Peccati carnali, la porta che apre a quelli spirituali
Peccati di natura sessuale meno gravi di quelli più spirituali? Sì, ma la frase del Papa pronunciata ai gesuiti è una mezza verità che contiene un grande rischio pastorale: i peccati carnali non sono mai da soli e sono la porta verso forme di insensibilità che conducono a peccati più alti o spirituali. Il risultato è quello di far abbassare le difese e spianare la strada ai peccati più alti o spirituali. Ecco un po' di documentazione.
«Una delle dimensioni del clericalismo è la fissazione morale esclusiva sul sesto comandamento. Una volta un gesuita, un grande gesuita, mi disse di stare attento nel dare l’assoluzione, perché i peccati più gravi sono quelli che hanno una maggiore “angelicità”: orgoglio, arroganza, dominio... E i meno gravi sono quelli che hanno minore angelicità, quali la gola e la lussuria. Ci si concentra sul sesso e poi non si dà peso all’ingiustizia sociale, alla calunnia, ai pettegolezzi, alle menzogne. La Chiesa oggi ha bisogno di una profonda conversione su questo punto».
Così ha detto il Romano Pontefice in un incontro piuttosto informale con 24 gesuiti in Mozambico lo scorso 5 settembre. Come di consuetudine in questo tipo di incontri, sono stati i presenti a porre delle domande alle quali il Pontefice ha risposto. I media si sono concentrati su tre punti critici: quello sopra riportato; il Pontefice in preda a tentazioni ed assedi; la promozione a tutto campo della civiltà e della cultura del meticciato. Qualche sito più tradizionalista ha reagito con fastidio all’immancabile stoccata sui giovani preti in talare e cappello Saturno.
In realtà i contenuti emersi dall’incontro risultano molto più ampi e alcuni toccanti e positivi, ad esempio quando il Pontefice parla della sua vita spirituale o quando tenta di distinguere con esattezza l’evangelizzazione dal proselitismo. Qui tuttavia mi concentro su di un punto solo, quello dei peccati materiali e spirituali, per tentare una valutazione più profonda e più complessa, in quanto l’osservazione del Romano Pontefice è esattissima sul piano della teologia pura, ma, se non è integrata da altre considerazioni, è rischiosa (scivolosa?) sul piano pastorale.
ESATTEZZA TEOLOGICA
I peccati “meno gravi sono quelli che hanno minore angelicità, quali la gola e la lussuria”? Ma certamente! Anche perché affermare il contrario suonerebbe stranezza se non follia.
San Tommaso d’Aquino “mette ordine” tra le virtù morali stabilendo che la temperanza non è la massima delle virtù: la giustizia, la fortezza e la prudenza le sono superiori e ancor di più le sono superiori le virtù teologali (cf II II, q 141, a 8), per cui anche la gravità dei peccati deve tenere conto di questo ordine. Il peccato di sesso è di per sé grave, ma non è mai grave come l’incredulità, la disperazione, l’odio di Dio (peccati contro le tre virtù teologali e dunque direttamente contro Dio).
Trattando poi della gola, il più basico tra i peccati materiali, san Tommaso spiega che non è un massimo peccato e sì, si può arrivare al peccato mortale, ma a condizioni che raramente si realizzano (cf II II, q 148, a 2-3). Da qui la battuta che circolava in certi ambienti ecclesiastici secondo la quale il desiderio di una buona mangiata - buona in qualità e quantità - era l’ultimo desiderio casto di un prete; per non parlare poi di Umberto Eco, noto e vorace buongustaio, il quale affermò che erano stati i preti ad avviarlo al piacere della buona tavola.
RISCHIO PASTORALE
Parlare di “rischio pastorale” è... rischioso per due ragioni. La prima, perché si tratta di parole del Romano Pontefice, sia pure proferite in un contesto confidenziale: sia chiaro che ne parlo con molta riverenza e senza nessuna intenzione di sminuire il suo magistero, ma solo di fare qualche riflessione. La seconda ragione è che tacere una esattezza teologica per ragioni pastorali non ha senso: che danno può mai arrecare la verità alla pastorale?
Qui però c’è il nodo metodologico fondamentale. Rimanendo intatta l’esattezza dell’impostazione teologica, va subito aggiunto che, nel concreto della vita umana e cristiana:
a) i peccati materiali o carnali non sono mai da soli;
b) questi peccati sono la porta verso forme di insensibilità che conducono a peccati più alti o spirituali. Per cui non dire questo in aggiunta, significa dire una verità teorica, che però in concreto resta una mezza verità con il risultato di far abbassare le difese e spianare la strada ai peccati più alti o spirituali. Non si tratta di una mia pensata, per cui adduco una minima documentazione.
Le connessioni e la convivenza dei peccati anzitutto. Negli ultimi tempi gli uomini saranno «senza amore, sleali, calunniatori (...), intrattabili, disumani», ma insieme saranno anche «intemperanti (akrateis, incontinentes)» (2Tm 3,3). In positivo, insieme ad altre virtù, è richiesto di «aggiungere... alla conoscenza la temperanza (enkrateian, continentia), alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà» (2Pt 1,6).
