Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giacomo della Marca a cura di Ermes Dovico
EDITORIALE

Come Thiago Silva questo Brasile non può morire

L'immagine simbolo è la mano destra di David Luiz, alzata per chiedere scusa ad un popolo intero. In quella mano c'è la speranza di un Paese che non abbandona i suoi giocatori alle guerre per bande (come in Italia). C'è l'orgoglio di un popolo, simboleggiato nella storia di Thiago Silva, il capitano che non doveva venire al mondo.

Editoriali 10_07_2014
Il difensore Thiago Silva

L'immagine che sta facendo il giro del Brasile è la mano destra di David Luiz, alzata per chiedere scusa ad un popolo intero. Il pianto strozzato negli occhi e quella mano nella quale c'è molto di più di una partita di calcio finita malamente di fronte alla corazzata tedesca. In quella mano c'è la speranza di un Paese che non abbandona i suoi 11 giocatori alle polemiche e alle guerre per bande a cui siamo abituati in Italia dopo essere usciti dalla prima fase a gironi.

 “Volevo solo fare felice il mio popolo”, ha detto il difensore verdeoro in lacrime. E il suo popolo gli ha risposto attraverso i social in un coro praticamente unanime: “Isso vale mais que uma copa”, questo vale più di una coppa. Paese misterioso che è capace di passare dalla festa variopinta di samba e lustrini al pianto più disperato nel volgere di una notte. Ma anche un Paese orgoglioso, che conosce il duro prezzo della miseria e sa probabilmente meglio di noi mettere in fila le priorità. Oggi sui social brasiliani non c'è acredine, anzi semmai c'è quella fatalista consapevolezza che il Brasile è comunque un grande popolo che ha saputo presentarsi all'appuntamento dei Mondiali con gli stadi in regola e la sua straordinaria capacità di accogliere i tifosi di mezzo mondo. 

Ma è anche un Paese che oggi più che mai considera la disfatta contro la “Alemania” una tragica fatalità che non sposta di un centimetro l'orgoglio patrio. Semmai lo amplifica. Sarà che probabilmente la maggior parte dei giocatori della Selecao vengono da quell'universo di baracche di lamiera all'interno dei quali il calcio è l'unico passaporto verso la propria salvezza. E' stato così per tanti fuoriclasse del passato. Ed è così anche oggi che il Brasile è considerato il Paese che assieme all'India cresce a ritmi vertiginosi in termini di Pil. Ma è soltanto la dura legge della favela che è in grado di imprimere un carattere, un marchio di dignità fuori dal comune.

Come la storia del capitano Thiago Silva dimostra. Doveva essere abortito dalla madre. La notizia è passata in sordina nel circuito mediatico perché non si può parlare di morte quando i mondiali celebrano la vita e la forza atletica. Eppure nella storia raccontata da dona Angela da Silva appena 15 giorni fa alla principale emittente carioca, c'è probabilmente la spiegazione della grande dignità brasiliana di fronte alla sconfitta. Thiago Silva ha assistito impietrito alla disfatta della sua squadra, le tv lo hanno immortalato con le mani tra i capelli. Lui il capitano, l'unico vero fuoriclasse, dentro e fuori dal campo, di un equipo tutto sommato modesta, oscurato dalla freschezza mediatica di Neymar, lui poteva non essere allo stadio di Belo Horizonte l'altra sera. La madre Angela considerò seriamente la possibilità di abortirlo. Lo ha detto lei stessa nel corso di uno speciale della tv O Globo dedicato alla vita dell'ex centrale del Milan, oggi in forza al Psg. 

Esattamente 30 anni, nell'estate del 1984, Angela si recò dal padre in lacrime: “Papà, non vorrei abortire, ma non sono nelle condizioni di avere un bambino”. Il padre, il futuro nonno di Thiago, cercò di convincerla del contrario. Come? Nel modo forse oggi più scomodo, ma al fine più vero: “Me lo impedì, mi disse che non potevo commettere un peccato”. A quella parola, in dona Angela scattò un meccanismo decisivo. Una grazia? Sicuramente sì. La stessa parola che oggi cerchiamo di nascondere perché inopportuna, demodè, decisamente fuori tempo.

Eppure se Thiago Silva oggi è potuto uscire con successo dalla favela di Santa Cruz, sempre presidiata dalla polizia, se Thiago ha potuto anche vincere una grossa infezione di tubercolosi all'età di 14 anni, è stato possibile perché la madre al sentire quella parola, peccato, ha considerato un'altra strada rispetto a quella che la paura e lo sconforto stavano dettando nel suo cuore. Si è fidata e affidata. E ci ha consegnato non solo uno dei difensori più raffinati e forti del panorama mondiale, ma un uomo vero che non ha trovato la disperazione in quella maledetta sera del Mineirao. Ed è per questo che il popolo brasiliano non può scaricare la propria rabbia sui suoi giocatori. Perché sa che dietro la camisinha verdeoro ci sono anche uomini veri, che hanno già sconfitto la morte.