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ABUSI SESSUALI

Caso Rupnik, in Vaticano una vergogna senza fine

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Il Dicastero per la Comunicazione continua a riproporre le opere dell'ex gesuita sloveno accusato di gravissimi abusi sessuali, sfidando le disposizioni del cardinale O'Malley. E anche a Bologna via libera di Zuppi ai mosaici incriminati. Nella lotta agli abusi questo pontificato non ha credibilità.
- DOSSIER: Il caso Rupnik

Editoriali 21_08_2024 English Español
Padre Rupnik

Tu chiamale, se vuoi, provocazioni. Vatican News, il portale ufficiale vaticano che fa capo al Dicastero per la Comunicazione, continua a pubblicare a corredo dei propri articoli, immagini delle opere di padre Marko Rupnik, l’ex gesuita sloveno accusato di gravi abusi sessuali nei confronti di almeno venti suore. E l’arcivescovo di Bologna nonché presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Matteo Zuppi, ha dato il via libera al completamento di un mosaico dello stesso Rupnik nella chiesa di Santa Maria Regina Mundi, appunto a Bologna.

Clamoroso è soprattutto l’atteggiamento di Vatican News e del Dicastero per la Comunicazione: l’ultima opera di Rupnik è stata pubblicata il 15 agosto per illustrare la festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, ma non è certo la prima volta. E il motivo lo aveva spiegato il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini, in una conferenza stampa lo scorso 21 giugno ad Atlanta: «Come cristiani siamo chiamati a non giudicare», aveva detto; e siccome il processo canonico è ancora in corso, «non sarebbe bene anticipare la decisione». E ancora: «Non credo che gettare pietre sia il modo per guarire» le ferite subite dalle vittime. E poi, con un’aria di sfida: «Davvero pensate che rimuovendo una foto d’arte dal nostro sito, sarei più vicino alle vittime?». Affermazioni che sono una dimostrazione di arroganza e di sfacciataggine, possibile soltanto sapendo che si gode dell’impunità e di sicuri appoggi dall’alto.

Fatto ancora più grave, il Dicastero per la Comunicazione continua con le sue provocazioni malgrado lo scorso 26 giugno, dopo le dichiarazioni di Ruffini e dopo averlo incontrato di persona, il cardinale Sean O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Protezione dei minori, abbia scritto una lettera a tutti i capi Dicastero vaticani dicendo “basta” alla pubblicazione delle opere di Rupnik. O’Malley, la cui insistenza aveva spinto un recalcitrante papa Francesco a consentire l’apertura lo scorso ottobre di un procedimento per stabilire le responsabilità di Rupnik, invocava la «prudenza pastorale per evitare la pubblicazione di lavori artistici che implicherebbe una implicita difesa» degli abusatori, o che «indicherebbe indifferenza per il dolore e la sofferenza di così tante vittime di abuso».

Continuare dunque a pubblicare i lavori di Rupnik è un aperto segnale di sfida al cardinale O’Malley e a chi nella Chiesa si batte veramente contro gli abusi di minori e di adulti vulnerabili. Bisogna ricordare che padre Rupnik, famoso per i suoi mosaici esposti in oltre 200 chiese nel mondo, non è semplicemente sospettato di abusi ma su di lui sono state raccolte decine e decine di accuse circostanziate già giudicate «credibili» dallo stesso ordine gesuita di cui faceva parte e da cui è stato espulso nel giugno 2023.

Lo scandalo era scoppiato nel dicembre 2022 quando uscì la notizia che un’indagine iniziata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2021 era stata lasciata cadere in prescrizione nell’ottobre 2022. E, peggio ancora, nacque il “giallo” di una scomunica comminata a padre Rupnik dalla stessa Congregazione nel 2020 per assoluzione del complice e misteriosamente annullata nel giro di pochi giorni. Giallo si fa per dire, perché soltanto il Papa aveva il potere di revocare la scomunica.

E del resto l’amicizia di Rupnik con papa Francesco è ben nota, così come la sua influenza sul Papa, anche nella scelta delle persone introdotte nei vari uffici vaticani. È il caso – come ricordava in questi giorni il vaticanista Luis Badilla nella sua newsletter settimanale Osservazioni casuali – della slovena Nataša Govekar, che guarda caso occupa un posto di rilievo proprio al Dicastero per la Comunicazione. Laica, 49 anni, è membro dell’Equipe del Centro Aletti, cresciuto proprio attorno a Rupnik, e tuttora il centro della resistenza che copre le malefatte dell’ex gesuita sloveno.  Va ricordato che proprio da qui parte la propaganda che intende attribuire le denunce contro Rupnik a una non meglio precisata faida interna tra gesuiti. Propaganda che si nutre anche di intimidazioni e minacce contro chi prende una posizione critica nei confronti di padre Rupnik (e anche noi ne siamo stati fatti oggetto), ma senza mai documentare in alcun modo le presunte prove a discolpa.

Fatto sta che, pur costretti a subire l’avvio del processo canonico dall’evidenza delle denunce pubbliche presentate contro l’artista, i “protettori” di Rupnik continuano a sabotare ogni tentativo di fare giustizia e a promuovere l’opera artistica del prete sloveno, potendo contare per questo sulla benevolenza – e anche qualcosa in più – di papa Francesco.

Significativo al proposito è quanto accaduto a Lourdes, dove per mesi una commissione apposita ha discusso su cosa fare dei mosaici di Rupnik, in grande evidenza all’esterno della Basilica di Nostra Signora del Rosario. Il vescovo di Tarbes e Lourdes, mons. Jean-Marc Micas, più volte si è detto favorevole alla rimozione totale dei mosaici, ma lo scorso 3 luglio ha annunciato la sospensione della decisione definitiva, per evitare ulteriori divisioni nella Chiesa, limitandosi a lasciare al buio quei mosaici che fino ad allora venivano valorizzati alla sera da giochi di luce. I bene informati dicono che sia stato «consigliato» a questa decisione, e caso vuole che il 20 giugno fosse stato in udienza dal Papa. Significativo anche che nell’annunciare la “non decisione” abbia però voluto ribadire che è giusto che quei mosaici vengano rimossi.

La questione della riproposizione al pubblico di certe opere non è secondaria, perché nel caso di Rupnik è impossibile separare l’arte dalla condotta criminale, perché – stando alle circostanziate denunce e alle testimonianze lette e ascoltate in questi anni - gli abusi si sono consumati proprio nell’elaborazione delle sue opere. Mostrare, pubblicare i suoi mosaici non è soltanto un’offesa indiretta alle sue vittime ma è proprio far rivivere loro quegli abusi.

Quello che sta facendo il Dicastero vaticano per la Comunicazione (e anche la diocesi di Bologna) è perciò vergognoso, è esso stesso uno scandalo, che mette in imbarazzo tutta la Chiesa, e mostra ancora una volta che sulla lotta agli abusi sessuali, malgrado la retorica della “tolleranza zero”, si sono fatti molti passi indietro rispetto al pontificato di Benedetto XVI.



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