Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Filippo e Giacomo il Minore a cura di Ermes Dovico
RIFORME

Che pasticcio quel Senato voluto da Renzi

Per superare i problemi del nostro bicameralismo perfetto, bastava copiare bene il Senato degli Stati federali, come Svizzera, Usa e Germania. Invece gli autori dell'attuale riforma hanno cambiato idea numerose volte. Fino a concepire un nuovo Senato che si sovrapporrà spesso alla Camera, creando conflitti di competenze.

Editoriali 23_09_2015
Senato della Repubblica

Mentre lo scontro politico si concentra sui modi dell’elezione o della nomina dei membri dell’eventuale futuro Senato delle Autonomie, vale la pena di andare a vedere altri punti della riforma costituzionale in discussione. Purtroppo, più ci si guarda dentro, e più ci si rende conto che l’unico risultato sostanziale di tale riforma sarebbe, come già avemmo modo di accennare, un ritorno al centralismo dell’Italia sabauda.

La pretesa invece secondo cui  il nostro sistema istituzionale ne uscirebbe più lineare ed efficiente non ha alcun fondamento. Ci sono anzi buoni motivi per ritenere che sarebbe ancora più complicato e pasticciato di quanto sia adesso. Facciamo il caso del superamento dei difetti del bicameralismo, che è uno degli obiettivi più proclamati. Intanto ci sarebbe da dire che il bicameralismo non ha soltanto difetti. Nella misura in cui la Camera alta è innanzitutto una rappresentanza dei territori e la Camera bassa è invece una rappresentanza della popolazione, esso consente di meglio tutelare gli interessi dei territori meno abitati e più distanti dalle grandi aree metropolitane che altrimenti finirebbero per venire costantemente sacrificati. E’ questo un processo che merita invece di venire contrastato con forza per evitare che, a lungo andare, la popolazione si concentri in alcune aree metropolitane con gravi danni sul piano sia ambientale ed economico che culturale.

Ciò premesso la questione-chiave è quella di evitare  la cosiddetta “navetta”, ossia il via vai tendenzialmente senza fine dei progetti di legge da una Camera all’altra: qualcosa che tipicamente accade quando invece, come oggi in Italia, si è in presenza di un “bicameralismo perfetto”, ovvero quando le due Camere hanno le medesime competenze e prerogative. Per uscire da tale vicolo cieco non c’è poi molto da inventare o da cercare avventurandosi in chissà quali ricerche. E’ un problema che molti Paesi hanno già da tempo affrontato e risolto. Tra questi alcuni a noi variamente vicini come la Svizzera, la Germania, gli Stati Uniti. Basterebbe, insomma, copiare bene e con i dovuti adattamenti alla nostra situazione. Purtroppo però non è questo che hanno saputo fare gli autori della riforma costituzionale oggi in discussione.

Sembra di capire che abbiano cominciato prendendo a modello la Camera alta tedesca, il Bundesrat, che è un’assemblea di rappresentanti dei governi dei Länder e non dei loro parlamenti, e che è una camera di revisione non solo delle leggi approvate dalla Camera bassa ma già dei progetti di legge. Poi però hanno cambiato strada puntando a farne un’assemblea di rappresentanti delle assemblee regionali e dei sindaci dei comuni; un’assemblea con competenze rafforzate in materie definite in commi e punti di alcuni specifici articoli della Costituzione. Un’assemblea che da un lato funge da “raccordo” (chissà come) fra lo Stato e le autonomie territoriali e dall’altro “Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione Europea e, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolge attività di verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato e di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio”.

Insomma c’è tutto quel che basta e avanza per dare la stura a una valanga di conflitti di competenze su cui poi interverrebbe la Corte Costituzionale accentuando il suo già abbastanza anomalo ruolo di “terza Camera”.  Come insomma quasi sempre finora accade nella vita pubblica del nostro Paese, non si ha il coraggio di cambiare davvero sistema ma si procede per aggiustamenti di quel che c’è. Perciò inevitabilmente si producono non semplificazioni ma complicazioni. In quanto poi alla demagogica parola d’ordine “Meno senatori meno spese”, basti dire che nel 2014 il Senato spese per i senatori 74 milioni e per il suo personale quasi il doppio, 145 milioni di euro. Se questo è dunque un obiettivo prioritario, più che ridurre i senatori converrebbe ridurre il personale del Senato.