Chi cerca la purezza invochi san Giuseppe
I peccati della carne sono un grande pericolo per l’anima e, a dispetto del permissivismo odierno, rendono schiavo l’uomo. Invece la castità, a cui ciascuno è chiamato secondo il proprio stato di vita, si fonda sul dominio di sé e rende liberi. È legata alla carità. E ha il suo patrono naturale in san Giuseppe, che va invocato contro tutte le tentazioni carnali.
È noto che quando la piccola santa Giacinta Marto chiese alla Madonna quale peccato portasse più anime all’Inferno (dalla cui visione era rimasta sconvolta) si sentì rispondere che si trattava di quello della carne. La varietà dei peccati carnali è chiaramente ampia, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica. In generale essi non rimangono mai da soli, spianando il terreno ad altri peccati (anche spirituali). Causano insomma un intorpidimento dello spirito e una freddezza verso Dio, che nel tempo - se non ci si pente e non si cambia rotta - può condurre l’anima a rifiutarLo[1]. San Tommaso d’Aquino spiega che «dalla lussuria nasce la cecità della mente, che esclude in modo quasi totale la conoscenza dei beni spirituali» (Somma Teologica, II-II, q 15, a 3).
Questo insegnamento ci ricorda, da un lato, la stretta unità tra anima e corpo; dall’altro, fa riflettere sui pericoli maggiori a cui si è esposti nelle società odierne, sempre più dominate da pornografia, mode che offendono il pudore, esaltazione del libertinaggio sessuale (anche omoerotico), leggi e abitudini (dal divorzio alle convivenze) che attentano alla dignità del matrimonio e al disegno di Dio sulla sessualità. Per custodire o conseguire la purezza si deve perciò lottare, oggi più di ieri, avendo bene in mente che essa è una grazia: dunque, non si ottiene con le sole nostre forze, ma bisogna costantemente chiederla nella preghiera.
In nessuna creatura, fuorché la Beata Vergine, la purezza è rifulsa tanto quanto in san Giuseppe («era soprattutto castissimo nelle opere e nei pensieri e, fin dal dodicesimo anno di età, aveva fatto voto di castità», scrive la venerabile Maria di Ágreda nella Mistica Città di Dio), che non a caso è stato chiamato all’altissimo compito di esserle sposo e custodirla. Giuseppe è quindi naturale patrono per tale virtù e contro tutte le tentazioni carnali. Di questa fiducia nel padre verginale di Gesù è espressione, tra l’altro, il «cordone (o cingolo) di san Giuseppe», una pratica devozionale che affonda le sue radici nel XVII secolo. Non si tratta di un mero segno esteriore: il cordone sta infatti a ricordare al devoto l’impegno a vivere sull’esempio di san Giuseppe (di conseguenza, secondo la volontà di Dio) e invocarlo particolarmente a difesa della purezza.
Ricorrere all’intercessione di san Giuseppe è allora un aiuto potente per poter condurre una vita casta. Ha destato sorpresa nei mesi scorsi la notizia del discusso Milo Yiannopoulos, che non solo si è definito «ex gay» ma ha anche spiegato in alcune interviste il ruolo avuto da san Giuseppe nella sua svolta. Il famoso giornalista e scrittore ha testimoniato di essere riuscito a liberarsi da molte catene (materiali e spirituali) grazie alla devozione al glorioso patriarca, che ci porta a Gesù ed è un perfetto modello della «mascolinità virtuosa e di virtù virili eroiche». Al di là del caso specifico di Yiannopoulos, che è ancora nella condizione di pellegrino sulla terra, le sue parole ci servono per soffermarci su una verità eterna: il legame tra castità e libertà.
Al riguardo, il Catechismo afferma: «La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice» (CCC 2339). La libertà autentica, che si fonda sulla verità, è dunque ben diversa da quella trasmessa dalla cultura oggi dominante, che rende schiavo l’uomo delle sue passioni. «Questo è il motivo per cui la pornografia, una azienda che fattura miliardi all’anno, mette i suoi prodotti a disposizione di chiunque, gratuitamente, continuamente, h 24», ragiona lo psicologo Roberto Marchesini, che aggiunge: «Negli Stati Uniti l’hanno capito da tempo: sexual freedom is political control - la libertà sessuale è controllo politico»[2]. San Giuseppe, invece, è modello dell’uomo libero, quindi virile, perché casto.
La Chiesa, nel solco delle Sacre Scritture, insegna che tutti sono chiamati alla castità (cioè alla purezza, che può essere verginale o no), ognuno secondo il proprio stato di vita: gli sposi devono vivere la castità coniugale, tutti gli altri (laici non coniugati, sacerdoti, religiosi) la castità nella continenza. Oltre ad essere in rapporto diretto con la libertà, la purezza si accompagna all’amore e quindi al dono di sé, che risponde a una logica opposta a quella del possesso. Commentando la sesta beatitudine proclamata da Gesù («Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», Mt 5,8), il Catechismo spiega: «I “puri di cuore” sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza e la propria volontà alle esigenze della santità di Dio, in tre ambiti soprattutto: la carità, la castità o rettitudine sessuale, l’amore della verità e l’ortodossia della fede. C’è un legame tra la purezza del cuore, del corpo e della fede…» (CCC 2518). Basta pensare a san Giuseppe e alla sua santissima sposa per avere la conferma di queste parole.
La purezza non riguarda ovviamente solo gli atti, e nel Vangelo leggiamo come Gesù affermi l’esigenza di preservare gli occhi e i pensieri (Mt 5,28). Essa quindi esige pudore, custodia dei diversi sensi, modestia nel vestire, come si conviene al rispetto di un corpo creato per essere tempio dello Spirito Santo. Don Giuseppe Tomaselli (1902-1989), esorcista e taumaturgo morto in odore di santità, scriveva a proposito della purezza: «Per mezzo di questa virtù noi portiamo il massimo rispetto al nostro corpo ed al corpo altrui e teniamo a freno la mente, evitando i cattivi pensieri ed i cattivi desideri; inoltre custodiamo gli occhi per non insudiciarli di fango morale; dominiamo la lingua per non contaminarla con parole, frasi o discorsi indecenti; custodiamo l’udito, evitando la compagnia degli sboccati; teniamo a freno gli effetti del cuore, perché un affetto illecito non mortificato potrebbe trascinare nell’abisso dell’immoralità».
Contro le tentazioni impure, don Tomaselli consigliava proprio di raccomandarsi allo sposo di Maria, per esempio facendo tridui o settenari in suo onore e anche, nell’immediato, invocandolo così: «San Giuseppe, terrore dei demoni, assistimi, difendimi, rafforzami!».
[1] Per approfondire il tema, specie in relazione alla gravità, vedi il contributo scritto da padre Riccardo Barile per questo giornale: «Peccati carnali, la porta che apre a quelli spirituali» (La Nuova Bussola Quotidiana, 30 settembre 2019)
[2] Cfr. Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa (n. 3, luglio-settembre 2021, p.93), Osservatorio Cardinale Van Thuận.