Cercasi un partito pronto a difendere la parità scolastica
Dando così prova di una rapidità di reazione senza precedenti, il segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, è sceso in campo in difesa delle scuole paritarie che in forza di una recente sentenza del tribunale di Livorno potrebbero essere chiamate a pagare imposte (in questo caso la vecchia Ici) anche arretrate in quanto “enti commerciali”.
Dando così prova di una rapidità di reazione senza precedenti, il segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, è sceso in campo in difesa delle scuole paritarie che in forza di una recente sentenza del tribunale di Livorno potrebbero essere chiamate a pagare imposte anche arretrate (in questo caso la vecchia Ici) in quanto “enti commerciali”. Il governo ha subito fatto sapere che in ogni caso vedrà che cosa si può fare perché sulle scuole non statali non cada anche questa tegola.
Frattanto a difesa dei magistrati di Livorno è sceso in campo nientemeno che il presidente della Corte di Cassazione. Con una nota ufficiale l’alto magistrato ha difeso i suoi colleghi di Livorno affermando che con la loro sentenza non hanno imposto ipso facto il pagamento alle scuole paritarie le imposte dovute ai Comuni dagli “enti commerciali”, ma si sono limitati a stabilire che incombe su di esse l’onere di provare che tali non sono. Magari la questione in un modo o nell’altro si risolverà, e in ogni caso una positiva soluzione del problema è di immediata importanza per le scuole paritarie. Si tratta in realtà di istituti che sopravvivono solo grazie a grandi sacrifici di tutte le parti in causa (famiglie, insegnanti, gestori) e che faticano sempre a pareggiare i conti. Nuove imposte con tanto di arretrati sarebbero in molti casi un onere insostenibile. Bene fanno a reagire le associazioni di rappresentanza delle scuole paritarie. Nella loro veste di organismi sindacali dovrebbero anzi farlo sempre di più e meglio. Ben venga, infatti, la presa di posizione di monsignor Galantino, ma non sarebbe stato meglio che le associazioni delle scuole paritarie si fossero mosse per prime, e la Cei fosse intervenuta in appoggio?
Ferma restando comunque tale urgenza immediata, nella sostanza la questione è tuttavia ben più ampia. Perciò non la si può lasciare soltanto agli organismi di rappresentanza delle scuole paritarie e dei loro gestori: ovvero al livello sindacale, che per natura sua attiene a necessità pratiche immediate. Il problema va posto a livello politico. Sarebbe finalmente il caso di cominciare a porre -- cosa sin qui mai accaduta in Italia (almeno con la chiarezza e la tenacia necessarie) -- il problema fondamentale, che è quello della libertà d’educazione nonché dei diritti conseguenti. Ai tempi della Prima Repubblica una delle tante scelte di corto respiro che la Democrazia cristiana fece con ampio avallo ecclesiastico fu quella della rinuncia a porre il problema del monopolio statale della scuola in cambio della permanente assegnazione alla Dc della poltrona di ministro della Pubblica Istruzione. I risultati catastrofici di tale miope baratto sono ormai evidenti a chiunque.
Quello della scuola è l’ultimo grande e nefasto monopolio statale che ancora sussiste nel nostro Paese. Dal monopolio dei tabacchi a quelli delle poste e dell’energia elettrica, negli ultimi decenni tutti i monopoli statali sono stati aboliti. Ci resta soltanto quello della scuola che però è il più importante. Grazie alla sua durata e alla forza con la quale ci venne imposto dallo Stato italiano, in grande continuità attraverso tutte le varie stagioni che lo caratterizzarono, il monopolio scolastico statale in Italia sembra ovvio. Invece non è affatto così. É una novità che entra nella storia con la Rivoluzione francese, e di cui merita di venire riscoperta la natura essenzialmente autoritaria. La pretesa che lo Stato abbia il potere quasi esclusivo di educare i propri cittadini è qualcosa di tendenzialmente tirannico. Tra l’altro è in varia misura venuto meno ormai in tutta l’Europa occidentale, Francia compresa. Resta quasi intatto soltanto in Italia. È vero che oggi in larga misura tale potere è passato dallo Stato in quanto tale alle forze politico-culturali organizzate che predominano nel suo corpo insegnante. Il carattere autoritario del fenomeno però non per questo cambia.
L’esproprio del diritto delle famiglie alla scelta di come e da chi far istruire i propri figli persiste. Cambia soltanto il soggetto espropriatore. Per l’importanza decisiva che l’educazione ha ai fini della crescita della persona, tanto più in un’epoca come la nostra, l’impegno per il superamento del monopolio statale della scuola dovrebbe essere un obiettivo politico di assoluta priorità. Non è sin qui stato così per varie ragioni, ma sarebbe ora di cambiare strada. Perciò occorre appunto, dicevamo, portarlo a livello politico senza più lasciarlo al solo livello sindacale. Qui infatti fatalmente si tende a giocare tutte le carte al modesto livello delle facilitazioni fiscali e della concessione di contributi immediati. Gli esiti di tale modus operandi sono tra l’altro a dir poco fallimentari.
Tanto per fare un esempio, su una spesa statale complessiva dello Stato italiano nel settore di 57 miliardi di euro nel 2011-12 le scuole paritarie – i cui allievi sono circa il 10 per cento del totale -- hanno ricevuto la miseria di 511 milioni di euro di contributi, e oggi ricevono anche meno. Si consideri poi che a quei 57 miliardi di spesa statale si deve aggiungere il costo degli edifici scolastici, che grava sui comuni e sulle province. Tenendone conto quella miseria di contributi alle scuole paritarie in percentuale della spesa pubblica del settore scende ulteriormente. La situazione è questa. C’è qualcuno sulla scena della vita pubblica italiana che ha il coraggio di farsene carico?