Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
EDITORIALE

C'è qualcosa che viene prima della stabilità del governo

La radice dell'irrilevanza della presenza cattolica in politica sta in una concezione moralistica del cristianesimo, che scinde i "temi eticamente sensibili" dalle altre tematiche. Non è l'adesione ad un progetto politico a cambiare la realtà, ma solo la riproposizione del fatto cristiano come evento totalizzante.

Editoriali 10_11_2014
Parlamento

Ringrazio l’onorevole Eugenia Roccella per il suo intervento su La Nuova BQ, perché è anzitutto una testimonianza appassionata sulle ragioni del proprio impegno politico prima che un’analisi del rapporto tra cattolici e politica. E questa testimonianza spiega meglio di qualsiasi altro discorso il senso della manifestazione di Roma del 15 novembre, organizzata dal Nuovo Centro Destra e chiamata Family Act. È una iniziativa che ha giustamente incontrato l’interesse di molte associazioni pro-family, come si può constatare dall’articolo di Giulia Tanel a corredo dell’intervento dell’on. Roccella. L’importanza delle adesioni comunque, più che una dichiarazione di supporto al NCD – non necessaria per partecipare alla manifestazione – dice soprattutto di una voglia che tanti italiani hanno di testimoniare l’unicità della famiglia naturale in un momento in cui viene attaccata da ogni parte. Un messaggio che soprattutto nella Chiesa andrebbe meditato.

Detto questo però vorrei soffermarmi su alcuni passaggi dell’intervento dell’on. Roccella, che potremmo sintetizzare in questo modo: mai come in questa legislatura i parlamentari cattolici sono una piccola minoranza; essi militano in larga parte nel NCD; il NCD è l’unica forza politica che, per quanto piccola, si oppone al laicismo imperante, ed è bene che resti al governo perché in questo modo si incide di più; se uscisse dal governo e si andasse alle elezioni ora, sarebbe un disastro per i cattolici che perderebbero sicuramente qualsiasi rappresentanza politica.

Parto dal racconto della situazione del dopo-Tangentopoli, con la dissoluzione della Democrazia Cristiana, fino ad allora il punto di riferimento dei cattolici. Dice la Roccella che da allora fino alla scorsa legislatura, i cattolici hanno militato in diversi schieramenti, anche contrapposti, trovando però «forme trasversali di convergenza» sui «valori fondamentali». Ecco, credo che l’origine della crisi sia qui, in questa concezione della militanza politica, avallata anche dalle gerarchie ecclesiastiche, che può riassumersi così: state in qualsiasi partito, basta che poi votiate uniti a difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione.

In questo modo però, quelli che il cardinale Ratzinger aveva definito princìpi non negoziabili sono stati declassati a valori: importanti sì ma accanto ad altri valori, e certamente non in grado di essere il criterio discriminante di un’azione politica. Così si è potuto tranquillamente militare in partiti, come quello Democratico, che pure la dissoluzione della famiglia la perseguono nel loro programma o che fanno della difesa del diritto all’aborto una loro bandiera, o che ancora perseguono una visione statalista dell’educazione. Salvo poi qualche volta – non sempre – rivendicare una clausola di coscienza sui temi suddetti.

Tale concezione rivela una profonda incomprensione di cosa siano i princìpi non negoziabili: essi sono il fondamento di ogni società che voglia essere giusta ed umana, sono le fondamenta che rendono possibile lo sviluppo di un popolo, la sua capacità di competere economicamente e di essere stabile socialmente. Cose che abbiamo spiegato mille volte. Tutto il resto – lavoro, migrazione, economia, finanza, e così via – poggia su queste fondamenta. Se la famiglia naturale viene colpita anziché valorizzata, non è soltanto un problema etico: è un problema economico e sociale, è una politica miope che provocherà maggiore disoccupazione, recessione e aumento di spesa pubblica (basti pensare soltanto ai costi dell’assistenza sociale per venire incontro ai bisogni provocati dalla disgregazione della famiglia). In altre parole, è una rovina per il bene comune.

Se ci fosse stata questa consapevolezza, sarebbe stato ovvio evitare di partecipare a partiti che perseguono il progetto opposto, oppure condizionare la propria militanza almeno a una moratoria su questi temi. Tanti cattolici bene intenzionati hanno invece pensato che questi fossero semplicemente “temi eticamente sensibili” – senza un legame vero con gli altri - su cui chiedere al massimo una libertà di voto. L’esito è stato una irrilevanza totale della loro presenza, o addirittura un coinvolgimento attivo nell’attacco alla famiglia (vogliamo ricordare che il progetto del riconoscimento delle coppie di fatto portava la firma della “cattolica” Rosy Bindi nel governo del “cattolico” Prodi?).

