Castigo di Dio, ma per salvarci. Dice la Scrittura
Il peccato originale pone la prima relazione tra peccato dell’uomo e castigo. Ma la sofferenza è solo il risultato della rottura di un equilibrio oppure c’è anche un positivo intervento di Dio? La Bibbia tiene conto di una realtà variegata, che comporta diversi modi dell’agire divino. L’Antico Testamento interpreta alcune calamità naturali e situazioni dolorose come interventi di Dio che castiga. Anche il NT descrive un’azione castigante di Dio, ma rivelando in modo definitivo che il Suo scopo è sempre - nel rispetto della libertà umana - la nostra salvezza.
Il Covid-19 ha riportato in auge la categoria dei castighi di Dio con molta sicurezza nelle affermazioni e nelle negazioni, ma la questione è complessa, a cominciare dalla Sacra Scrittura, che ci apprestiamo brevemente a percorrere.
Una prima risposta alla domanda se Dio castiga, potrebbe essere la 2Pt 2,4ss., che comincia così: «Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio» (2Pt 2,4); evocato poi Noè e il diluvio e Sodoma e Gomorra, il testo arriva a tutti gli empi riservati «per il castigo nel giorno del giudizio» (2Pt 2,9) e agli empi attuali, ai quali «è riservata l’oscurità delle tenebre» (2Pt 2,17). La grandiosità dell’affresco non consiste tanto nel mettere insieme peccato e castigo di Dio, quanto nel partire dagli angeli: i castighi di Dio cominciano ben prima della creazione dell’uomo!
Il peccato originale pone la prima relazione tra peccato e castigo. Sono note le “maledizioni” di Dio in Gen 3,14-19, sintetizzate dal Catechismo (CCC 399-400): perdita della santità originale e della familiarità con Dio, squilibrio nelle facoltà personali e nel rapporto tra uomo e donna, concupiscenza come fascino verso il male, rottura dell’armonia con la creazione che impone fatica per la sopravvivenza, infine la morte così come la si sperimenta.
Tutto questo è chiaro, ma la domanda sottile e che ci accompagnerà da qui in avanti è la seguente: la sofferenza descritta - la condizione umana - è solo il risultato della rottura di un equilibrio, oppure c’è anche un positivo intervento di Dio sotto forma di castigo? Certamente il fatto che le parole siano messe in bocca a Dio e che per due volte ritorni la parola “maledetto” orienta a non scartare la seconda ipotesi, che beninteso non annulla la prima.
Dunque il peso della vita e la sofferenza della morte, l’infelicità di tante relazioni umane - da quelle familiari a quelle internazionali - sono sotto il segno di un primo peccato ma anche, sia pure in modo diverso, di un castigo divino (dal quale Dio offre la liberazione).
Non bisogna tuttavia aumentare la portata di “maledetto il suolo per causa tua”, che il testo biblico lega al sudore per la sussistenza (Gen 3,17-19), estendendolo alle calamità naturali come tsumani, terremoti, irregolarità delle stagioni con carestie, ecc. Il CCC sul male fisico del mondo non cita il peccato originale, ma spiega che Dio ha creato il mondo «“in stato di via” verso la sua perfezione ultima» e comportante «con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, (...) con le costruzioni della natura anche le distruzioni» (CCC 310). Quindi, probabilmente le calamità naturali ci sarebbero state anche se Adamo non avesse peccato e non è corretto valutarle immediatamente come castigo di Dio o conseguenza dei peccati.
Per contro, le Scritture dell’Antico Testamento interpretano alcune calamità naturali, malattie, guerre e situazioni dolorose degli sconfitti come interventi di Dio che castiga.
Il diluvio è attribuito a Dio il quale vide che «la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male», per cui disse: «cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato» e tutto il resto (Gen 6,5.7). Ciò non toglie che il diluvio si possa spiegare in tanti altri modi, ma la Bibbia lo interpreta così.
Per il peccato di Sodoma e Gomorra, dopo che gli abitanti furono accecati, «il Signore fece piovere dal cielo (...) zolfo e fuoco» (Gen 19,11.24). Ciò non toglie che la pioggia di fuoco si possa spiegare in altri modi, ma la Bibbia la interpreta così: mandata da Dio per i peccati.
Passando a vicende personali, il Signore, dopo l’adulterio di Davide con Betsabea, «colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide» e il bambino «il settimo giorno morì» (2Sam 12,15.18). Davide peccò anche con il censimento del popolo e «così il Signore mandò la peste in Israele» (2Sam 24,15), che fu tolta grazie al pentimento di Davide, ma che provocò la morte di settantamila persone (cfr. 2Sam 24,15-17).
Torniamo alle vicende collettive e alla più catastrofica: la caduta dei due regni del sud e del nord, l’invasione e l’esilio. Ebbene, «ciò avvenne perché gli Israeliti avevano peccato contro il Signore» (2Re 17,7) venerando altri dei e non osservando le leggi della alleanza (cfr. 2Re 17,8-19), per cui il Signore «li consegnò in mano a predoni, finché non li scacciò dal suo volto» (2Re 17,20). Anche quando il profeta annuncia la liberazione dall’esilio in termini di consolazione, non omette di precisare che il popolo «ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,2). Ciò non toglie che la fine dei due regni e l’esilio si possano spiegare in tanti altri modi - ad esempio con il logoramento interno e con la tendenza degli imperi continentali ad assicurarsi uno sbocco sul mare -, ma la Bibbia li interpreta così: punizione di Dio per i peccati, a cominciare dal peccato di aver adorato altri dei.
Infine, dopo il ritorno dall’esilio i profeti spiegarono carestie e scarsità di raccolti con la lentezza nella ricostruzione del tempio (Ag 1,5-11; 2,19).
