Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CARPI

Chiesa e "casa del commiato". La guerra dei funerali

«I funerali cattolici si fanno in chiesa». Ma il proprietario della Funeral House si ribella e minaccia di scrivere al Papa: deve rientrare da un investimento milionario. Ma per i cattolici il criterio per le esequie deve essere un altro.

Ecclesia 20_11_2017
Casa del Commiato

L’imprenditore di pompe funebri Gianni Gibellini minaccia di scrivere al Papa, perché la curia di Carpi ha impedito le esequie cattoliche nelle funeral house.

Ma, andiamo con ordine. Nel luglio 2015 Gibellini inaugura a Mirandola, provincia di Modena, ma diocesi di Carpi, Terracielo Funeral Home, una cosiddetta “casa del commiato” con un investimento di 1,5 milioni di euro. La struttura si affianca a quella che la società dell’imprenditore aveva già costruito a Modena. Spazi accoglienti e “versatili”, dove trovano luogo le esequie di atei, ortodossi, islamici e buddisti. E probabilmente qualche cattolico. Ma cosa ha fatto arrabbiare Gibellini fino al punto di minacciare di voler scrivere al Papa?

Semplice, nel settembre scorso, una chiara missiva dell’ufficio liturgico della diocesi di Carpi, rivolta agli operatori di onoranze funebri e ai parroci, ribadisce quanto previsto dalle norme ecclesiastiche. E cioè che per i fedeli cattolici i funerali vanno celebrati normalmente nella parrocchia del defunto, e cita il Nuovo rito delle esequie della Cei (2012), in cui si dichiara che sono tre i luoghi dove è consentito celebrare i funerali: la chiesa, la cappella del cimitero e, eventualmente, il luogo della cremazione. Nell’elenco non compaiono le funeral house, perciò il Gibellini dichiara alla Gazzetta di Modena che «il Papa deve sapere del divieto e intervenire perché la Chiesa, così facendo, non solo si dimostra anacronistica, ma allontana da sé la gente, non rispettandone la volontà. Ecco perché, se necessario, scriverò al Pontefice».

Il fatto mostra un’altra situazione curiosa. L’imprenditore se la prende con la diocesi di Carpi, ma sembra non aver nulla da dire su quella di Modena, dove egli ha l’altra “casa del commiato” (la più grande funeral home italiana), ma dove dal 2011 valgono le stesse regole precisate dall’ufficio liturgico di Carpi. L’allora vescovo di Modena, Antonio Lanfranchi, emanò un’istruzione sul luogo di celebrazione dei funerali che dice le stesse cose della più recente lettera della curia di Carpi. Quindi è lecito domandarsi se i parroci delle due diocesi siano attenti allo stesso modo nel far rispettare le disposizioni dei loro pastori, anche perché risulta che pure monsignor Erio Castellucci, successore di Lanfranchi, abbia confermato le direttive del predecessore.

Anche per le chiese inagibili a causa del terremoto, la diocesi di Carpi ricorda che come luogo di riferimento per la celebrazione del funerale si deve tenere «la sala ove la comunità cristiana si riunisce ordinariamente per la preghiera liturgica», rimandando così al mittente altre accuse del Gibellini che ritiene questa una ulteriore imposizione posta sulle spalle dei fedeli da parte della Chiesa locale. In realtà, a quanto apprende La Nuova Bussola quotidiana i fedeli dei luoghi terremotati normalmente non hanno alcun problema a svolgere le esequie nel luogo in cui la comunità si riunisce.

Quindi, conclude poi il documento della diocesi di Carpi, «risulta chiara l’illegittimità delle esequie celebrate presso cappelle private, camere ardenti di strutture ospedaliere, strutture protette, pensionati o strutture private di agenzie funebri quali “funeral houses”, “sale del commiato” ed altri luoghi affini». Così come deliberava la diocesi di Modena nel 2011, scrivendo che «non è possibile celebrare i riti esequiali nelle camere ardenti delle strutture protette, pensionati o simili o in altri ambienti che vengano usati anche per riti non cristiani o laici».

Le “case del commiato” dotate di tutti i confort, dal bar, alla webcam, alle aree per la meditazione soggettiva, non sono solo in terra emiliana, ma sorgono ormai come funghi lungo tutta la penisola. Sono costruzioni ed esperienze che vengono riprese da realtà altamente secolarizzate, come ad esempio Austria, Belgio, Canada, Stati Uniti, e in generale tutto il nord Europa. Si può capire lo sforzo degli imprenditori, i quali innanzitutto avranno la preoccupazione di rientrare di investimenti milionari, ma al fedele cattolico deve restare la parola della Chiesa.

La spersonalizzazione della morte da una parte, e l’indifferentismo di fronte all’ultimo e definitivo passaggio dall’altra, in generale mostrano una rimozione del problema del morire e di quello della salvezza eterna. Come scriveva l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel suo celebre saggio Escatologia, oggi il mondo borghese tende a «nascondere la morte», come un problema da rendere “innocuo”: «la morte», scriveva Ratzinger, «deve diventare un fatto tanto materiale, tanto consueto, tanto comune, da non suscitare più alcun problema metafisico». Ma il modo in cui concepiamo la morte, dice del modo in cui viviamo la vita.

La Chiesa durante il funerale prega che i suoi figli, incorporati con il battesimo a Cristo morto e risorto, passino con lui dalla morte alla vita e vengano accolti con i santi e gli eletti del cielo, mentre il corpo aspetta la beata speranza della venuta di Cristo e la risurrezione dei morti. Vista la posta in palio, tra la funeral house e le norme della chiesa il fedele non deve avere troppi dubbi.