Cicerone, l'ultimo difensore della Repubblica
Cicerone ricoprì un ruolo storico fondamentale nel I secolo a. C., nei decenni della crisi della Repubblica. E' stato il massimo retore della latinità, non solo per le orazioni che scrisse, ma anche per le acute riflessioni teoriche che lasciò sull’arte del dire, dello scrivere e del persuadere.
Cicerone ricoprì un ruolo storico fondamentale nel I secolo a. C., nei decenni della crisi della Repubblica.
Nato ad Arpino nel 106 a. C., apprese ben presto l’eloquenza e la filosofia a Roma perfezionando poi i suoi studi in Grecia. Al rientro in Italia, sposò Terenzia da cui ebbe i due figli Cicerone e Tullia. Da homo novus (ovvero il primo della sua famiglia ad avere intrapreso la strada politica) compì tutto il cursus honorum, dalla questura (75 a. C.) al consolato (63 a. C.). Proprio nell’anno in cui raggiunse la più alta delle cariche sventò la congiura di Catilina, denunciandola apertamente in Senato. Fu il momento in cui ottenne il plauso di molti e il riconoscimento di essere pater patriae.
Il patto segreto, denominato primo triumvirato (60 a. C.), sancì l’inizio del suo declino. Nel 58 a. C., infatti, il tribuno Publio Clodio lo accusò di aver fatto condannare a morte senza processo alcuni seguaci di Catilina. Cicerone venne esiliato, i suoi beni furono confiscati e la sua casa fu distrutta. Fece rientro a Roma dopo diciotto mesi, in un quadro politico decisamente cambiato: il filopopulare Cesare, che stava conquistando la Gallia, affiancava il filosenatorio Pompeo sul palcoscenico di una Repubblica romana in trasformazione verso il principato. L’alleanza tra Cesare e Pompeo aveva breve durata e si tradusse gradualmente in aperta ostlità dopo la morte di parto di Giulia, figlia di Cesare, sposatasi con Pompeo nel 54 a. C. Cicerone partecipò alla guerra civile dalla parte di Pompeo. Al termine (45 a. C.) venne perdonato.
Furono questi anni molto dolorosi nella vita privata di Cicerone: il divorzio dalla prima moglie Terenzia, colpevole di non essergli stato vicino negli anni difficili del conflitto, la morte dell’amata figlia Tullia, il divorzio anche dalla seconda moglie Publilia, che non comprese forse il dolore provocato dalla morte della figlia. Dopo la morte di Cesare nel 44 a. C. Cicerone attaccò apertamente Marco Antonio con le Filippiche. Nel 43 a. C. Ottaviano, Marco Antonio, Lepido si allearono nel secondo triumvirato e redassero le liste di proscrizione con i nomi dei nemici della Repubblica: era un modo per raccogliere i fondi che occorrevano loro per la campagna militare in Oriente. Antonio fece inserire nelle liste anche Cicerone che scappò per imbarcarsi. Venne catturato dai sicari di Marco Antonio a Formia. Gli vennero tagliati testa e mani. Era il 7 dicembre del 43 a. C. Pochi anni più tardi la Repubblica si sarebbe trasformata in impero.
Qual è l’importanza che Cicerone ricopre nella storia della cultura occidentale?
Innanzitutto Cicerone è stato il massimo retore della latinità, non solo per le orazioni che scrisse, ma anche per le acute riflessioni teoriche che lasciò sull’arte del dire, dello scrivere e del persuadere.
In un mondo come quello romano assai diffidente nei confronti della filosofia fu il primo fautore di una formazione anche filosofica per la gioventù romana. Retorica e filosofia non si opponevano. La filosofia era guida per la vita come ben esprime il retore nel V libro delle Tusculanae disputationes: «O filosofia, guida della vita, maestra di virtù, distruggitrice dei vizi! Che cosa, senza te, non solo io, ma tutta la vita umana, sarebbe potuta essere? […] In te ci rifugiamo, a te chiediamo aiuto, a te, come prima in gran parte, così ora profondamente e totalmente ci dedichiamo».
Eppure, molti trascurano la filosofia: «Ma la filosofia è tanto lodata dall’essere lodata, in conformità dei meriti che ha nei riguardi della vita umana, che anzi dai più viene trascurata, e da molti anche disprezzata. E qualcuno oserebbe disprezzare la madre della vita, e macchiarsi di tale sacrilegio, ed essere così empiamente ingrato ad accusarla, mentre dovrebbe venerarla, anche se non avesse potuto comprenderla appieno? ».