Il Nuovo Testamento prende per le corna la nostra questione con tre precisi orientamenti.
Il primo: non è automatica la relazione tra il peccato e una disgrazia soprattutto fisica. Gesù lo afferma quando alla domanda sul cieco nato, se avesse peccato lui o i genitori per ritrovarsi cieco, risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9,3). Più chiaro di così!
Il secondo: a fronte della caduta di una torre con l’uccisione di persone e di un eccidio compiuto da Pilato, Gesù precisa che i morti non erano più peccatori di quanti lo stavano ascoltando, ma «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5); dopo la guarigione di un paralitico, Gesù lo incontra e lo ammonisce: «Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio» (Gv 5,14). Sono testi che suppongono un peccato precedente che “si potrebbe” legare alle disgrazie, ma la dinamica del discorso è volta a scongiurare la disgrazia definitiva più che non a tematizzare la relazione tra peccato precedente e disgrazia attuale.
Il terzo: preso atto della cattiva celebrazione dell’Eucaristia a Corinto, Paolo conclude: «È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti» (1Cor 11,30). Il commento della Bibbia di Gerusalemme tende a diminuire la forza del testo attribuendolo a una “pensata” di Paolo che «interpreta un’epidemia come una punizione divina per la mancanza di carità che ha reso l’eucaristia impossibile». Vero, ma il testo è garantito dall’ispirazione dello Spirito Santo e pone un legame esplicito tra la cattiva celebrazione eucaristica e le malattie e le morti. In questo caso la considerazione di Paolo è esattamente il contrario della risposta di Gesù sul cieco nato, ma non si tratta di contrapporre Paolo a Gesù Cristo: piuttosto si tratta di prendere atto che la realtà è variegata e comporta diversi modi di agire di Dio. Dunque il NT insegna l’assenza di legame tra peccato concreto e malattia concreta in alcuni casi e la presenza dello stesso legame in altri casi.
Il NT svela un’azione castigante di Dio anche attraverso l’uso di precisi termini.
Il primo è “kolázô”, con il significato iniziale di sfrondare e quindi castigare. Il termine è usato in senso forte in Mt 25,46: «e se ne andranno: questi al supplizio eterno (...)» e in 2Pt 2,9 dove il Signore riserva gli iniqui «per il castigo nel giorno del giudizio». Non più riferito a Dio, ma in senso di punizione attiva, ricorre in At 4,21 (il sinedrio vuole punire gli apostoli). I testi presuppongono un’azione castigante e diretta di Dio e non solo l’afflizione che deriva da un peccato commesso.
Il secondo è “timôréô” che - dalla radice “onore” - significa ristabilire l’onore e la giustizia, anche con una punizione. Il testo più forte è Eb 10,29: «di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza». Vedi altri testi nei quali Dio non è il soggetto, ma dove il senso è sempre di un intervento punitivo esterno al colpevole: At 22,5; 26,11; 2Cor 2,6.
Il terzo deriva dalla radice “díkê”, giustizia, nel senso di fare giustizia, ristabilirla - se è stata infranta - con un’azione punitiva (cfr. Lc 18,3.5.7-8; Ap 6,10; 19,2). Bisogna trattare il proprio corpo con rispetto senza ingannare i fratelli perché «il Signore punisce tutte queste cose» (1Ts 4,6). Nell’assedio a Gerusalemme vi saranno «giorni di vendetta» (Lc 21,22). Alla fine dei tempi Gesù si manifesterà dal cielo «per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo (...) essi saranno castigati con una rovina eterna» (2Ts 1,8-9) e già oggi «conosciamo colui che ha detto: A me la vendetta!» (Eb 10,30). Vedi ancora il fuoco vendicatore su Sodoma e Gomorra, le punizioni delle autorità civili e altri usi del termine in Paolo (Gd 7; 1Pt 2,14; Rm 3,19; 12,19; 13,4; 2Cor 7,11; 10,6).
Infine, la categoria della “correzione” o “educazione”, da “paidéuô”: «è per la vostra correzione che soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?» (Eb 12,7 e più ampiamente 12,5-11). «Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo» (Ap 3,19; vedi anche Pr 3,12; Dt 8,5). Qui si può supporre un peccato precedente e un intervento di Dio, ma il contesto è non assimilabile alla severità dei testi precedenti. Vedi due affermazioni particolarmente consolanti dell’AT: Dio «non vuole fare vendetta di noi, ma è a scopo di correzione che il Signore castiga quelli che gli stanno vicino» (Gdt 8,27); «Io prego coloro che avranno in mano questo libro di non turbarsi per queste disgrazie e di pensare che i castighi non vengono per la distruzione, ma per la correzione del nostro popolo» (2Mac 6,12; cfr. 7,33).
Nel NT abbiamo però la rivelazione del modo definitivo con il quale Dio si situa verso gli uomini: Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Affermazione anticipata da alcuni testi dell’AT quali: Dio «non gode per la rovina dei viventi» (Sap 1,13) e «contro il suo desiderio umilia e affligge i figli dell’uomo» (Lam 3,33).
Dio non è un arbitro asettico e indifferente che registra le infrazioni e commina le punizioni conseguenti: Dio sta dalla nostra parte e vuole salvarci, anche attraverso le tribolazioni. Anche se Dio è... una persona seria e, avendoci creato liberi, rispetta la nostra libertà di rifiutarlo.
Fin qui l’ascolto delle Scritture. È però necessario passare all’intelligenza più sistematica delle Scritture e alla loro attualizzazione circa quanto stiamo vivendo adesso. Alla prossima volta.
CONTINUA