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PAPA FRANCESCO

Come risponde un cristiano alla persecuzione?

Nel Regina Coeli del 14 aprile e nell’omelia celebrata nella Messa per la sua prima visita a San Paolo fuori le Mura Papa Francesco ha proposto una riflessione sulla persecuzione dei cristiani, e sul modo in cui il cristiano deve rispondere.

Ecclesia 15_04_2013
Papa Francesco

Nel Regina Coeli del 14 aprile e nell’omelia celebrata nella Messa per la sua prima visita a San Paolo fuori le Mura Papa Francesco ha proposto una riflessione sulla persecuzione dei cristiani, e sul modo in cui il cristiano deve rispondere a un mondo che ancora oggi tanto spesso lo perseguita. Ne è emersa una vera e propria spiritualità della persecuzione, molto appropriata per il tempo presente.

La liturgia della Terza Domenica di Pasqua propone una pagina degli Atti degli Apostoli. Questa lettura – ha commentato il Papa nel Regina Coeli – riferisce che «la prima predicazione degli Apostoli a Gerusalemme riempì la città della notizia che Gesù era veramente risorto, secondo le Scritture, ed era il Messia annunciato dai Profeti. I sommi sacerdoti e i capi della città cercarono di stroncare sul nascere la comunità dei credenti in Cristo e fecero imprigionare gli Apostoli, ordinando loro di non insegnare più nel suo nome». Ma Pietro e gli altri Apostoli rispondono: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù… lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore… E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo» (At 5,29-32). Allora le autorità di Gerusalemme fecero flagellare gli Apostoli e «comandarono loro nuovamente di non parlare più nel nome di Gesù».

Per quanto la flagellazione sia una pena crudele, gli Apostoli se ne vanno forti e sereni, «lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (v. 41). Qui davvero – ha aggiunto Papa Francesco a San Paolo fuori le Mura – «colpisce la forza di Pietro e degli altri Apostoli»: «non li ferma nemmeno l’essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati». La prima riflessione di Papa Francesco è che questa pagina è molto attuale. Le persecuzioni non sono solo un fatto dei primi secoli. Ci sono ancora oggi.
I «cristiani che soffrono persecuzione – ha detto il Pontefice aggiungendo a braccio durante il Regina Coeli qualche parola al testo scritto – sono tanti, tanti, e in tanti Paesi». Per la seconda volta nel corso di questa settimana, Francesco ha voluto ricordare al mondo il dramma dei cristiani perseguitati.

Il 6 aprile nella Messa a Santa Marta il Papa aveva posto la domanda: «Come va, la nostra fede? È forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose?». Quando arrivano difficoltà e persecuzioni «siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?». Pietro – ha osservato il Papa – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché «la fede non si negozia». Sempre «c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede», la tentazione di essere un po’ «come fanno tutti», quella di «non essere tanto, tanto rigidi». «Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore».

Già a Santa Marta il Pontefice aveva ricordato che «per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi. I cristiani sono perseguitati per la fede. In alcuni Paesi non possono portare la croce: sono puniti se lo fanno. Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa dei martiri». La seconda riflessione di Papa Francesco riguarda l'atteggiamento appropriato di fronte alle persecuzioni, ieri come oggi. «Dove trovavano i primi discepoli – si è chiesto al Regina Coeli – la forza per questa loro testimonianza? Non solo: da dove venivano loro la gioia e il coraggio dell’annuncio, malgrado gli ostacoli e le violenze?». Quelli che si trovano in questa drammatica situazione sono uomini semplici.

«Non dimentichiamo che gli Apostoli erano persone semplici, non erano scribi, dottori della legge, né appartenenti alla classe sacerdotale. Come hanno potuto, con i loro limiti e avversati dalle autorità, riempire Gerusalemme con il loro insegnamento?». La risposta non può che essere di carattere spirituale. «È chiaro che solo la presenza con loro del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto. La loro fede si basava su un’esperienza così forte e personale di Cristo morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno, e addirittura vedevano le persecuzioni come un motivo di onore, che permetteva loro di seguire le orme di Gesù e di assomigliare a Lui, testimoniandolo con la vita».

Questo insegnamento, però, è più profondo di quello che sembra. «Questa storia della prima comunità cristiana ci dice una cosa molto importante, che vale per la Chiesa di tutti i tempi, anche per noi: quando una persona conosce veramente Gesù Cristo e crede in Lui, sperimenta la sua presenza nella vita e la forza della sua Risurrezione, e non può fare a meno di comunicare questa esperienza. E se incontra incomprensioni o avversità, si comporta come Gesù nella sua Passione: risponde con l’amore e con la forza della verità». Chi ha davvero incontrato Gesù non prende neppure in considerazione l'idea di rinunciare, di tirarsi indietro. Annuncia «con franchezza e coraggio la Risurrezione del Signore».

A Pietro – ha ricordato il Pontefice a San Paolo fuori le Mura – era stato profetizzato da Gesù che qualcuno un giorno lo avrebbe portato «dove non voleva», al martirio. È una parola «rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita». Ma questo non vale solo per i vescovi e i sacerdoti. Vale «per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio?».

Questo non significa che tutti siano chiamati al martirio. «La testimonianza della fede ha tante forme, come in un grande affresco c’è la varietà dei colori e delle sfumature; tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia». Ci sono, ha detto il Papa, «i santi di tutti i giorni, i santi “nascosti”, una sorta di “classe media della santità”», « di cui tutti possiamo fare parte». E c’è la «testimonianza segnata dal prezzo del sangue» dei martiri. Sono due forme di testimonianza molto diverse, ma che hanno in comune la coerenza della vita.

«Ricordiamolo bene tutti – ha ammonito il Pontefice –: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio!». Predica in modo efficace solo chi predica con la vita. «L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa». La coerenza non nasce mai solo da una nostra decisione. Nasce dalla preghiera di adorazione che tutti dobbiamo a Dio. «Vorrei – ha detto il Papa – che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo?».

Ma che cosa vuol dire adorare Dio? «Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia».

Ai martiri antichi era chiesto di adorare gli idoli. Rifiutavano per coerenza con il loro cristianesimo, ed erano uccisi. Anche noi viviamo in un mondo che ci propone «tanti idoli piccoli o grandi», che purtroppo spesso accettiamo di adorare e «nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri».

Vorrei – ha concluso Papa Francesco – «che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita». Il martire è chi, qualunque sia il rischio, rifiuta di adorare gli idoli e continua a testimoniare. Così, ultimamente, si sconfiggono i persecutori.