Per questo nel III libro del De oratore Cicerone denuncia come absurdum et inutile et reprehendum («assurdo, inutile riprovevole») separare la preparazione della mente (la filosofia) dalla cura della parola (la retorica). Per chi volesse ancora oggi formarsi alla retorica rimangono gli ottimi manuali di Cicerone. Il De inventione è probabilmente l’inizio di una sorta di enciclopedia della retorica, lasciata solo all’inizio, all’analisi della prima fase a cui sarebbero forse seguite le altre: dispositio, elocutio, memoria e actio. La forma in cui ci è rimasta l’opera è quella degli appunti.
L’opera indubbiamente più interessante per la formazione retorica ancora oggi è il De oratore, dialogo in tre libri che descrive il perfetto oratore, formato sotto il profilo politico, filosofico, culturale. Due posizioni differenti si contrappongono sulla modalità di preparazione di un discorso. Nel dialogo Marco Antonio sostiene che siano fondamentali inventio, dispositio e memoria: non occorre scrivere il discorso da imparare a memoria e da esporre, ma bisogna ricordare immagini, exempla, citazioni. Nell’actio l’improvvisazione gioca un ruolo importante, anche se è fondata su una solida cultura ed un’efficace preparazione. L’improvvisazione riguarda la forma, non tanto la scelta degli argomenti, già opportunamente vagliata nella fase preliminare.
Licinio Crasso, in cui si deve probabilmente riconoscere la posizione di Cicerone, è convinto che debbano essere curate tutte le cinque fasi della retorica, in particolare l’elocutio. Il retore dovrà aver steso il discorso parola per parola, prima della perorazione in tribunale o del discorso pubblico. Nessun particolare o dettaglio dovrà essere trascurato o lasciato al caso. Sono due posizioni entrambe valide, a ciascuno di noi giova scoprire quale metodo più si addica alla nostra persona.
È vivamente consigliata la lettura di tutto il dialogo. Soffermiamoci solo brevemente su alcuni spunti. Innanzitutto è interessante la riflessione sulla tecnica e sul talento: è più importante l’esercizio o il possesso del talento? Cicerone afferma che sono fondamentali la fatica, il sacrificio, l’esercizio costanti. Un lavoro assiduo e costante permette di far apparire come naturale una capacità che proviene in realtà da ore ed ore di sforzi. Possiamo verificare la veridicità di tali affermazioni in qualsiasi disciplina, non solo intellettuale, ma anche fisica. Un esercizio ginnico apparirà tanto più naturale quanto più sarà preparato l’atleta. Indubbiamente, però, la «scioltezza di lingua, la sonorità di voce, la potenza di polmoni, la costituzione robusta, la particolare conformazione e l’aspetto del volto e del corpo» non possono essere introdotti con la tecnica, ma sono dati dalla natura.
La tecnica può contribuire a creare un buon retore, ma senza il contributo della natura non nascerà mai un ottimo oratore.
Cicerone offre, poi, anche un repertorio di esercizi che possano accompagnare il ragazzo nello studio della retorica: imparare a memoria brani scelti, ripeterli con parole proprie, tradurre da altre lingue autori che siano modelli di riferimento. E ancora propone di esercitare il fiato, la voce, il movimento di tutto il corpo e della lingua. Bisogna osservare e imitare i modelli, non solo i retori, ma anche gli attori. Bisogna, poi, avere il coraggio di «trar fuori il discorso, da questo esercizio domestico e ritirato, nel bel mezzo della lizza, nell’arena, nel frastuono, fra le armi e le battaglie del foro; bisogna affrontare la vista della gente e porre allo sbaraglio le forze dell’ingegno; bisogna esporre alla luce della verità le meditazioni nascoste».
Indispensabile anche «leggere i poeti, conoscere le storie, leggere e rileggere i maestri delle belle arti, farne l’elogio, spiegarli, emendarli, esporne i difetti; […] bisogna imparare a fondo il diritto civile, conoscere lo Stato, i diritti degli alleati, i trattati pubblici, i patti privati». Insomma il retore dovrà possedere una cultura ampia, che spazi su ogni disciplina.
Non dovrà, infine, mancare al retore l’umorismo che permetterà di disseminare battute «come il sale su tutta l’orazione».