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QUO VADO?

Checco Zalone, uno sguardo naturale sulla realtà

Né di destra né di sinistra e neanche così politicamente scorretto sebbene non faccia parte dei comici di regime. Ma nel suo ultimo film Checco si muove lieve mettendo a frutto la sua indubbia capacità di guardare la realtà alla maniera dei grandi comici. 

Cinema e tv 04_01_2016
Checco Zalone

Nel suo primo film, Cado dalle nubi (2009), Checco Zalone fulminò con una densa battutina il giovane e impegnato pretino casual. «Già siete pochi e vi nascondete pure», disse Checco al prete, indicandogli che almeno uno straccio di clergy poteva infilarselo. Così, per evitare di confondere il ragazzo del sud che puntava la bella milanese Marica e credeva fosse fidanzata con il pretino (molto) casual.

In questi giorni Checco Zalone sta sbancando i botteghini con Quo Vado?, un nuovo film da 7 milioni di euro nella sola prima serata. E così continua la sua cavalcata di battute dense, luoghi comuni, paradossi, e punture di spillo. Questa volta il motore del film è la fissa del “posto fisso”: un must del made in Italy.

Il segreto del successo di Checco, che sembra far arrovellare critici e controcritici, è più banale di quel che si può credere. Fa ridere senza mettersi in posa da intellettuale e così conserva uno sguardo naturale sulla realtà. Luca Medici, alias Checco Zalone, e il suo regista, Gennaro Nunziante (ve lo ricordate il prete del film Casomai (2002)?), sono due che questo sguardo sulla realtà sembrano non averlo perso.

Dopo la riforma che cancella le Province l’impiegato Checco, con posto fisso all’ufficio caccia e pesca, viene mobbizzato da una dirigente del ministero, la brava Sonia Bergamasco, che tenta in tutti i modi di farlo dimettere. Ma lui, fedele alla linea del posto fisso, condito di tutti i luoghi comuni del caso, non molla. Finendo perfino in Norvegia, patria della “civiltà”, dove non si suona al semaforo, non si parcheggia in doppia fila e le famiglie sono allargatissime ed ecumeniche. Checco, ovviamente, si innamora di una giovane ricercatrice italiana, interpretata da Eleonora Giovanardi, che ha la sua bella allargatissima famiglia: tre figli da tre compagni diversi, un figlio prega Allah, l’altra Buddha e uno si dichiara fieramente “ateo”. L’ultimo compagno dell’emancipata e civilizzata ricercatrice si risposa in un matrimonio gay con i controfiocchi. Di fronte a tutto questo Checco sente che deve civilizzarsi.

Ma nulla può contro la potenza della reunion di Albano e Romina al Sanremo 2015, è la goccia che fa traboccare il vaso. Sulle note di “Nostalgia canaglia”, tema musicale di rivincita e riscatto, Checco decide che è ora di strombazzare al semaforo, parcheggiare in doppia fila. E tornare in Italia. 

Lasciamo il finale per chi vuole andare al cinema, ma diciamo che Checco non ci sembra né di destra, né di sinistra, si muove lieve mettendo a frutto la sua indubbia capacità di guardare la realtà alla maniera dei grandi comici. Con la differenza, lo ripetiamo, che non ci sembra voglia iscriversi alla schiera dei comici di regime, di qualunque colore si voglia. Certo, il film non è poi così politicamente scorretto come molti scrivono e pensano, ma almeno lascia la possibilità di riflettere senza cedere subito al tic culturale di gran moda.

L’inno alla Prima Repubblica, quella “che non si scorda mai”, quando “per un raffreddore ti davano quattro mesi alle terme di Abano”, è il pezzo alla Celentano che chiude il film. Un pezzo da nostalgia canaglia. Che ti riporta a quel “paese che sogna e che sbaglia, ma se chiedi poi tutto ti dà”. Inguaribili italiani, non saremo mai finlandesi. E non è detto che sia un problema.