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JIHAD

Caso Sbai, dobbiamo aspettare che ci scappi il morto?

Dalle carte del Tribunale di Torino, che abbiamo potuto leggere, si comprende quanto seria sia la minaccia di morte contro Souad Sbai e più in generale contro i cristiani da parte degli islamisti radicalizzati in carcere. Ma dal ministero dell'Interno nulla si muove.

Editoriali 23_05_2021

«In un discorso sviscerato il 2 ottobre 2020 al cospetto di tre detenuti (…) l’indagato aveva spiegato che non vi era spazio alcuno per il confronto con idee differenti: chi si macchiava di offese all’islam (…) andava punito con la perdita della vita. (…) Feroci sono le parole impiegate nei confronti di Souad Sbai. (…) Riferendosi alla sua persona, El Allam Bouchta, era stato chiaro nell’asserire che doveva essere sgozzata e uccisa». Queste parole si trovano nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale ordinario di Torino nei confronti di El Allam Bouchta, l’imam marocchino radicalizzato in carcere (è attualmente detenuto ad Alessandria) di cui abbiamo già raccontato per le minacce di morte alla nostra collaboratrice Souad Sbai.

Ora che abbiamo in mano le pagine del documento, le perplessità e i timori suscitati dalla notizia si moltiplicano. Peraltro le minacce non riguardano soltanto la Sbai. Non solo Bouchta inneggia al jihad armato, con esplicito riferimento all’Afghanistan, ma in un sermone del venerdì, il 14 agosto 2020, davanti a 12 fedeli: si scaglia «contro i mezzi di comunicazione “occidentali” colpevoli di screditare la religione islamica istigando indirettamente a colpirli con le armi»; e istiga «indirettamente i presenti a uccidere per motivi religiosi i cristiani in quanto nemici dell’islam (…) invitando alla loro decapitazione».

Per quanto sta accadendo in ogni parte d’Europa con attacchi isolati e per il grave problema delle carceri che sono un vero e proprio luogo di radicalizzazione islamista e reclutamento di terroristi, certe minacce dovrebbero essere prese molto sul serio. Così come dovrebbe essere affrontato proprio il tema delle carceri. Invece si ha la netta impressione che il ministero dell’Interno si disinteressi totalmente della questione. Non solo, come abbiamo già scritto, nessuno si è sentito in dovere neanche di avvertire Souad Sbai delle minacce nel momento in cui sono state raccolte, ma anche dopo la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni nulla si è mosso.

Evidentemente il nostro governo non prende troppo sul serio le minacce di un delinquente comune (era stato arrestato nel 2015 per spaccio di droga) radicalizzatosi in carcere e poi divenuto un predicatore del terrore. Se è vero che Bouchta passerà in carcere ancora un anno (il che vuol dire comunque che la possibilità di una sua azione diretta è solo rimandata), cosa ne è delle decine di islamici che hanno ascoltato i suoi inviti a colpire Souad Sbai e in generale i cristiani? Qualcuno si è incaricato di dare loro un nome e di controllare i loro movimenti?
Dalle notizie che abbiamo non sembra proprio, né per Souad Sbai è stata presa alcuna misura di protezione. E per un Bouchta che è stato intercettato e incriminato, nelle carceri italiane ci sono decine di predicatori dell’odio, grazie anche alla sciagurata decisione dei precedenti governi di garantire all’UCOII (ramo italiano legato ai Fratelli Musulmani) l’assistenza spirituale dei musulmani nelle carceri italiane. Già se il ministro della Giustizia rivedesse questa decisione sarebbe un segnale importante.

Ma non è possibile in ogni caso che di fronte alla serietà delle minacce il ministro dell’Interno Lamorgese non faccia una piega, non senta il dovere almeno di porre la questione all’ordine del giorno. Chissà, forse teme che l’argomento possa disturbare l’indirizzo immigrazionista del governo. O semplicemente siamo di fronte alla solita, superficiale, convinzione che tanto in Italia non può accadere nulla di brutto perché siamo buoni e accoglienti.

Davanti a tanti segnali espliciti, davanti a quanto accade in altri paesi europei, dobbiamo proprio aspettare che ci scappi il morto prima di porsi il problema?