Cina-Vaticano: il rinnovo è ufficiale
Confermata la proroga dell'accordo del 2018 tra la Santa Sede e Pechino. Tutti i vescovi del Paese esercitano legittimamente il ministero, ma non è certo che, pagando il prezzo dell'interferenza del regime sulle nomine episcopali, si possa garantire una maggiore (e autentica) libertà ai cristiani cinesi.
Come anticipato su La Bussola, la Sala Stampa vaticana ha ufficialmente emesso oggi a mezzogiorno un comunicato «circa la proroga dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi». Inizialmente previsto ad experimentum per due anni, e già rinnovato una volta, l’accordo del 2018 viene oggi ulteriormente prorogato «dopo opportune consultazioni e valutazioni», per un nuovo biennio.
«La Parte Vaticana è intenzionata a proseguire il dialogo rispettoso e costruttivo con la Parte Cinese, per una proficua attuazione del suddetto Accordo e per un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali, in vista di favorire la missione della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese». Fin qui il breve comunicato.
Centro dell’accordo sono le nomine episcopali, per garantire la “legittimità” anche da parte vaticana dei vescovi cosiddetti “patriottici”, cioè di nomina governativa. In tal modo, tutti i vescovi presenti in Cina sono riconosciuti anche dalla Santa Sede a svolgere il ministero, assicurando così la liceità e la validità dei sacramenti. Il che naturalmente non esclude la persistenza di gravi problemi, la prima delle quali è che le nomine episcopali vengono in qualche misura concordate con il regime.
«L’intervento delle autorità civili nelle scelte dei vescovi si è manifestato varie volte e in varie forme nella storia», dice il card. Antonio Tagle, prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli, intervistato da Fides. «Anche nelle Filippine, il mio Paese», sottolinea, «vigevano per lungo tempo le regole del “Patronato Real”, con cui l’organizzazione della Chiesa era sottomessa al potere reale spagnolo. Anche San Francesco Saverio e i Gesuiti conducevano la loro missione in India sotto il patrocinio della Corona portoghese...». Vero, ma non si trattava di regimi fondati su un’ideologia atea, il che costituisce quantomeno un’anomalia.
Se la disponibilità al dialogo, da parte della Santa Sede, è chiara, lo è molto meno quella cinese. Nonostante l’accordo, determinate restrizioni non sono diminuite ma aumentate, stando a quanto riportava tre mesi fa Leone Grotti su Tempi: «I minori di 18 anni non possono entrare in chiesa, né partecipare al catechismo, a sacerdoti e vescovi è richiesta l’iscrizione all’Associazione patriottica». E cita l’immagine evocata da una fonte vaticana per cui «non è un grande accordo ma non sappiamo quale sarà la situazione tra 10 o 20 anni. Potrebbe essere anche peggio. Dopo saremo ancora come un uccello in gabbia, ma la gabbia sarà più grande. Non è facile. Le sofferenze continueranno. Dovremo combattere per aumentare anche di un centimetro le dimensioni della gabbia».
Per ora in gabbia restano diversi presuli – ne traccia un elenco Stefano Magni su queste pagine, per esempio i vescovi di Xinxiang e di Xuanhua –, mentre l’ultranovantenne cardinale Joseph Zen è sotto processo.