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VENETO

Caso Serenissimi, chi è il più ridicolo?

Chi è più ridicolo nel caso dei Serenissimi? I secessionisti che corazzavano una ruspa? O i giornaloni che gridano all'attentato? Il disagio del Veneto nasce dall'assenza di riforme. Senza le quali il Paese può anche spaccarsi.

Editoriali 06_04_2014
Manifestazione indipendentista a Padova

Presunti “secessionisti” veneti si preparano alla guerra d’indipendenza del Veneto dall’Italia corazzando una ruspa, e la magistratura manda i carabinieri a sgominarli. Ne vengono denunciati 51 e arrestati 24. Un quotidiano molto istituzionale titola: “Secessione mancata. Erano agguerriti e determinati. Obiettivo: ripetere il blitz dei Serenissimi del ‘97”. Siamo evidentemente di fronte a una gara involontaria in quanto a sprezzo del senso del ridicolo.

Purtroppo però, in un Paese in cui non mancano casi di assassini e stupratori rei confessi cui sono state risparmiate le manette, ventidue dei 24 arrestati sono in carcere. Dei “poveri untorelli”, per dirla con espressione di manzoniana memoria, sono stati così promossi a pericolosi terroristi. E hanno buoni motivi per preoccuparsi se si pensa alla sorte dei Serenissimi, il gruppetto di personaggi pure loro da “Se no i xe mati no li volemo” che il 19 maggio 1997 con analogo spirito avevano fatto sbarcare a Venezia in piazza San Marco un camion mascherato da autoblindo, una specie di carro carnevalesco fuori stagione. In un Paese in cui può accadere che dopo la condanna anche assassini e stupratori rei confessi vengano rimandati a casa purché promettano di non farlo più e si lascino affidare ai servizi sociali, alcuni di loro restarono in carcere, e non per poco tempo.

Secondo l’agenzia Ansa le indagini sfociate negli arresti degli scorsi giorni erano cominciate tre anni fa. Al riguardo nel suo editoriale su Il Giornale del passato giovedì 3 aprile, Stefano Lorenzetto giustamente scrive: “se davvero il «gruppo riconducibile a diverse sigle di ideologia secessionista» come sostengono i carabinieri del Ros, «aveva progettato varie iniziative, anche violente, finalizzate a sollecitare l’indipendenza del Veneto e di altre parti del territorio nazionale», viene spontaneo domandarsi: scusate, e avete aspettato dal 2012 a oggi per assicurare alla giustizia 51 individui così pericolosi?”. Tanto ritardo nell’agire, commenta ancora ironicamente Lorenzetto, “pur sapendo che la sicurezza nazionale era in pericolo, appare del tutto incomprensibile. Anzi, sgomenta”.

A meno che l’improvviso colpo di acceleratore degli inquirenti sia da collegare con l’esito del referendum telematico non ufficiale per l’indipendenza del Veneto che, aperto in Internet tra il 16 e il 21 marzo scorsi, aveva visto la partecipazione di ben metà degli elettori della regione interessata. E questi per oltre tre quarti si erano espressi a favore di tale indipendenza. Senza tornare su quanto in proposito già scrivemmo nella nota dal titolo “Referendum in Veneto, c’è poco da scherzare” (Nuovabq, 25 marzo u.s.) diciamo qui quanto sia fondato il sospetto che la presa della banda della ruspa corazzata voglia essere un segnale. E questo tanto più considerando che attualmente a Roma è in carica un governo che mentre ha buone intuizioni (e in politica europea ed estera anche buone intenzioni), mira invece a riformare lo Stato italiano nel segno di un preoccupante neo-centralismo. Preoccupante perché fatalmente destinato a sortire effetti opposti a quelli che Renzi si ripromette e ci promette.

Per parte nostra, pur essendo ben convinti che l’unità politica dell’Italia non sia un obbligo storico né tanto meno un obbligo morale, siamo tuttavia altrettanto ben convinti che valga la pena di mantenerla e di preservarla perché nella sua attuale configurazione politica l’Italia è un promettente, straordinario ponte tra Europa e Mediterraneo. Di tale ruolo più che mai cruciale nel nostro tempo la sua specifica unità culturale (che di per sé non ha alcun bisogno dell’unità politica, tanto e vero che nacque, crebbe e fiorì prima di essa) costituisce un elemento necessario ma non sufficiente.

Senza una rapida e incisiva riforma generale dello Stato l’Italia si spacca. La bassa qualità dell’amministrazione dello Stato italiano combinata con la sua insopportabile voracità fiscale sta provocando l’esodo dell’apparato industriale del Nord. Nel mondo globalizzato in cui viviamo, e tanto più essendo il nostro Paese parte integrante del mercato comune dell’Unione Europea, mentre la secessione del territorio è illegittima (e anche materialmente impossibile), la secessione dell’apparato produttivo è possibilissima, e non ci sono Procure né carabinieri che la possano impedire. Non ci sono Procure né carabinieri che la possano impedire; e nemmeno le può sbarrare la strada una riforma del Titolo V orientata alla restaurazione del vecchio Stato centralizzato pre-fascista nonché una riforma del Senato mirante a farne qualcosa di molto simile al vecchio Senato del Regno. Più presto il resto del Paese se ne renderà conto e meglio sarà per tutti.