Como, dai paleocristiani a Sant'Abbondio
Restauri ottocenteschi hanno datato tra la fine del IV e la prima metà del V secolo le fondamenta di una basilica paleocristiana fuori le mura di Como, lungo la strada Regina. La dedicazione agli Apostoli fu già dal IX secolo sostituita con quella a Sant’Abbondio, divenuto poi patrono della città e di tutta la diocesi, che qui era stato sepolto.
Restauri ottocenteschi hanno datato tra la fine del IV e la prima metà del V secolo le fondamenta di una basilica paleocristiana fuori le mura di Como, lungo la strada Regina, in un’area già destinata al culto vista la presenza di necropoli romane. Non si è certi, invece, se essa sia stata voluta da Felice, primo vescovo ed evangelizzatore della città, piuttosto che dal presule Amanzio, che l’avrebbe eretta per custodirvi alcune reliquie dei SS. Pietro e Paolo portate da Roma. La dedicazione agli Apostoli fu già dal IX secolo sostituita con quella a Sant’Abbondio, divenuto poi patrono della città e di tutta la diocesi, che qui era stato sepolto. Dal 1010 la chiesa fu affidata ad una comunità di monaci benedettini che ne decise la completa ricostruzione, facendola consacrare da papa Urbano II nel 1095. A loro si deve, dunque, la veste romanica che la contraddistingue.
L’architettura è in pietra grigia di Moltrasio. La facciata a salienti è scandita da contrafforti che ne lasciano intuire la divisione interna in cinque navate. Rilievi a motivi vegetali e geometrici decorano finemente la ghiera e l’intradosso dell’arco del portale, mentre figure di animali, aquilotti, colombe e felini, sono incastonate nelle forme dei capitelli. Caratteristici di questa struttura, lungo il cui perimetro si rincorrono archetti ciechi, sono il profondo coro e i due campanili gemelli che si ergono alla fine delle navate intermedie, soluzione, questa, poco diffusa in Italia e più comune, invece, nella zona renana.
Lo spazio interno è definito dalla luce che penetra dalle grandi finestre dell’abside e scivola lungo le pareti dell’aula determinate da un considerevole slancio verticale. L’ingresso è sovrastato da una tribuna, addossata alla controfacciata, che nell’impianto romanico custodiva le reliquie dei Santi Rubiano ed Adalberto, le cui storie sono frammentariamente illustrate in lacerti di affreschi. Robusti pilastri e colonne monolitiche spartiscono le cinque navate. Quella centrale è ricoperta da un soffitto ligneo piano, quelle laterali sono rivestite da capriate: solo il coro è voltato e affrescato con un cielo stellato. E’ qui che si sviluppa uno dei cicli pittorici più integri del primo Trecento lombardo.
Fu eseguito da un pittore anonimo, semplicemente identificato come Maestro di Sant’Abbondio, nel decennio compreso tra il 1315 e il 1325, ovvero durante l’episcopato di Leone Lambertenghi, probabile committente dell’opera. Al prelato si ricondurrebbe l’ideazione del programma iconografico che, mettendo in relazione scene evangeliche con figure del Vecchio Testamento, vuole illustrare la promessa e la realizzazione della salvezza cristiana, e la sua continuità nell’esperienza ecclesiale.
L’annunciazione dell’arco trionfale introduce ad una teoria di santi attorno a Cristo benedicente. Nel catino absidale Gesù è tra Maria e Giovani e i SS. Pietro e Paolo, titolari della primitiva basilica. Al di sotto si distribuiscono venti episodi della vita di Gesù, incorniciati da costoloni dipinti con figure diverse: profeti, personaggi allegorici, patriarchi, animali grotteschi.
Accanto all’altare maggiore una statua attribuita a Tommaso Rodari riproduce l’effige del Santo Patrono che riposa sotto l’altare maggiore accanto ai vescovi Console ed Esuperanzio.