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EDITORIALE

Checco Zalone a Palazzo Chigi

Non vogliamo sopravvalutare l'ultimo film del comico pugliese, ma è giusto apprezzarne lo sguardo realista, senza censure, che valorizza i rapporti umani e anche la Chiesa. Trasmette, insomma, un messaggio positivo e ci rappresenta piuttosto fedelmente.

Editoriali 13_01_2011

Alcuni lettori ci hanno scritto perplessi e in qualche caso un po’ indignati a motivo di una recensione di poche righe che mostrava simpatia per il nuovo film di Checco Zalone (al secolo Luca Medici da Capurso), il comico di Zelig che sta sbancando i botteghini e ha stracciato i più classici «cinepanettoni» delle feste appena concluse.


Ora, senza voler trasformare Zalone in Tarkovskij, senza innescare sul suo film «Che bella giornata» controversie teologiche e interreligiose come per «The Passion» di Mel Gibson, senza voler dar vita, insomma, a «dibattiti culturali» (che lo stesso Checco troncherebbe con autoironia, come ha fatto qualche giorno fa durante un’intervista, spiegando di aver parlato del problema dei tagli alla cultura in Italia con Belén Rodriguez), bisognerà pur riconoscere che il comico ha fatto centro anche con questo secondo lungometraggio. Un film che regala più d’una sincera risata, che si vede senza noia, che non ha cadute di stile. E che trasmette, pur con leggerezza, un messaggio positivo, riuscendo al contempo a descrivere tic e vizi, ma anche virtù dell’italiano medio.

Il film di Zalone non censura o addolcisce la realtà. Ad esempio, rappresenta la minaccia reale del terrorismo fondamentalista di matrice islamica, anche se alla fine sarà proprio il rapporto con questo italiano mediocre e un po’ cafone, ma buono, che porterà la giovane attentatrice magrebina (o di «madre bina», per dirla alla Zalone) a cambiare idea. E cambierà idea nel rapporto umano con il protagonista del film e con la sua famiglia.

Lo sguardo sulla realtà è realista e privo di retorica. Un capolavoro il dialogo tra Checco e il padre, militare italiano in missione in Medio Oriente come cuoco: il figlio lo invita a dire, quando parla del suo lavoro, che sta portando la pace nel mondo. Lui, che non sopporta la moglie, gli risponde: «Io so’ là per la pace mia…», e riferendosi alla consorte: «...un giorno che so’ tornato e già mi manca la trincea».

Anche la Chiesa - e il clero - escono bene dal film di Zalone, che la rappresenta vicina alla vita quotidiana delle persone, quasi connaturale al tessuto sociale del nostro Paese. Già era imperdibile nel primo film, «Cado dalle nuvole», la scena in cui, dopo aver scambiato un giovane prete vestito in borghese come il fidanzato della ragazza di cui lui è innamorato, appena scoperto che è un sacerdote e che lei è solo una sua collaboratrice nelle attività caritative, Zalone lo apostrofa dicendo: «Ma un c.. di colletto te lo potevi mettere, no?». Mentre di «Che bella giornata» rimarrà la scena di Zalone, neo-guardia giurata della Curia milanese, che manda via - perché vestiti male e con i piedi scalzi – un gruppo di monaci buddisti convocati dall’arcivescovo per un meeting interreligioso.

Un film senza pretese, certo da non sopravvalutare (il primo a riderne sarebbe lo scanzonato autore), ma che ci rappresenta piuttosto fedelmente.