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DOPO IL REFERENDUM

Centralismo o decentramento? Lotta fra città e campagne

In Lombardia, al referendum sull’autonomia, la provincia in cui più gente è andata a votare è quella di Bergamo. Quella in cui si è votato meno è Milano. E meno in assoluto a Milano città. Le province tendono a preferire il decentramento, le città il centralismo. Perché? Ci viene in aiuto il politologo David Goodhart.

Politica 24_10_2017
Milano, manifesti per il referendum

In Lombardia, al referendum sull’autonomia, la provincia in cui più gente è andata a votare è quella di Bergamo, con il 39,7% di affluenza. In alcuni suoi comuni, ha votato più del 50% dell’elettorato. Dopo Bergamo, seguono Lecco, Brescia, Como, Sondrio, Cremona, Varese, Monza Brianza, Lodi, Mantova e Pavia. Ultima e ben distaccata è Milano, area metropolitana (cioè Milano più comuni dell’hinterland). E veramente in fondo alla classifica c’è proprio Milano città.

Non è uno scenario nuovo: la grande città che vota a sinistra e le aree rurali o le città più piccole che votano a destra. In questo caso, il referendum era trasversale. Ma era promosso soprattutto dalla Lega Nord. Inoltre cosa vuol dire destra e cosa sinistra, in un’era post-ideologica? In buona parte dell’Europa occidentale, la destra è quella parte che dà maggior peso al principio di sussidiarietà rispetto alla solidarietà, dunque è più propensa al decentramento, all’avvicinamento del potere decisionale del governo ai cittadini, alle comunità spontanee. Sinistra è invece quella parte che dà maggior peso alla solidarietà rispetto alla sussidiarietà, quindi tende a centralizzare per redistribuire. E’ così in Italia, è stato così in Austria, in Germania, in Francia, nel Regno Unito, giusto per citare i casi più recenti. In Austria il Partito Popolare di Kurz ha vinto ovunque, meno che a Vienna. In Francia le province avevano votato per Fillon al primo turno, anche per la Le Pen. Mentre il giovane Macron ha vinto per le grandi città, Parigi in primo luogo (e perché la Le Pen non era ancora un’alternativa credibile). In Germania le città sono ancora di sinistra: l’Spd arretra ovunque, ma nella mappa elettorale del paese spunta, sotto forma di piccole enclave rosse, laddove ci sono grandi città, con pochissime eccezioni (Monaco e Francoforte hanno votato comunque Cdu-Csu). Nel Regno Unito è ormai un caso scuola il risultato della Brexit. I famosi “vecchi dello Yorkshire”, presumibilmente meno colti e più stanziali hanno prevalso sulla classe giovane e urbana di Londra.

Il decentramento, l’avvicinamento del potere politico alle comunità, fa perfettamente il paio con le istanze più euroscettiche e con un atteggiamento decisamente più ostile alla politica dell’accoglienza degli immigrati. Questi gruppi di voto, nelle ultime consultazioni elettorali si presentano all’unisono e nelle stesse aree. Ma il fenomeno non riguarda solo l’Europa. Anche negli Stati Uniti, l’elezione di Donald Trump nel novembre 2016 è anch’essa un caso scuola, come la Brexit. Perché a giudicare dalla mappa elettorale per contea, il blu dei Democratici appare in varie e disperse enclave urbane. Coincide con le grandi città. Ma il resto del paese è un mare di rosso repubblicano. Anche qui le eccezioni non mancano, ma verrebbe quasi l’idea che, tolte le città, i Democratici non avrebbero alcuna chance di vincere negli Usa. La battaglia politica che si combatte negli Usa è molto simile a quella europea. Anche se non c’è l’Ue in ballo, si vota comunque sul grado di decentramento dello Stato e sull’immigrazione. I Repubblicani sono maggiormente inclini a lasciare più potere ai singoli Stati, dunque per il decentramento. I Democratici, al contrario, sono molto più centralisti. Idem per l’immigrazione: più restrittivi i Repubblicani, più accoglienti i Democratici. Va ricordato, poi, che i Democratici sono i migliori partner dell’Ue, mentre i Repubblicani tendono a snobbare, a dir poco, la politica di Bruxelles. Specie da quando c’è Donald Trump.

