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C'è un vescovo in Francia: in chiesa solo canti sacri

Brive-la-Gaillarde, diocesi di Tulle. Dei sacerdoti appartenenti alla Comunità di San Martino, ricca di vocazioni e promotrice del gregoriano nella liturgia, chiedono di eliminare i canti profani da un concerto di corali in chiesa. Monta la polemica e il vescovo che fa? Difende senza timore i sacerdoti ricordando che “le canzoni leggere non sono per nulla adatte al luogo sacro”, perché le chiese “non sono delle sale polivalenti” bensì “il luogo del Corpo di Cristo”.

Ecclesia 17_06_2019

Immaginate che da tempi (quasi) immemorabili una certa chiesa ospiti l’inveterata tradizione di un concerto annuale di corali. Immaginate che in questo concerto vi sia un po’ di tutto: canti sacri e profani, inni alla Santissima Vergine alternati a inni alla République, mottetti latini intervallati con canti etnici. Adesso immaginate che il nuovo parroco, fresco fresco di nomina, decida di ricordare che le chiese sono state costruite per il culto cattolico e non per lodevoli (a volte) manifestazioni culturali. E, di conseguenza, metta come condizione per il concerto che si eseguano esclusivamente canti sacri. Immaginate, infine, che il vescovo prenda le difese del parroco, affrontando la montante (e montata) polemica. Troppa immaginazione, penserete voi. Troppo bello per essere vero. E invece a Brive-la-Gaillarde, diocesi di Tulle, è accaduto.

Facciamo un passo indietro. I sacerdoti della Communauté Saint-Martin (Comunità di San Martino) sono arrivati in diocesi, chiamati dal vescovo, monsignor Francis Bestion, nel settembre del 2017. La piccola diocesi di Tulle si trova in una situazione molto critica, quasi drammatica: meno di 50 sacerdoti, di cui più di 10 ritirati per ragioni di età, per un totale di quasi 300 parrocchie e, per di più, senza ordinazioni sacerdotali da anni. I dati sono impietosi: nel 1969 la diocesi, che annovera nella cronotassi dei suoi vescovi anche monsignor Lefebvre, contava 223 sacerdoti, 46 religiosi, 237 religiose; nel 2017 i sacerdoti sono precipitati a 49, i religiosi a 12, le religiose a 42. Una situazione che non è molto diversa da quella di numerose altre diocesi europee. Eppure una differenza c’è.

Monsignor Bestion ha pensato di fare una cosa di grande buonsenso: chiamare nella propria diocesi alcuni giovani sacerdoti di una realtà che sta dimostrando di “funzionare” egregiamente, non solo per dare una mano alle innumerevoli incombenze pastorali, ma anche nella speranza di rilanciare le vocazioni sacerdotali.

La Communauté Saint-Martin, fondata nel 1976 da monsignor Jean-François Guérin e sviluppatasi grazie all’aiuto del cardinale e arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri (che tre anni più tardi le diede la prima approvazione), presente ormai in oltre 20 diocesi francesi, conta 115 sacerdoti e diaconi e ha in formazione oltre 100 seminaristi. Il segreto? Ereditare la grande tradizione della Chiesa, imparare ad ascoltarla, conoscerla, farla propria. In concreto: latino e gregoriano nella liturgia, talare, vita di preghiera, seria formazione umana, spirituale, intellettuale, pastorale. Una potenza e una speranza.

Il ragionamento di monsignor Bestion dev’essere stato semplice: se sono nel bisogno, se i tanti tentativi finora sperimentati per ravvivare le vocazioni sacerdotali non hanno avuto successo, è saggio chiedere aiuto e mettersi in ascolto di chi invece conosce una fioritura incessante di vocazioni. Lo stesso buonsenso monsignor Bestion l’ha dimostrato nella vicenda abbozzata in apertura di questo articolo. Di fronte alla consuetudine di fare un concerto con canti profani nelle chiese, i sacerdoti della Communauté Saint-Martin di Brive hanno chiesto che dal programma venissero tolti e sostituiti i brani non consoni al luogo sacro. Apriti cielo! E via con i soliti slogan: sono preti tradizionalisti, medievali, ottusi... E con le solite lagne: i concerti sono un modo per trasmettere la cultura e tenere aperte le chiese.

France 3 ha chiesto a monsignor Bestion (vedi qui) di pronunciarsi sulla polemica in corso, e il vescovo di Tulle non se l’è fatto ripetere due volte. È apparso davanti alle telecamere per difendere la scelta dei suoi sacerdoti e per ringraziarli di aver accettato di essere presenti nella sua diocesi. “Le chiese sono destinate esclusivamente al culto cattolico”, afferma il vescovo, spiegando che su questo punto la laicissima legge francese e le indicazioni della Sede Apostolica coincidono. Sono i sacerdoti a decidere se permettere occasionalmente dei concerti, ma, precisa Bestion, “le chiese non sono delle sale polivalenti, né delle sale da spettacolo, né degli auditorium, né dei musei. Sono dei luoghi sacri destinati al culto”. Perciò a porre dei problemi sono “le corali che cantano [...] canzoni leggere, che non sono per nulla adatte al luogo sacro”. E giusto per ribadire: “Le chiese sono il luogo del Corpo di Cristo: il Corpo eucaristico, il Santissimo Sacramento, e il corpo ecclesiale, i battezzati”.

Il vescovo di Tulle riconosce che “c’è stato un certo lassismo” al riguardo, e perciò rivela di essere stato lui stesso a chiedere ai sacerdoti di Brive di essere più rigorosi sui concerti nelle chiese. “Ho ricevuto delle lettere di persone che si lamentano del fatto che nelle chiese si faccia qualunque cosa [...] Mi sento in dovere di reagire e, come vescovo, di far rispettare questi luoghi sacri [...]. Non si può mischiare tutto: abbiamo perduto il senso del sacro”.

Stavolta, noi della Nuova Bussola non c’entriamo: non siamo stati noi a segnalare abusi sul territorio francese, ma è bello constatare come ci sia sintonia tra noi, questa gente che si è lamentata con il vescovo, e la decisione del vescovo stesso, che ha coraggiosamente difeso l’operato dei sacerdoti della Communauté Saint-Martin, ribadendo che essi non hanno fatto altro che seguire quanto richiedono “la Chiesa cattolica, la Santa Sede e la Conferenza episcopale”. Il fatto che altri parroci decidano diversamente, sbagliando, non autorizza nessuno a continuare nell’errore. “Bisogna imitare il vero, il bene e non l’errore”, ha insistito monsignor Bestion, ricordando che quando era bambino e combinava qualche guaio tentava di difendersi di fronte ai suoi genitori, dicendo che anche il suo amico aveva fatto la stessa cosa; saggiamente, i genitori gli rispondevano: “Ma se lui si butta nel fiume, tu lo segui?”.

“Bisogna rispettare questi luoghi sacri, le chiese”, conclude il vescovo di Tulle. I nostri padri che le hanno costruite “si rivolterebbero nella tomba, perché non le hanno costruite perché vi si canti del varietà; le hanno costruite per la fede, per accogliere il Corpo di Cristo. È questo lo scopo delle chiese. Vi sono molti altri luoghi che permettono il canto corale: che vengano utilizzati. Perché ci si ostina ad andare a tutti i costi in un luogo sacro per fare cose che sacre non sono?”. Ecco, appunto. Considerazioni e domande che bisognerebbe girare a qualche confratello vescovo.