Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
COP 25

Clima ed energia, il ministro Fioramonti straparla

Parlando a margine della Cop 25, da Madrid, il ministro dell'Istruzione Fioramonti chiede la rinuncia totale dell'Italia ai combustibili fossili e la riconversione dell'Eni. Un piano radicale per la "decrescita felice" sulla base che il Pil non significa benessere. 

Politica 16_12_2019
Il ministro Fioramonti

Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti è preoccupato per l’economia italiana. Tutte le persone di buon senso lo sono. Ma lui ha un piano. L’Eni si deve riconvertire “in maniera massiccia”, è fondamentale che abbandoni le attività di esplorazione e che investa invece “in maniera radicale verso le rinnovabili, l’idrogeno e le nuove forme della decarbonizzazione”. Il settore fossile, ha spiegato il ministro a margine di un intervento alla Cop25 di Madrid alla quale ha partecipato, “è un mercato morto. Finora, che io sappia, nessuno nel governo italiano ha mai detto una cosa del genere (!) perché si tende a spiegare che una grande azienda è un asset sulla base di quello che ha fatto in passato e non tenendo conto di ciò che potrà fare in futuro”. Quindi, secondo il ministro, occorre subito “una moratoria di tutte le nuove ricerche di fonti fossili. Serve un segnale per dire, quello che c’è va bene, ma quello che manca non ci sarà. Ed è necessario un piano radicale per dimostrare che l’azienda possa restare un asset strategico per l’Italia anche nel ventunesimo secolo”.

Rinunciare al petrolio? Mal che vada si potrà sempre acquistare all’estero da chi ancora lo estrae, proprio come l’acciaio nel caso si smetta di produrlo in Italia. Sperimenteremo così fino in fondo le delizie della “decrescita felice” perché di questo passo certo realizzeremo il ridimensionamento della nostra economia tanto auspicato da chi come il ministro Fioramonti crede nella “teoria scientifica” secondo la quale “al di sopra di un certo livello di reddito, ulteriore ricchezza non aumenta la felicità” e respinge la “relazione meccanica tra crescita del Pil e benessere”. I costi della crescita economica, sostiene l’MDF, Movimento per la Decrescita Felice, sono molti. Le forze politiche devono prenderne atto e “pensare a come assicurare prosperità e uguaglianza per tutti”.

Contestare la relazione meccanica tra crescita economica e sviluppo umano è corretto, ma bisogna capire che cosa impedisce alla ricchezza di un paese di tradursi in benessere generalizzato. In Africa, dove il ministro Fioramonti ha soggiornato, il problema fondamentale è la corruzione sfrenata che dilapida immense risorse naturali, finanziarie e umane. In Italia a un discreto livello di malgoverno e corruzione si aggiunge un prelievo fiscale delirante che arriva a ridurre il reddito netto di una persona a un terzo di quello lordo e peggio ancora.

Che al di sopra di un certo reddito la ricchezza non aumenti la felicità invece non è una teoria scientifica, mentre, anche se non scientificamente provato, che al di sotto di un certo livello di reddito la possibilità di essere felici sia messa a dura prova è una constatazione. A questo proposito va aggiunto che è poco probabile che fermare la crescita economica e anzi decrescere possa migliorare la situazione dei 5 milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta, dei 9 milioni di italiani in condizioni di povertà relativa, dei giovani italiani, il 28,7%, disoccupati. Forse non è così che si realizza l’ideale di “assicurare prosperità e uguaglianza per tutti”.

Poi c’è un altro aspetto da considerare. L’Eni è presente in 67 paesi con oltre 31.000 dipendenti. Almeno per una parte di quei paesi – ad esempio, Nigeria, Angola, Repubblica del Congo…  – i combustibili fossili sono una fonte essenziale di ricchezza e altri contano su di essi – Mozambico, Ghana, Kenya… – per uscire dalla povertà o far crescere l’economia grazie ai giacimenti individuati dalle prospezioni di Eni e di altre compagnie petrolifere. Per milioni di persone l’eventuale riconversione, anzi “conversione” dell’Eni all’economia verde rappresenta una minaccia.

Sarebbe interessante sapere, ad esempio, che cosa ne pensa il ministro nigeriano dell’ambiente, il dottor Muhammad Mahmood Abubakar, presente alla Cop25 il quale nel suo intervento ha riconosciuto la dipendenza della Nigeria dalle risorse petrolifere (è il primo produttore africano di petrolio). Anche lui è preoccupato per l’economia del suo paese. Il 65% delle entrate del governo nigeriano si devono ai combustibili fossili che fruttano il 90% degli introiti derivanti dalle esportazioni. Il ministro ha spiegato che il cambiamento climatico sta minacciando la sopravvivenza dei nigeriani: è causa della desertificazione che si estende di anno in anno e  provoca devastanti perdite di terreni agricoli nel nord, dei conflitti tra comunità per contendersi l’uso delle risorse, della scomparsa delle foreste, del preoccupante innalzamento del livello del mare lungo le coste meridionali.

Il governo nigeriano, per il bene del paese e del mondo intero, pensa quindi a un programma economico finalizzato a fermare appena possibile le attività estrattive? Neanche per sogno. La Nigeria sta rinegoziando le royalties delle compagnie petrolifere per ricavare più introiti. Quanto ai danni ambientali e climatici, il ministro dell’ambiente in sintesi ha detto che il suo paese è in piena sintonia con il Gruppo africano dei Negoziatori del cambiamento climatico che sollecitano di accelerare e semplificare l’accesso dei paesi africani al Fondo verde per il clima; e si aspetta, proprio in considerazione dei danni subiti, che si concluda la revisione del Meccanismo internazionale di Varsavia per le perdite e i danni climatici, che siano confermati e incrementati gli aiuti finanziari dei paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, in particolare mantenendo fede all’impegno di stanziare a tal fine 100 miliardi di dollari a partire dal 2020… e che, tra l’altro, si decida in merito ai Piani per la partecipazione di genere in ambito climatico.