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Il processo

«Caso Saman, pericolosa avanzata della legge islamica»

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«È l'avanzata della legge islamica nel nostro ordinamento, quasi a voler avvertire di non processare l’islamismo. Eppure, Saman Abbas scappava proprio da quel mondo». La preoccupazione di Souad Sbai, presidente di Acmid-Donna, che nel processo per l'omicidio della 18enne pakistana è stata esclusa dalle parti civili, mentre sono state ammesse le moschee e l'Ucoii, che aveva emanato la discussa fatwa sui matrimoni forzati e che ieri, per bocca del suo legale, ha definito l'integralismo religioso solo “da smussare”. 
- ITALIA-QATAR, STRETTA DI MANO LONTANO DAL CLAMORE, di Souad Sbai

Cronaca 18_02_2023

«È una preoccupante avanzata della legge islamica nel nostro ordinamento, quasi a voler avvertire il sistema giudiziario italiano di non processare l’islamismo. Eppure, Saman Abbas scappava proprio da quel mondo». L’amarezza di Souad Sbai, presidente dell’Associazione Acmid Donna Onlus, già deputata in Parlamento e giornalista (oltre che firma della Bussola) è grande. La sua associazione è l’unica tra le 13 parti civili escluse ieri dal tribunale di Reggio Emilia, che si occupa direttamente di donne di cultura islamica vessate e private della libertà. Nello stesso tempo, però, il giudice ha ammesso come parti civili tre centri religiosi che rappresentano l’islam in Italia in tutte le sue sfaccettature: l'Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii), la confederazione islamica italiana e la Grande moschea di Roma.

L’Ucoii è la stessa che emanò la preoccupante fatwa come condanna contro i matrimoni forzati a seguito dell’omicidio della giovane, una pratica da stato islamico prevista dalla sharia dietro la quale si nasconde il sistema normativo islamico. L’interrogativo principale, dunque è: a che titolo queste associazioni sono state ammesse come parte civile ed esclusa invece l’unica che denuncia proprio il tentativo di soffocare la libertà delle donne islamiche? E quanto ha influito nella decisione la fatwa emessa?

Ieri, per bocca del suo avvocato Riziero Angeletti, l'Ucoii ha detto che «non potevano non essere ammesse proprio quelle associazioni che sostengono la necessità di una integrazione e di uno smussamento degli integralismi religiosi, che si sono manifestati pienamente in questa vicenda». Smussamento? La parola non è piaciuta a Suad Sbai (in foto), che già in altre occasioni, a volte con il ministero delle Pari Opportunità, ha ottenuto di essere ammessa come parte civile, nei processi Shanhaz Begum, Rachida, Sana Dafali e Nosheen Butt e ieri a udienza ancora in corso, ha tuonato sulla sua pagina Twitter definendo «vergognosa la decisione di escludere #ACMID Donne marocchine in #italia come parte civile nel processo a Reggio Emilia, mentre a essere ammessi sono gli islamisti che emettono fatwe e vengono ora legittimati da un tribunale italiano». La Sbai, in un colloquio con la Bussola ha esternato tutta la sua preoccupazione e amarezza per questa decisione che non ha motivazioni.

«Vedo in questa decisione una forte avanzata della legge islamica, vogliamo chiedere le motivazioni sulla base delle quali il tribunale ha deciso di escluderci e non voglio pensare che ci siano motivazioni geografiche, perché noi siamo già state presenti a Reggio Emilia per due processi».

Ciò che preoccupa maggiormente è la costituzione di parte civile delle moschee, secondo cui il problema dell’integralismo religioso va soltanto “smussato”, cioè alleggerito, attenuato, mitigato: «E’ come se venisse uccisa una donna cristiana e la sua parrocchia si costituisse parte civile. Che cosa c’entra? Eppure, la decisione del tribunale di ammettere queste moschee non è da Stato laico, nemmeno in Marocco ho mai visto una moschea che si costituisce parte civile. E non mi sembra che l’Ucoii si sia mai costituita parte civile nei processi contro i jihadisti».

Da qui l’appello al ministro della Giustizia Nordio affinché intervenga immediatamente per capire come e perché si è arrivati a questa decisione. «La nostra associazione - prosegue Sbai - è impegnata dal 1995 e siamo sempre stati accettati ne abbiamo mai lucrato, dato che in tutti i processi abbiamo sempre chiesto un risarcimento di un euro». Simbolico, dunque, e così avrebbe fatto anche stavolta Acmid «per affermare che il problema dei matrimoni forzati deve essere affrontato con altri metodi, quali quelli dell’integrazione, della convivenza civile, del rispetto delle leggi. Non di “sentenze” o “scomuniche” religiose».

E ancora: «Sembra quasi che siano questi centri di cultura islamica le vittime, ma la vera vittima è Saman. Perché non è andata nelle moschee a farsi aiutare? La verità è che la moschea era un mondo che le era ostile perché permeato di cultura islamista. Mi auguro che il giudice abbia deciso in buona fede, in ogni caso noi assisteremo al processo e ci faremo sentire anche se non siamo stati ammessi come parte civile».

Anche l’avvocato di Acmid, Luigi Capelli ha definito una «mortificazione dell’attività di Acmid la sua esclusione. La vicenda di Saman nasce dentro la cultura islamica, se ammettono le associazioni delle comunità musulmane, perché non farlo anche per quelle realtà che lottano contro l’islamismo?».