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CAMPAGNA ELETTORALE

Chi ha paura dell'"onda nera"? Fango contro la Meloni

Per 20 anni il pericolo per la democrazia si chiamava Silvio Berlusconi, poi Matteo Salvini, ora Giorgia Meloni. La diffidenza che gran parte degli opinionisti politici italiani nutrono verso la Meloni è fastidiosa e conferma la faziosità di molta stampa italiana, che invece dovrebbe riportare fedelmente i programmi elettorali.

Editoriali 26_07_2022
Giorgia Meloni

Il copione si ripete ogni volta che si avvicinano le urne. Per 20 anni il pericolo per la democrazia si chiamava Silvio Berlusconi, poi Matteo Salvini, ora Giorgia Meloni. Nel caso della leader di Fratelli d’Italia, partito che nei sondaggi veleggia in prima posizione al di sopra del 23% dei consensi, il copione è più semplice da recitare perché si tratta di una post-fascista. In altre parole, è facile agitare lo spettro del ritorno al fascismo additandola quale erede dei protagonisti e dei nostalgici del ventennio.

Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento puramente ideologico e privo di ogni ancoraggio alla realtà fattuale, la Meloni potrebbe continuare a fare politica ma astenendosi dal governare, cioè dovrebbe accettare di rimanere a vita all’opposizione. Lì può anche restare, poi magari i suoi uomini possono ottenere le presidenze di commissioni di garanzia come il Copasir o la Commissione di vigilanza Rai, che spettano alle opposizioni, ma se prova a vincere le elezioni e a governare occorre lanciare l’allarme dell’ipotetico ritorno al fascismo.

Parla giustamente di “macchina del fango” la Meloni, che ha inequivocabilmente e ripetutamente preso le distanze, a parole e nei fatti, dai principi fascisti, ma che continua ad essere bersagliata dai media internazionali e nazionali e dagli stessi avversari politici, che provano a raggrupparsi proprio in nome della “difesa della Repubblica dall’assalto dei post-fascisti”. Peccato che per compattarsi debbano aggregare una miriade di sigle e di generali senza truppe e si vedano costretti a rivalutare perfino gli odiati nemici berlusconiani come Brunetta o Gelmini, che ai loro occhi hanno avuto il merito di tradire il proprio elettorato di riferimento passando armi e bagagli con la sinistra dopo essere andati al governo grazie al Cavaliere.

Con tutti i problemi che ci sono in Italia, ci sarebbe davvero bisogno di una campagna elettorale onesta e "nobile”, incentrata sui programmi e sulle soluzioni ai problemi del Paese, senza ricorso a trucchetti e colpi bassi. Centrodestra e centrosinistra dovrebbero scontrarsi su questo, sulle ricette economiche e sociali, sulle politiche fiscali, sul contrasto all’immigrazione clandestina, sui temi valoriali, non sui retaggi del passato, sia post-fascisti che post-comunisti.

Giorgia Meloni è su posizioni chiaramente atlantiste, ha appoggiato tutte le risoluzioni del governo Draghi sulle armi all’Ucraina, è diventata presidente del gruppo parlamentare dei conservatori e riformisti europei. Lo scorso febbraio è stata ospite della convention dei repubblicani a Orlando, in Florida.

Eppure il Financial Times l’ha etichettata nei giorni scorsi come una leader di estrema destra con radici neo-fasciste. Il New York Times prevede un futuro “cupo” per l’Italia in caso di vittoria di Fratelli d’Italia alle prossime elezioni politiche del 25 settembre. Il quotidiano tedesco Tagesspiegel definisce la Meloni “la speranza dei fascisti” e aggiunge: «I suoi simpatizzanti includono nostalgici di Mussolini ed ex teppisti neofascisti. Durante le loro apparizioni si può vedere regolarmente il saluto romano, che corrisponde al saluto di Hitler nella Germania nazista».

Questi articoli sono ispirati quasi sempre da ambienti italiani di sinistra e infatti vengono redatti da corrispondenti italiani di quelle testate. Non a caso risultano ripresi strumentalmente dai quotidiani italiani che hanno già fatto chiaramente capire da che parte stanno. Repubblica guida la campagna anti-Meloni e infatti in queste ore agita lo spettro dell’”ombra nera mai fugata”, del “passato di Fdi che non passa”.

La diffidenza che gran parte degli opinionisti politici italiani nutrono verso la Meloni è fastidiosa e conferma la faziosità di molta stampa italiana, che invece dovrebbe riportare fedelmente i programmi elettorali delle singole forze politiche, evidenziandone semmai le contraddizioni, le criticità, gli elementi di inapplicabilità ma evitando il pregiudizio ideologico, che in democrazia non dovrebbe appartenere né alla politica né tanto meno al giornalismo.

La coalizione di centrodestra si sta interrogando in queste ore sull’opportunità di ribadire che il primo partito sceglierà il premier. L’altra coalizione non ha affatto indicato chi sarebbe il presidente del consiglio in caso di sua vittoria. E’ evidente che Enrico Letta, segretario del primo partito di quello schieramento, ci spera, ma non lo dice. E c’è chi come Carlo Calenda addirittura vorrebbe indicare fin da ora in Mario Draghi il prossimo premier se dovessero prevalere nelle urne le forze politiche che hanno sostenuto il suo governo.

Dopo aver indossato la maschera dell’”agenda Draghi”, lo schieramento di sinistra prova ad agitare lo spauracchio del fascismo per evitare di occuparsi di lavoro, economia, tasse, scuola, trasporti e tanto altro, tutti temi sui quali farebbe fatica a trovare una linea comune, vista l’eterogeneità dei suoi componenti.