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CHIRURGIA PREVENTIVA

Caso Jolie, molte variabili poche certezze

Mastectomia totale per l'attrice Angiolina Jolie volta a prevenire un probabile tumore. Dal punto di vista etico non c'è una risposta univoca, perché qualsiasi scelta comporta rischi per la persona. Ma ci sono implicazioni da tenere presenti.

Cronaca 16_05_2013
Angelina Jolie

La famosa attrice Angelina Jolie, icona holliwodiana di bellezza e prestanza fisica, ha informato i media di essersi sottoposta ad una mastectomia totale bilaterale preventiva per ridurre la probabilità di sviluppare un cancro al seno. La donna è infatti portatrice di una mutazione del gene BRCA che incrementa le probabilità di tumore mammario, ovarico e in modo più contenuto, di altri organi.

Il BRCA appartiene ad una classe di geni definiti soppressori tumorali. Esistono centinaia di possibili mutazioni di questi geni e solo una parte di queste si associa ad un incremento di rischio tumorale.

Questa notizia può offrire l’occasione per sviluppare alcune riflessioni di specifica pertinenza bioetica. Un primo interrogativo riguarda l’eticità di una mutilazione di un organo sano, in questo caso le mammelle, in previsione di una possibile futura patologia. Il 13 settembre 1952 il Santo Padre Pio XII descrisse il principio che doveva ispirare questi casi dicendo: «La parte esiste per il tutto e, di conseguenza, il bene della parte resta subordinato al bene del tutto: il tutto è determinante per la parte e può disporne nel suo interesse». Tale principio viene indicato in bioetica come principio di totalità. Perché esso possa essere invocato, perché cioè sia lecito sacrificare una parte di sé stessi, il Papa specificò che «soltanto dove si avvera la relazione del tutto alla parte e nella misura esatta in cui si avvera, la parte è subordinata al tutto, il quale nel suo interesse può disporre della parte». Se ad esempio un rene colpito da tumore viene asportato, si è in presenza di una chiara applicazione del principio di totalità; il sacrificio del rene malato offrirà possibilità di guarigione o quantomeno di più lunga vita al paziente.

Maggiore perplessità può derivare dalla asportazione di un organo sano passibile di ammalarsi in futuro, anche se in questo caso specifico ci sono da considerare una serie di fattori che rendono la scelta non facile. Nel caso della Jolie, ad esempio, dato l’alto rischio di tumore, nessuno può escludere già la presenza di foci occulti di degenerazione neoplastica in fase iniziale. Tra gli elementi ulteriori da considerare vi sono la funzione galattogena della ghiandola mammaria e il ruolo di locus psicologico dell’identità femminile svolto dalle mammelle compromessi dalla mastectomia. A questi si deve aggiungere il carico di stress connesso ad un intensivo monitoraggio della salute del seno in donne portatrici di tale mutazione. La serietà del rischio è attestata da quanto pubblicato nel 2010 sul Journal of Clinical Oncology. Secondo gli autori di quello studio una donna di 25 anni che non ha mutazione del BRCA ha l’84% di probabilità di raggiungere l’età di 70 anni, ma in presenza della mutazione del BRCA1 la stessa donna vede ridursi al 53% la probabilità di diventare settantenne, pur sottoponendosi a periodici esami di prevenzione.

Esiste poi un altro interrogativo: chi può o deve avere accesso a  questo tipo d’informazioni e chi ne deve essere invece inibito? Secondo la legislazione americana questi dati costituiscono a tutti gli effetti informazioni di tipo sanitario, e come tali esse non possono ad esempio essere utilizzate come fonte per la discriminazione del personale in ambito lavorativo, ma possono essere invece acquisite dalle compagnie assicuratrici per la valutazione del rischio.

C’è infine un ulteriore elemento da considerare, un'implicazione legata a questi casi: l’uso dei test genetici come condanna, anziché come servizio. Non è un’ipotesi confinata al futuro, è una realtà già oggi routinaria che si verifica con il ricorso alla diagnosi genetica pre-impianto effettuata sugli embrioni prodotti con la fecondazione artificiale. Attraverso la biopsia di una o due cellule (blastomeri) dell’embrione si possono effettuare ormai decine di analisi genetiche, compresa la ricerca di mutazioni del BRCA. Se il test  genetico risulta positivo la coppia può decidere di non trasferire l’embrione nell’utero e di gettarlo via. L’embrione viene così ucciso non perché sia malato, ma perché porta con sé un rischio di malattia.

L’Angelina Jolie del XXI secolo che dovesse essere concepita in provetta potrebbe non godere del privilegio di vivere la propria vita e di scegliere la mastectomia preventiva che la Jolie dei nostri tempi ha avuto, semplicemente perché essa verrebbe buttata via quando la sua vita fosse solo di qualche giorno ed il suo corpo fosse formato da un pugno di cellule. In uno studio del 2007 pubblicato sulla rivista Human Reproduction furono interrogate 102 donne affette da mutazione del BRCA seguite dai servizi oncologici. Fu domandata la loro opinione circa l’eventuale diagnosi pre-impianto sul BRCA nei loro eventuali figli. Tra le 52 donne che accettarono di rispondere, 39 ritennero accettabile effettuare la diagnosi genetica pre-impianto per mutazione del BRCA. Il favore verso la diagnosi pre-impianto tra le donne che non avevano intenzione di avere altri figli risultò più che doppio rispetto a  quelle che invece desideravano avere altri figli; un dato, questo, che sembra indicare come l’apertura alla vita coincida con una maggiore apertura anche all’accoglienza della vita dissonante rispetto all’archetipo di perfezione e salute.

Se le madri perdono lo sguardo contemplativo verso il frutto del loro grembo, allora questi sono i giorni in cui si dirà “Beate le sterili e i grembi che non hanno generato”.