Più organico e preciso è il Catechismo della Chiesa Cattolica in un testo che è un capolavoro non solo spirituale, ma pastorale: «La sesta beatitudine proclama: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). I “puri di cuore” sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza e la propria volontà alle esigenze della santità di Dio, in tre ambiti soprattutto: la carità (cf 1Tm 4,3-9; 2Tm 2,22), la castità o rettitudine sessuale (cf 1Ts 4,7; Col 3,5; 2518 Ef 4,19), l’amore della verità e l’ortodossia della fede (cf Tt 1,15; 1Tm 1,3-4; 2Tm 2,23-26). C’è un legame tra la purezza del cuore, del corpo e della fede» (CCC 2518). Chiaro che bisogna perseguire tutto, compreso il servizio fattivo del prossimo e, perché no, l’impegno politico, ma il legame tra questi tre elementi fa sì che un peccato contro la “rettitudine sessuale” metta in pericolo la carità e l’ortodossia. E di fatto, guardandosi un poco intorno...
In secondo luogo i peccati della carne sono un impedimento verso aperture più alte e sono la strada verso peccati più alti o spirituali. San Tommaso d’Aquino lo ripete con frequenza quasi cadenzata. Ad esempio i puri di cuore sono «coloro che hanno la purezza della carne; nulla infatti impedisce la spirituale contemplazione quanto l’immondezza della carne» (Commento al Vangelo di Matteo 5,8 n. 435). I vizi carnali poi intaccano profondamente la fede poiché «comportano una grandissima veemenza rispetto agli altri piaceri, per cui l’uomo attraverso di essi si volge con intensità alle cose corporali e resta debilitato nelle operazioni intellettuali (...). Per cui dalla lussuria nasce la cecità della mente, che esclude in modo quasi totale la conoscenza dei beni spirituali; dalla gola nasce l’ottundimento (hebetudo) del senso, che rende l’uomo debole circa gli stessi oggetti» (II-II, q 15, a 3). Altrimenti detto, con i vizi carnali in atto si perde il gusto della lectio divina, del catechismo, delle parabole evangeliche, dell’intensità dei discorsi di Cristo nel vangelo di Giovanni, dei grandiosi affreschi paolini sulle fasi della salvezza ecc.
Per le stesse ragioni i peccati carnali intaccano la speranza, dal momento che, inficiato da questi piaceri, l’uomo «non prova più gusto per i beni spirituali, ne prova fastidio e neppure li reputa dei grandi beni, per cui neppure spera di conseguirli» (II-II, q 20, a 4). Per non parlare poi della prudenza che deve regolare e armonizzare anche umanamente il nostro agire: tutti i vizi contro di essa - l’imprudenza, la precipitazione, l’inconsiderazione, l’incostanza ecc. - «derivano massimamente dalla lussuria» e la ragione è che i piaceri venerei assorbono talmente l’anima da non permetterle più un certo distacco dal sensibile immediato, che è necessario per valutare e orientare il proprio agire (II-II, q 53, a 6).
In conclusione, «chi pratica la fornicazione non intende allontanarsi da Dio, ma solo fruire del piacere carnale, attraverso il quale però si allontana da Dio» (II-II, q 20, a 1, ad 1um). Dio infatti è solidale con la sua creazione e in particolare con le creature umane, per cui ogni disordine sugli affetti, sui sentimenti, sul corpo proprio o degli altri è anche - lo si voglia o no, lo si comprenda o no - un disordine nei confronti di Dio.
Prima ancora di san Tommaso d’Aquino, Sant’Atanasio († 373) ne La vita di Antonio, scrisse che il nemico, cioè il diavolo, dopo aver tentato il giovane Antonio in altri modi, «confidando nelle sue armi intorno all’ombelico e gloriandosi di queste (sono infatti le sue prime insidie contro i giovani), si volse contro il giovane con sconvolgimenti notturni e con tali turbamenti diurni che anche coloro che lo vedevano si accorgevano della loro lotta» (5,3) e poiché non ci riuscì, interrogato da Antonio, si lamentò dicendo: «Io sono l’amico della fornicazione; io mi sono caricato delle insidie perché si cada in essa e dei suoi solletichi rivolti ai giovani; e sono chiamato spirito di fornicazione. Quanti che volevano essere temperanti ho illuso! A quanti che professavano di esserlo ho fatto cambiare avviso, sollecitandoli» (6,2). In fondo anche il demonio ha una sua pastorale e sa che è arduo cominciare proponendo a qualcuno di odiare Dio in modo esplicito: molto più facile cominciare dai piani bassi per giungere poi senza troppa fatica ai piani alti.
Certo, tutto questo va considerato senza mettere in causa che il corpo, gli affetti, il sesso sono un dono di Dio. Ma d’altra parte non si può peccare se non partendo da qualche facoltà che è un dono di Dio, come la libertà di Adamo ed Eva. Certo, va bene non ossessionare i fedeli con i peccati sul sesto comandamento, ma guai a tacere il fatto che questi peccati sono connessi con altri e portano a peccati più alti.
Certo molti teologi rideranno del sottoscritto, ma ride bene chi...