Come si spiega la distribuzione del voto? Qual è l’origine della nuova lotta fra città e campagna? Verrebbe da pensare a una divisione naturale, spontanea. La grande città ha sempre avuto la propensione a centralizzare il potere per controllare ampi territori, la campagna è invece gelosa delle sue tradizioni, ogni campanile vuole fare da sé. Fino a un certo punto è fisiologico. Ma il fenomeno che osserviamo nelle ultime elezioni è recente e ha caratteristiche di tipo nuovo.

Ci viene in aiuto ancora una volta il politologo britannico David Goodhart, autore di The Road to Somewhere. Nel suo articolo “Ricucire la nuova spaccatura sui valori” (pubblicato in D. Capezzone, F. Punzi, Brexit – La sfida, Giubilei Regnani 2017) spiega come la società si divida, essenzialmente, in due gruppi: “Un gruppo sociale minoritario di persone altamente istruite e mobili, chiamiamole convenzionalmente gli Ovunque, che tendono a valorizzare movimento e apertura e che sono a loro agio con i cambiamenti sociali, ha recentemente preso il controllo della nostra economia e società. Un gruppo sociale più vasto, ma meno influente, chiamiamoli i Solo Qui, più radicato e meno istruito, che attribuisce maggior valore alla sicurezza e alla familiarità, e che è molto più connesso alle identità di gruppo rispetto agli Ovunque, si trova in una condizione di disagio. I Solo Qui che si sentono esclusi dallo spazio pubblico, hanno risposto usando il loro potere di elettori per scegliere la Brexit (e anche Trump)”.

Goodhart constata la distribuzione territoriale degli Ovunque nelle grandi città, a Londra in particolare e dei Solo Qui nelle aree rurali e ne spiega l’origine nella nuova economia: “Solo fino a un paio di generazioni fa, un gran numero di persone svolgeva bene lavori qualificati che richiedevano poca cultura, ma una grande esperienza. E questo proteggeva lo status di chi svolgeva questi mestieri. Tali lavori comuni, spesso nel settore manifatturiero, offrivano anche una carriera graduale. Attualmente, la maggioranza dei lavori in Gran Bretagna, richiede una laurea e, praticamente, nessuna esperienza. Grazie alle università e all’egemonia di Londra, l’intelletto e l’affermazione sociale sono associate con l’abbandono, la separazione dalle proprie radici e la trasformazione in un Ovunque”. Succede così un po’ dappertutto, sostituite "Londra" con "Milano" e vedrete lo scenario lombardo. Milano, come una Londra in piccolo, è una città cosmopolita che attira gente da tutta Italia (e dall’estero) per carriera, lavoro e studio, dove i milanesi di origine sono ormai una esigua minoranza.

Un Ovunque non vive nell’area in cui è nato. Gli interessa meno la difesa delle tradizioni, tantomeno quella del territorio. Abita in una grande città a cui non sente di appartenere. Tende a votare per uno Stato centrale, lontano, che garantisca libertà di movimento, progresso e nuovi diritti. Un Solo Qui tende a difendere quello che ha, a partire dalla famiglia e dalla proprietà (sulla casa, prima di tutto) e anche del territorio. “Ciò che è innegabile è che il mondo moderno in Gran Bretagna e in altre democrazie ricche – spiega Goodhart - è stato progettato da e per gli Ovunque: l’economia della conoscenza e la centralità delle capacità intellettive per il successo contemporaneo, l’espansione dell’educazione superiore e il relativo rifiuto dell’apprendimento tecnico e dell’avviamento al lavoro, il rapido mutamento sociale rappresentato dall’immigrazione di massa e un’economia più aperta, il declino della famiglia e di comunità più stabili. Tutto ciò ha prodotto un contraccolpo che chiameremo: populismo. E trovare un nuovo equilibrio fra gli Ovunque e i Solo Qui sarà lo scopo centrale della politica contemporanea”. In Italia, questo equilibrio non lo si sta neppure tentando. Siamo ancora alla fase degli insulti. Dalle province lombarde e soprattutto venete, però, è arrivato un segnale di disagio che non si può certo lasciare inascoltato.