Il fallimento di questa linea, il cui ultimo passaggio sono stati i convegni di Todi con quel che ne è venuto, è nei fatti e la situazione di assoluta minoranza in questa legislatura ne è l’ovvia conseguenza.

Cosa fare adesso? Secondo l’onorevole Roccella bisogna difendere con le unghie e con i denti l’ultima trincea, che sarebbe il NCD, che combatte per questi princìpi. Non abbiamo mai avuto difficoltà a riconoscere esplicitamente i meriti di quei pochi deputati e senatori che in questi anni hanno messo la loro faccia e profuso il loro impegno su questi temi, in gran parte militanti appunti del NCD.

Ma due cose almeno vanno chiarite: anzitutto, è da discutere che l’impegno di questo manipolo, per quanto reso possibile, sia anche la linea ufficiale del partito. Ci auguriamo che lo diventi e speriamo che il Family Act sia un segnale che il vertice del partito possa cogliere, ma ad oggi si deve riconoscere che non è così. In Parlamento, tanto per fare un esempio, il NCD ha votato per il divorzio breve – salvo le solite eccezioni – e sul progetto di unioni civili fortemente voluto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, non abbiamo sentito la voce forte dei vertici del NCD che pure del governo fanno parte.

E qui c’è il secondo punto da chiarire: dice l’onorevole Roccella che stando al governo si incide di più. Sarebbe meglio dire: si inciderebbe di più, se fosse chiaro per quale motivo si sta al governo. In effetti qualcuno dovrebbe dimostrare che i rappresentanti del NCD al governo siano stati significativi per tutto quanto abbiamo detto finora. Anche da coloro che spesso sono davanti alle telecamere, mai abbiamo sentito una parola che dimostrasse almeno la consapevolezza che famiglia, vita, educazione, sono davvero la chiave per la rinascita dell’Italia. Addirittura abbiamo il caso del sottosegretario all’Istruzione che assiste impassibile alla penetrazione nelle scuole dell’ideologia gender e delle organizzazioni Lgbt, come se fosse una questione minore. Ci si chiede: che differenza farebbe se in quel posto invece dell’onorevole Gabriele Toccafondi ci fosse un qualsiasi esponente del Pd?

Alla fine, pur con tutte le buone intenzioni, restare al governo viene considerato prioritario rispetto ai contenuti del governo stesso. Dice l’onorevole Roccella: se questo governo cade viene peggio, e bisogna assumersi la responsabilità di certe scelte. Certo, tutti i fattori devono essere valutati, ma il giudizio deve essere dato sul presente e non su un futuro che nessuno può prevedere: e se il presente mi pone davanti la scelta tra la stabilità di un governo e l’approvazione di una legge ingiusta, non si possono avere dubbi o nascondersi dietro la necessità di limitare i danni. Come dimostra la storia della Dc e anche del periodo post-tangentopoli questa strada nel lungo termine porta solo alla disfatta.

C’è bisogno che venga posto con chiarezza un giudizio sulla società e sui compiti della politica, su cosa è fondamentale e su cosa non lo è. E sono convinto che questo paga anche in termini di consensi elettorali. 

E vengo all’ultima considerazione: il problema in Italia non sono i politici. Quello della rappresentanza politica è solo l’ultimo passaggio, la conseguenza di ciò che prima è stato seminato nella Chiesa e dalla Chiesa. Come si può pretendere dai cattolici una presenza significativa in politica se non sono prima presenti con una identità precisa nella società? Ed è qui la crisi vera: la schizofrenia descritta all’inizio - ovvero la scissione tra i “temi eticamente sensibili” (espressione che trovo ripugnante) e gli altri temi – nasce in una concezione moralistica e spiritualistica del cristianesimo, ridotto a una ispirazione invece che a un fatto che investe tutta la vita. Come dimenticare, tanto per fare un esempio di attualità, che il politico “cattolico” Ignazio Marino è una creatura del cardinale Carlo Maria Martini? Non è un caso isolato, basti pensare a cosa è uscito dalle famigerate scuole di politica che sono andate di moda negli anni ’90, ispirate alla stessa dicotomia.

Pur senza dimenticare di sostenere chi sta comunque combattendo oggi una battaglia in Parlamento, il vero compito è rendere di nuovo presente nella Chiesa e nella società il fatto cristiano, come evento totalizzante che giudica ogni aspetto della vita personale e sociale. E questo fatto non è riducibile a un progetto politico, per quanto buono, anche se inevitabilmente genera delle conseguenze politiche.