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IL CASO

Città violente, il problema non è la clandestinità

Negli ultimi episodi di violenza in città, la costante è l’età degli interessati, tutti giovani maschi sui trent’anni e la futilità del loro delinquere: una protesta verbale per un comportamento maleducato, il rifiuto di una sigaretta, lo squallore dell’onanismo in pubblico. E’ la clandestinità il problema? No, visto che il masturbatore di Vicenza (nella cattedrale e durante la messa) aveva la cittadinanza. Con buona pace dello jus soli.

Attualità 11_05_2018

Non si è ancora spenta l’eco dei due marocchini che, nella notte tra il 26 e il 27 aprile, hanno compiuto una concitata sequenza di rapine a persone, a colpi di coltello: tre feriti, di cui uno grave, e un ammazzato, un povero cameriere bengalese di ventidue anni. A Milano, capitale italiana della società multietnica. I due hanno ventotto e trent’anni, e sono clandestini.

Tre giorni dopo, sempre a Milano, nell’elegante quartiere di Brera, non di notte ma in pieno mezzogiorno. Una signora ottantenne è stata ferita alla testa a bottigliate da un immigrato africano della Sierra Leone,  trentatré anni. Il quale, fermato dalla polizia, ha opposto fiera resistenza. E’ pure lui clandestino ed ha, per giunta, precedenti per reati contro il patrimonio e danneggiamenti. Che ci faceva a piede libero? E’ lo svuotacarceri, bellezza, perciò anche questa volta verrà denunciato a piede libero e rilasciato.

Sempre a Milano, poiché tremavano i vetri per le vibrazioni, mi sono affacciato e mi sono trovato davanti al corteo del Primo Maggio. Tutte bandiere rosse, molte le falci & martello, qualche bandiera rossonera anarchica, musica a tutto volume dei centri sociali. Dal tetto di un furgoncino un africano, microfono in mano, scandiva: «Salvini! Salvini!». Poi tendeva il microfono verso i manifestanti che rispondevano in coro: «Vaffanculo!». Per chi non lo sapesse, nel programma del leader leghista c’è l’espulsione dei clandestini. Un altro degli slogan scritti sugli striscioni era «Cittadinanza per tutti».

La mente corre a quel che è successo a Vicenza il 10 aprile. Un kenyano (o kenyota? vedete voi) di ventinove anni è stato sorpreso a masturbarsi dentro al duomo durante la funzione religiosa. Chiamata la polizia, il giovanotto ha sferrato due cazzotti in faccia a un agente, spaccandogli il labbro. Ha la cittadinanza italiana e precedenti  dello stesso genere: atti osceni  dentro a una boutique del centro. Aveva già un foglio di via, ma ovviamente se ne è impipato. Colpito da ulteriore divieto di permanenza in città, è stato rilasciato. Se ne andrà, questa volta? Chissà. Sempre il Gazzettino.it, riportato da Dagospia l’11 aprile, riferisce del caso di Marghera. Qui un trentenne tunisino aveva aggredito brutalmente un anziano colpevole di avergli negato una sigaretta. Portato in questura e denunciato a piede libero, mentre usciva ha tirato un pugno sul viso, a tradimento, a un agente. Nuova denuncia. «Concluse le formalità di rito, il giovane nordafricano è stato rilasciato».

In tutti questi episodi la costante è l’età degli interessati, tutti giovani maschi sui trent’anni, in «età militare» direbbero i sociologi, e la futilità del loro delinquere: una protesta verbale per un comportamento maleducato (la bottigliata in testa alla ottantenne), il rifiuto di una sigaretta, lo squallore dell’onanismo in pubblico. Anche l’omicidio e i ferimenti di Milano hanno un movente irrisorio: un portafogli, un cellulare. E’ la clandestinità il problema? No, visto che il masturbatore di Vicenza (nella cattedrale e durante la messa) aveva la cittadinanza. Con buona pace dello jus soli.

Qualcuno ha osservato che immettere centomila giovani maschi in «età di combattimento» in una società, di botto, è semplicemente  criminale. Specialmente, aggiungiamo noi, se poi sono condannati a bighellonare dalla mattina alla sera (a spese del contribuente) perché una politica di ordinato inserimento semplicemente non esiste. La quale politica, semmai, avrebbe proceduto, previamente, a un ingresso a scaglioni, se e quando ci fosse stato il fabbisogno lavorativo. Per giunta, per i reati per cui è prevista una pena inferiore a quattro anni di reclusione scatta il decreto cosiddetto svuotacarceri. E la società multietnica si trasforma in quello che è, dove si esce di casa a proprio rischio e pericolo.