Colto sul "Fatto", il Papa non fa ridere
La vignetta di Giovanni Paolo II sull'inserto de Il Fatto non fa ridere. Aridatece allora Guareschi. Persino in Thailandia fan la fila per i suoi film.
Non ricordo più dove ho visto la foto di Marco Travaglio che fa la comunione. Invito la "Bussola" a pubblicarla perché la cristiana correzione è un dovere cattolico. Così, tanto per ricordargli che non siamo musulmani. Infatti, il paradiso in cui il suo giornale, in vignetta, ha schiaffato Wojtyla è quello islamico, con le settanta vergini a cui, povere donne, ricresce dopo ogni copula l’imene.
È vero, l’inserto satirico de Il Fatto è adesso diretto, se non ricordo male, da Stefano Disegni e, tecnicamente, non c’entrano più né Luca Telese, predecessore, né Travaglio. En passant, gli ultimi due hanno lavorato anni per il berlusconiano il Giornale: tanto per dire qual sia il giro mentale di chi per professione fa il giornalista. Come Marat, Mazzini, Marx (chissà perché tutti quelli che hanno la vocazione a insegnare al prossimo, anziché lavorare alle elementari vogliono fare i giornalisti).
Dicevo di Travaglio: il deus ex machina de Il Fatto è lui, almeno è il più esposto e famoso, non ce ne voglia se gli attribuiamo la responsabilità (morale, s’intende) dell’inserto cosiddetto satirico. Ho l’età per ricordarmi de Il Male, foglio di lotta sinistra che aveva la pretesa di far ridere. E che credeva di far ridere, per esempio, pubblicando vignette in morte di un altro papa, Giovanni Paolo I, con sotto il titolo: Albino Luciani non ride più. Fa ridere? No. Come non fa ridere il secondo Giovanni Paolo circondato dalle donnine di Manara (non il risorgimentale Luciano, ma il fumettista Milo).
Ora, il punto è proprio questo. Infatti, uno potrebbe dire: tu non ridi perché sei cattolico e ti senti ferito nei tuoi sentimenti. Invece no, perché non sono sempre stato cattolico e ricordo il tempo de Il Male quando cattolico non ero. E i tribuni della plebe (si fa per dire, perché, a quelli, della plebe non importa un fico: i soldi gl’interessano, e basta) non mi facevano ridere neanche allora. Dunque, Wojtyla nel paradiso coranico ha questo, di difetto: non fa ridere. E un inserto satirico che non fa ridere, ditemi voi a che serve. Il fatto è che quelli là non possono ridere, perché per ridere davvero ci vuole un cuore gioioso e una buona misura di autoironia. E chi passa la vita col dito accusatorio puntato, come Robespierre, ha, al contrario, un’esagerata considerazione di sé. Si prende sul serio, mortalmente, così come - mi si passi l’esempio, ma calza - fa Satana, non a caso l’Accusatore.
Povero diavolo, non ride mai, non può. Al massimo ghigna, lui che è il Triste per antonomasia. Né fa ridere, come non faceva ridere Robespierre. Con lui si trema, si agghiaccia, non si ride. Quando Robespierre alzava un angolo delle labbra era perché cadeva una testa (altrui, ovviamente). Per restare nell’esempio, avete mai visto ridere Di Pietro? D’altra parte, che volete farci, il Paradiso non saprebbero descriverlo nemmeno i credenti, tanto è ineffabile (neppure s. Paolo ci ha provato), figuratevi loro. Lo immaginano secondo i loro piccoli schemi, un posto in cui si gode e, per loro, un posto in cui si gode è il bordello.
Ma la gioia noi l’abbiamo vista in mondovisione, sulle facce di quel milione e mezzo che affollava Roma per la beatificazione di Karol Wojtyla. Gente che ha affrontato spese e sacrifici ma che, a differenza di una manifestazione del CGIL, sorrideva e perfino piangeva di gioia. Gioia. Sarebbe facile fare i conti in tasca al «MisFatto» e andare a vedere le carte, cioè quanti sono quelli che ridono, se ci riescono, al vedere la vignetta col papa beato-tra-le-donnine. Ma ci risparmiamo la fatica, perché non ci vuol molto a immaginarlo. In finale, riassumendo questo articolo: non siamo spiaciuti per il dileggio sacrilego, ci siamo abituati e non ce ne importa più di tanto. Siamo solo delusi, perché da un inserto sedicente satirico ci saremmo aspettati una barzelletta almeno al livello di quelle del Cavaliere. Divertente, cioè. Invece, niente. E se questo è il gotha dell’umorismo italiano (Disegni, Manara…), aridatece Giovannino Guareschi.
Ho cominciato con una foto d’archivio e così finirò: ho visto una volta una foto di un cinema tailandese (tailandese!) con una lunga fila di gente in attesa di vedere il film su Don Camillo. Eh, l’umorismo è una cosa seria e difficile, roba per cristiani autentici. Per essere i quali non basta far la comunione.