insomma, raccomandazione con segnale in codice. Finale vergognoso, degno de Il Padrino.